22 set 2017

REVISIONISMO STORICO: LA SECONDA PARTE DELLA CARRIERA DEI MOONSPELL


Quando è iniziata la seconda parte della carriera dei Moonspell?

A guardar bene, ed escludendo il dirompente mini-album di debutto "Under The Moonspell", due sono state le opere veramente significative nella storia del combo portoghese: "Wolfheart" ed "Irreligious". Tramite questi due lavori, rispettivamente del 1995 e del 1996, la band definirà la propria identità nel panorama del metal estremo degli anni novanta e diverrà presto un punto di riferimento imprescindibile per il metal gotico che verrà.

Seguiranno degli album interlocutori in cui Fernando Riberio e soci, consolidando la loro fama di audaci sperimentatori, tenteranno varie strade, senza però bissare le prodezze di quella formidabile "doppietta" di album. In "Sin/Pecado", abbandonato il growl e la violenza delle origini, si tenterà la carta del goth-rock e dell’elettronica depechemodiana, approdando ad un sound forse più commerciale, ma dall'indubbio fascino (questa del resto era la tendenza del periodo: si pensi ai colleghi Paradise Lost e Tiamat). Con "The Butterfly Effect" si tornerà a ruggire: recuperati certi stilemi del metal estremo, ma calati in un'ottica sperimentale e modernista, si punterà sull'eclettismo e sull'effetto sorpresa, stupendo per davvero a tratti, ma non convincendo fino in fondo, complice una scrittura non sempre eccelsa e la perdita di importanti tratti identitari, fra cui le fascinose ed erotiche ambientazioni da "Le Mille e una Notte". In occasione di "Darkness and Hope" si compirà dunque una parziale marcia indietro, recuperando gli umori passionali e romantici di un tempo, con un album ancora un po' ibrido che da un lato strizza l'occhio al gothic rock, ma dall’altro vorrebbe riesumare qualche efferatezza del passato, disseminata qua e là senza convinzione.
Tre album che hanno sicuramente confermato la leadership di Ribeiro e soci nel tutt'altro che esaltante scenario gothic metal di inizio millennio, ma che al tempo stesso hanno in parte appannato l'immagine dorata della band, seminando perplessità e delusioni e facendo sì che la geografia dei sostenitori mutasse di volta in volta a seconda delle mosse compiute dai lusitani. A preoccupare, più che altro, era un calo di ispirazione che vedeva la band procedere sulla via del "cambiamento a tutti i costi", strada battuta con alterne fortune e senza un orizzonte chiaro a cui tendere.
Bisognava cambiare qualcosa in questo approccio e l'antidoto a questa fase (che possiamo definire tossica, "velenosa") fu proprio "The Antidote", l'album della restaurazione (in precedenza solo vagheggiata) e che riportava di colpo i portoghesi alle sonorità del periodo d'oro "Wolfheart"/"Irreligious". Basta evoluzioni, basta sperimentazioni azzardate, basta drastici cambi di rotta: la band preferirà consolidare la propria identità e difendere il proprio posizionamento sul mercato.
Mancanza di idee? Mancanza di coraggio? O semplice onestà intellettuale? Consapevolezza dei propri limiti e dei propri punti di forza?
Il popolo metallico, inevitabilmente, si schiererà in due fazioni contrapposte: c'è chi saluterà con sollievo, se non con esaltazione, questo cammino a ritroso, chi lo vedrà come una mossa patetica volta a riconquistare i cuori dei supporter della prima ora. Con il solito approccio equilibrato ed indagatore, Metal Mirror ripercorrerà per voi questo ultimo controverso periodo di vita della band lusitana.
"The Antidote" (2003)
L'opener "In and Above Men" mette subito le cose in chiaro: sound massiccio, drumming tribale, ma soprattutto il growl prepotente di Ribeiro che torna a spaziare in lungo e in largo. "From Lowering Skies" conserva l'impeto tribale per portare avanti azzeccati fraseggi dark-wave, con un suggestivo recitato di Ribeiro (poi di nuovo brutale nel ritornello) a rappresentare l'altra faccia dei Moonspell. L'impressione, almeno per quanto riguarda il prodigioso poker di brani iniziali (da menzionare anche il bel singolo "Everything Invaded"), è che la band sia tornata, senza tante seghe mentali, a fare quello che vuole fare. C'è tanta rabbia, come se i Nostri (Ribeiro in prima fila) volessero finalmente gridare e sfogare le frustrazioni accumulate in una evoluzione più dettata dalla mente che dal cuore. Torna dunque la velocità, l'epicità bathoriana: l'idea inoltre di puntare su suoni compressi, dissonanti, e la decisione di lasciare in secondo piano le tastiere (da sempre uno dei principali trademark della band), sembrano azzeccate in anni in cui la sporcizia sonora trionfa (vedi l'ascesa post-hardcore e post-metal) e le leziosità soccombono. Peccato che presto l'album, che tutto sommato era partito bene, si arenerà in una prolissa seconda parte dove troveremo un Ribeiro in palese difficoltà ad adattare il suo pulito a tracce inconcludenti e per niente memorabili. Inutile aggiungere che "Wolfheart" risiede su un altro pianeta.
(Voto: 5,5)
"Memorial" (2006)
Se "The Antidote" era stato un monolite oscuro e minaccioso, "Memorial" (di certo non meno violento) mostra un sound più vario e multiforme, a tratti persino pervaso di sfumature progressive, complice il ritorno in pompa magna delle tastiere che permeano ogni frangente delle composizioni (con tanto di vari intermezzi strumentali a fare atmosfera). I portoghesi, dunque, rinunciano ad ogni velleità evolutiva (altra scelta che farà discutere) per riappropriarsi della loro pelle, tornando a correre (in tutti i sensi) in quella zona che sta fra "Wolfheart" ed "Irreligious". Insomma, si guarda indietro ma con convinzione e chiarezza d'intenti: "Finisterra" e "Memento Mori" sono delle vere mazzate (bestiale il growl di Ribeiro), in "Upon The Blood of Men" i Nostri sembrano Bathory al cubo, epici e battaglieri più che mai, con una furia iconoclasta che va ben oltre le consuetudini dei languori gothic. In "Sanguine" e "Luna" (ballata con tanto di voce femminile nel ritornello - la migliore del lotto) il pensiero va invece dritto ai momenti più soft di "Irreligious". A questi Moonspell potremmo criticare la mancanza di coraggio, ma di certo "Memorial" rappresenta una fiera riappropriazione di identità: un credibile ritorno alle origini, coronato da una veste professionale e da una padronanza dei mezzi che è propria dei primi della classe.
(Voto: 6,5)
"Night Eternal" (2008)
Formula vincente non si cambia: questo sembra essere l'intento che ha mosso i portoghesi in questa nuova release discografica, che prosegue sulla scia dell'album precedente, partendo dai suoi punti di forza e lavorando laddove vi erano dei margini di miglioramento. Se possibile "Night Eternal" (minaccioso fin dal titolo!) estremizza ulteriormente le peculiarità della band, premendo sull'acceleratore, ma non perdendo di vista la melodia e l'atmosfera. Si torna a parlare il linguaggio del black metal (melodico), con chitarre ispirate, tastiere avvolgenti ed un titanico Ribeiro capace, con il suo growl espressivo e versatile, di fare il buono e cattivo tempo di un'opera che non ammette cedimenti e che, stilisticamente, costituisce l'anello di congiunzione ideale fra "Wolfheart" e "Irreligious". E pazienza se gli influssi mediterranei vengono a questo giro lasciati ai margini. A simboleggiare i due volti dei Moonspell citiamo la durissima title-track e l'ottima ballata "Dreamless (Lucifer and Lilith)" condotta da un Ribeiro da pelle d'oca. In mezzo, a rappresentare il lato più epico e maestoso dei lusitani, la conclusiva "First Light", che mette il sigillo finale su un lavoro perfettamente bilanciato e curato nei minimi dettagli (non a caso la pre-produzione era stata curata da Waldemar Sorichta, l'artefice dei capolavori della band). Da segnalare, infine, l'ospitata di lusso di Anneke Van Giersbergen in "Scorpion Flower", tanto per aggiungere gloria alla gloria.
(Voto: 7)
"Alpha Noir"/"Omega White" (2012)
Tronfi dei buoni riscontri da parte di critica e pubblico, i Nostri se ne tornano sul mercato discografico con un doppio-album i cui due tomi, concepiti specularmente, dovrebbero andare a rappresentare le due anime della band, una metal ed arcigna, l'altra gotica e sensuale. L'idea di sdoppiare la propria "personalità artistica" in due tronconi omogenei e più canonici era già stata messa in atto dagli Opeth col l'accoppiata "Deliverance"/"Damnation", ma noi rimaniamo dell'avviso che questo non sia il migliore modo per rendere giustizia ad un sound complesso e multiforme. In più dobbiamo considerare che i Moonspell non sono più una band al top dell'ispirazione, ma dei navigati mestieranti che cercano di difendere il loro spazio vitale nella giungla del mercato discografico del terzo millennio. Una scelta dunque necessaria e dettata da una reale urgenza comunicativa? O solo un escamotage per creare appeal sulla nuova uscita di una band sostanzialmente a corto di idee? L'ascolto sembrerebbe far propendere per il secondo punto di vista. "AN" sfoggia un sound muscolare, nutrito a questo giro da forti influenze thrash-metal, tanto che i Nostri finiscono per somigliare a Sepultura e Fear Factory (la title-track "Alpha Noir" è eloquente al riguardo). Il groove (di taglio modernista, e non a caso a venire in mente in più di un frangente è "The Butterfly Effect") prende il sopravvento su tutto il resto, togliendo spazio alle tastiere (che avranno un ruolo di mero contorno), alle divagazioni folcloristiche (praticamente azzerate) e al carisma vocale di Ribeiro (costretto nei ranghi del suo pur carismatico growl): un atto di spersonalizzazione che francamente ci suona incomprensibile. Ma a deludere sono principalmente i brani: brevi, piatti, arroccati dietro ad un prevedibile formato strofa/ritornello e portatori di un sound freddo, non voglio dire commerciale, ma decisamente "piacione": i Moonspell, indubbiamente, vogliono piacere e guardano alle nuove generazioni. "OW", che in realtà viene presentato come una appendice del primo tomo, si muove in direzione contraria ed ambirebbe a recuperare l'atmosfera, il calore, l'intimismo sacrificati nella prima metà della release. Brutto (e strano) dirlo, ma qui i Nostri sapranno fare di peggio, confezionando una raccolta di brani ancora più insipidi: tolto il paravento del groove, quello che rimane è il desolante scenario di una band incredibilmente stanca e priva di idee. Si sprecano i richiami a band come Sisters of Mercy (periodo "Floodland") e Type O Negative (il brano "New Tears Eve", fra l'altro, è dedicato alla memoria di Peter Steele, deceduto due anni prima), ambiti in cui i Nostri dovrebbero eccellere. Ed invece, brutto (e strano) dirlo, in questo frangente oso affermare che si tocca il punto più basso nella carriera dei lusitani, con brani fiacchi, privi di mordente e che richiamano i peggiori Tiamat. L'unico momento degno di nota in questo mortorio è la vivace "Herodisiac", che rimane comunque lontana dagli standard a cui ci ha abituato la band anche in tempi recenti. Ad ascolto terminato, diviene palese come i due tomi, nella loro intrinseca debolezza, si sorreggano a vicenda, l'uno la stampella dall'altro.
(Voto: 5)
"Extinct" (2015)
Ribeiro e soci tornano al formato unico, ma l'eredità della precedente operazione si fa comunque sentire. Dopo tre album che hanno riscoperto la furia originaria ed un doppio che invece aveva guardato con indulgenza ad un pubblico più ampio, la band decide di perseguire questa seconda via, ma lo fa con maggiore convinzione. Premendo play si capisce immediatamente che la musica è cambiata: si respira un maggiore dinamismo, energie vive, una fantasia compositiva che non si era percepita per un solo istante nel piatto predecessore. Ben vengano quindi questi nuovi brani scoppiettanti, spesso sorretti da ritmi sostenuti e da un discreto lavoro di chitarre e tastiere. Ma soprattutto condotti da un Ribeiro superlativo che, salvo qualche significativa eccezione, si assesta su un bel pulito che non annoia mai. La coinvolgente title-track è esemplificativa di tutto questo, ma tutti gli episodi sono degni di nota, con in testa una ottima "Malignia", che osa evocare l'inarrivabile "Vampiria", ed una atipica "La Baphomette", che scivola con credibilità nel cabaret. Darkwave (con ancora i Sisters of Mercy a fungere da riferimento primo) e goth-metal (le analogie con i Paradise Lost dell'età di mezzo sono molte, senza sminuire il valore dei Moonspell stessi, che pescano a piene mani dal loro repertorio ed in particolare dal periodo "Irreligious"/"Sin Pecado"): questi gli assi portanti di un album che segna il ritorno dell'ispirazione in casa Moonspell.
(Voto: 6,5)
Chiariamoci: i Moonspell sono un grandissimo gruppo, con un'identità marcata, classe da vendere, un bel range di sonorità da esplorare e oramai in possesso di quel mestiere che impedisce loro di combinare veri disastri. A novembre uscirà il loro nuovo album e tutto sommato è lecito essere ottimisti, visto che negli ultimi quindici anni di carriera le luci sono state più delle ombre. Magari ci auguriamo che per lo meno la copertina sia un poco migliore, visto che le ultime cinque sembrano il medesimo pastrocchio digitale ripetuto di volta in volta con qualche dettaglio diverso.
Scherzi a parte, è alla musica che siamo principalmente interessati. Come consueto, anche per i portoghesi vorremo stilare la scaletta dei brani che andrebbero a comporre l'album ideale nato dall'unione degli ultimi cinque. Lo facciamo però con l'intento di mostrare un quadro riassuntivo di quello che i Nostri hanno saputo combinare in tre lustri, più che stilare un vero e proprio best of, visto che di ottimi brani i portoghesi ne hanno saputi realizzare molti, sicuramente più di dieci.
"Night Eternal" ("Night Eternal")
"Extinct" ("Extinct")
"Upon The Blood of Men" ("Memorial")
"Dreamless (Lucifer and Lilith)" ("Night Eternal")
"Alpha Noir" ("Alpha Noir")
"From Lowering Skies" ("The Antidote")
"Herodisiac" ("Omega White")
"Malignia" ("Extinct")
"Luna" ("Memorial")
"Everything Invaded" ("The Antidote")