12 dic 2017

VIAGGIO NEL METAL AFRICANO - METAL DA COMBATTIMENTO TRA LE MACERIE DELLA LIBIA



Libia. Pare strano che in un posto così si trovi spazio per il metal. Prima paese povero, poi sviluppo ma sotto un regime che non avrebbe visto di buon occhio il metal se non altro in quanto musica “occidentale”, poi il casino della guerra civile.

Ma qualcosa comincia a fiorire, come in ogni lieto fine post-atomico. Anzi, qualcuno osava suonare metal di nascosto anche sotto Gheddafi.


I Rex Mortifier, per esempio, incisero un demo dalla copertina naif, in cui si sentono schitarrate e scatarrate, alternate al rumore della mamma di uno del gruppo che bussa incazzata alla porta della camera. Dopo circa 7 minuti la signora, complice anche un'inevitabile allentamento della tensione creativa, riesce a far cessare il baccano.

La realtà non dovrebbe essere molto distante, se si pensa che il fondatore Ghassan suonava di nascosto nel proprio garage, utilizzato anche come distilleria clandestina di alcol (con risultati prevedibili sulla lucidità dell'esecuzione).

Più rispettosi dei genitori sono i Funeral Moon, che incidono in sordina “Terrorism”, così da non disturbare nessuno. Se non avessero le facce pittate non saremmo neanche sicuri che è black. Il Black metal libico non finisce qui però, e abbiamo già capito che a loro piace “crudo” (raw).

I Deathcrush ci propinano un black vecchia scuola, in parte con sonorità ante-litteram, anche nei testi improntati alle solite suggestioni elementari, tipo Lucifero, Caproni, Demoni, dal titolo “Evoke the ancient curse”....insomma roba ad alto rischio di colpo di sonno. Curiosa la trovata di inserire nel logo non una ma tre croci capovolte, quelle dei due ladroni. La musica non è male, siamo dalle parti del black senza fronzoli (Setherial per esempio), che merita l'ascolto completo.

Metal nazionalista e anti-sionista è quello prodotto da Dragan Karadarevic (libico?), pubblicato su YouTube (cercate Lybian Metal o Free Lybian Metal) all'indomani della rivolta contro Gheddafi, sotto la bandiera del vecchio Regno di Libia). A Dragan sono riconducibili due gruppi: Soul Exhumation e Tasnim. I Soul Exhumation sotto la bandiera appunto di Libia libera narrano tra l'altro le gesta di Omar Mukhtar, che guidò l'insurrezione contro i colonizzatori italiani. I Tasnim lanciano un'invettiva contro l'occupazione palestinese da parte di Israele.

Abbiamo poi notizie di componenti di gruppi metal che militano, o millantano militanza, nei gruppi ribelli libici, come gli Acacus, e altri due in tenuta militare non meglio identificati che in un video si limitano a provare grugniti e bozze di riff, coinvolgendo anche la giornalista. Spulciando in rete, questi due somigliano in realtà ai Soul Exhumation, anche nell'abbigliamento. Secondo me sono loro.

Ma io credo in loro, per il nome che si sono scelti. Perché se siete attenti lettori di Metalmirror ricorderete che già il tema della riesumazione dei morti per bruciarne le spoglie, come seconda morte definitiva, è già apparso nel metal del Madagascar. In quel caso esumazione del cadavere. A sua volta questo tema echeggia i Suffocation e la loro teoria della triplice cremazione, in cui si bruciava anche l’anima, per sottrarla alla prelazione di Dio. L’esumazione dell’anima, una metafora della rinascita libica dalle macerie, che entra con salto carpiato nel vivo nel simbolismo trasversale del death metal teologico più colto. Ma siamo sicuri?  

Mentre infuria la battaglia il metal non solo spunta, ma si affina anche. Gli Oydis intrattengono con maestria per una trentina di minuti con il loro thrash melodico strumentale. Nei momenti migliori suonano come i Megadeth di "Rust in Peace", ma senza voce, il che li fa salire una spannetta sopra, vallo a spiegare a Mustaine. Gli Aphalon invece la voce ce la vogliono mettere, e compongono del corposo e muscoloso power metal, a tratti più cadenzato, a tratti più speed. Il problema è che a volte la voce andrebbe riascoltata, perché magari non sempre è buona la prima, si può correggersi e migliorare. Anche questo a Mustaine vaglielo a spiegare...

La Libia finisce qui, con un po’ di amarezza per non aver sentito produzioni di fatto originali o rappresentative della realtà locale. La sorpresa è stata però quella di aver scoperto un ruolo, perlomeno morale, del metal come musica con cui le truppe (erano due per la verità) si danno la carica e la forza di resistere.

A cura del Dottore