22 ott 2017

VIAGGIO NEL METAL AFRICANO: KENYA - MA TU ERI A MALINDI, COL GRUPPO DI GHINO, MANFREDI...?



Kenya, uno dei paesi africani più noti all'uomo della strada. Negli anni '80 meta di turismo di vario orientamento. Il dato più inatteso è la presenza della comunità religiosa di cristiani quaccheri più grande del mondo. Da noi il Kenya è sempre stato famoso per altro. Natura selvaggia, ma anche:

“Ma tu eri a Malindi, nel gruppo di Ghino, Manfredi....?”

Tratto da “Stasera a casa di Alice” di Verdone, è una citazione che a sua volta ripropone la più celebre
“Ma che frequenti il gruppo der Vichingo a Fregene? Conosci Franca, Manlio...?”

Malindi, in particolare, divenne famosa come luogo di vacanze di ricchi in cerca di trasgressioni (che poi si trovano anche in qualsiasi angolo dell'Italia più provinciale); ricordo in particolare il caso dell'allora Ministro Martelli e degli spinelli.

Decido di iniziare alla grande con The Seeds Of Datura, presentato come grind-death e autore di un EP omonimo. Scorro qualche foto e vedo un preoccupante tizio vestito come Bob Marley. Soprattutto però il primo video che compare dice “Kenyan rock band”...sto incredulo ad ascoltare una versione di “Californication” dei Red Hot Chili Peppers con ritornello berciato con il growl. C'è anche la versione definita “doom” in un altro video...uguale. Se volete li potete ingaggiare per la vostra festa, così recita la didascalia.

A parte questi video fuorvianti, in cui si rabbrividisce vedendo un headbanging sulle note di "Californication", quando suonano la loro musica in realtà fanno dell'apprezzabile death doom, solo più dinamico. … Almeno in un brano, perché nell'altro fanno pop-ambient, in un altro suonano un brano di rock melodico dal titolo “No one is born racist” per poi deturparlo con urla belluine e totale anarchia ritmica.

Va bene, dai, era un passo falso? Per fortuna sì, c'è ben altro in Kenya. Abbastanza per giustificare un breve documentario, in cui un DJ ci riporta subito all'impostazione esistenziale propria del Metal Africano. Una musica di emancipazione in senso positivo, come scarica delle “scorie” mentali e incitamento alla crescita personale. Per questo i (pochi) gruppi che trattano temi macabri o satanici ci tengono a rimarcare l'assoluta estraneità al satanismo e al culto della violenza, laddove nel mondo più ricco lo stesso tipo di gruppi millanta inesistenti coinvolgimenti con l'occulto.

Irony Destroyed assemblano insieme melodic death, riffing techno thrash e growling poliedrico (quando più tagliente, quando più cavernoso) in un flusso ritmico altamente instabile. L'assemblaggio è un po' da officina, ogni tanto la batteria va in pausa caffé, e sembra suonata con gli shanghai. La chitarra a tratti si ritrova da sola a pompare, si ferma e cambia binario. Il tutto quindi suona un po' troppo come una “prova”, anche se la varietà di riff che il chitarrista si inventa è sufficiente per un paio di lp. Irrompe dopo un quarto d'ora una voce femminile pulita giustapposta a quella maschile.

Per rimanere sul death melodico, ma meglio registrato e assemblato, con ricercatezze cacofoniche più volute e particolari, allora i Lust of a Dying Breed (a parte il terrificante gioco di parole del nome). Non c'è molto materiale subito disponibile on-line, ma il progetto sembra più in linea con il death europeo, sia nell'iconografia che nell'impostazione.

Absence of Light. Il loro EP su YouTube si attira le ire di commentatori cristiani: “Dio esiste e vi punirà tutti!”. Sbrigativamente etichettati come deathcore, i nostri suonano un death-grind dalle sfumature orientaleggianti, in barba all'Africa. Anche perché i nostri dell'Africa se ne sbattono i cosiddetti, visto che sono indiani (ma residenti a Nairobi), e dal titolo e dalla copertina del disco “Vyom Chakra” si cominciava a sospettare qualche incongruenza. Buon death metal in gran parte strumentale, il che secondo il mio parere lo rende più interessante.

Dio sicuramente, se esiste, non punirà invece gli In Oath. death-grind con tematiche cristiane (si direbbe). Buona fattura, in linea con tutto il grind africano, che per ora non ha mai deluso.

Mortal Soul. Qui siamo sul metal core africano, una sorta di pop metalizzato, in cui l'elemento peculiare è costituito dal timbro growl che irrompe a tratti, o per segmenti interi, brutalizzando, ma con misura, l'insieme. Un genere che in Europa non si trova tale e quale, ma che prossimamente potremmo vedere a programmi tipo X Factor. Nonostante gli autori Africani affermino di suonare “contro” il sistema discografico che privilegia musica etnica o pop innocuo, questo filone del pop-core appare sempre più come un tentativo empirico ma non ingenuo di conciliare la durezza del metal con l'esigenza dell'orecchiabilità. Qualche guizzo d'orgoglio ce l'hanno i nostri, verso lidi più power metal, o thrasheggianti, il che li fa suonare come vicini a certo post-death metal melodico, ormai sciolto nell'acido di melodie pop o dark. Alla fine, il metal-core africano è un genere di confine, come poteva essere per il mondo occidentale l'hard rock, o il metal prima dei generi. La stranezza sta nel fatto che mentre quello attingeva ai generi rock per stemperare elementi metal isolati, quasi sempre chitarristici, qui si attinge al metal per appesantire strutture-canzone sostanzialmente rock.

Anche i Last Year's Tragedy fanno librare nell'aria il loro metalcore che procede bene tra tastiere e vocalizzi death, su architetture meno ancorate alla forma canzone, e più progressive. Qui si fa evidente dai titoli quello che già abbiamo detto più volte: la malinconia (uno dei brani è dedicato ad un amico scomparso) è convertita in energia positiva e in speranza, e il metal è la chiave espressiva di questa speranza. Titoli come Generazione Luce o Marcia fuori dal sottosuolo, e anche Sfida accettata. Prendiamo il testo di quest'ultima: un'invocazione ad un'entità, che può essere Dio come la propria forza interiore, a superare il caos e restituire un senso alle cose, una prospettiva, un orizzonte. Con gli stessi strumenti e la stessa base sonora i My Dying Bride avrebbero costruito un inno al suicidio. Qui la sequenza è invertita: dal buio la luce, e non dopo la luce il buio. E' una sorta di anti-doom, o undoom, per coniare un nuovo termine. Il ribaltamento del destino negativo, anziché la sua scoperta, è al centro delle fantasie del metallaro africano.

Il vagito black metal che esce dal Kenya è decisamente confuso. Il cantante degli Irony Destoyed, da solo, mette in piedi un progetto di atmospheric black metal (Nelecc) dalla facciata convincente ma dalla musica che è più doom che altro. Niente di originale, e anche l'idea non è molto solida. Parlare della fine del mondo, del fatto che tutti torneremo polvere, il giorno del giudizio etc, che – dichiara lui – in effetti a pensarci mette un po' angoscia. Un doom egodistonico, cioè come si dice in psichiatria uno che canta, contro la propria volontà, cose che gli mettono più angoscia che altro. Ma deve farlo, rispondendo a qualche bisogno ancora più ancestrale che ancora non ha messo a fuoco.

Val la pena di citare, anche se siamo più dalle parti del rock duro che del metal propriamente detto, i Rash. Esilarante, ma presumo in maniera involontaria, il video di "Usiku Mbaya", dove si narrano i danni che può fare l'alcol, specie se bevuto in bicchieracci di plastica bianca e in baraccopoli dove sopravvivere non è scontato. I nostri cavalcano tematiche bacchettone: niente alcol, i videogiochi e i telefonini ci rendono automi. "Misafiri" narra il viaggio senza ritorno in cui i tossicodipendenti scelgono di imbarcarsi...vi garberebbe eh? E invece no. I tossicodipendenti si curano e possono benissimo star bene. Anzi, proprio quest'anno ho assistito ad una presentazione di medici kenyoti ad un congresso a Baltimora, in cui spiegavano come sono riusciti a far partire i primi ambulatori per tossicodipendenti a Nairobi. Quindi, cari Rash, meno prediche e più metal.

Ma la palma della performance migliore la vincono i REVA. Presumo sia una specie di scherzo, il cantante blatera con il tono di chi canticchia in auto con dietro lo stereo acceso (ascoltare “Satan is real”). Un altro brano, analogamente sembra un brano di un gruppo metal normale con sopra una voce che blatera per quattro minuti “Unataka Nini”, ovvero in swahili cazzo vuoi?. Ma al di là di tutto è innegabile il valore comico della versione acustica di “The trooper”, registrata dal vivo in presa diretta in occasione del live in Nakuru del 2007 (credo di conservare ancora intere riviste dedicate all'evento). Il pubblico (migliaia di persone) se ne stanno religiosamente in silenzio, così da creare la suggestione di una registrazione effettuata in camera propria nella tristezza più totale. Bella l'idea del disegno di Derek Riggs modificato con la bandiera del Kenya al posto di quella Inglese, che fa da sfondo al video di Luanda Magere.

Il Kenya, in questa indagine, appare come una sorta di crocevia, equivalente all'Angola sulla costa opposta. Per rendersi conto di cosa spinga i giovani africani a suonare metal val comunque la pena di vedersi dei reportage sulla musica popolare tribale, tipo sagra del pinolo, con tanto di sfilate in costume e animatori

https://www.youtube.com/watch?v=bGMQkZMycow

Ecco perché Nelecc costringe se stesso a suonare un doom metal che lo fa intimamente soffrire, pur di sottrarsi a tutto ciò.

Perdoniamo anche i Reva, che millanta performance live dallo stanzino delle scope.

A cura del Dottore