2 apr 2018

IL METAL FUORI DAL METAL: IL CASO DI ANNA VON HAUSSWOLFF




L'aspettavamo, è arrivata, non ci ha deluso: Anna Von Hausswolff ha fatto il salto di qualità che speravamo. Ma attenzione! Questo salto non è avvenuto in direzione del metal, come certi segnali ci avevano suggerito…

…eppure, o cultori del metallo,  siamo convinti che "Dead Magic", ultimo lavoro rilasciato dalla giovine svedese, non vi dispiacerà affatto...

La Von Hausswolff, in verità, è sempre stata un fenomeno più che altro tangenziale rispetto al metal: aveva destato la nostra attenzione indossando una maglietta di Burzum e dichiarandosi sua ammiratrice; con l'album "The Miraculous" aveva sporcato di drone e di oscuri rituali doomici la sua musica, già di per sé pregna di afflati mistici e tentazioni esoteriche; aveva inoltre prestato la sua ugola fatata ai Wolves in the Throne Room in un paio di brani di "Thrice Woven". La notizia, infine, che la produzione del nuovo lavoro fosse stata affidata a Rundall Dunn, già dietro il mixer per Sunn O))) e gli stessi Wolves in the Throne Room nel loro esperimento elettronico "Celestite", sembrava dunque una chiara indicazione dei lidi verso i quali la Nostra intendesse dirigersi. Ma, una volta giunta al momento della verità, con la consapevolezza di essere in una fase decisiva della propria carriera, la Nostra, pur perseguendo la via dell'oscurità, ha deciso di non proseguire sulla strada del "vil" metallo, per lo meno da un punto di vista formale.

L'essenza "metal" di questa artista, che possiamo oramai eleggere fra le più promettenti di questi tempi, è semmai presente ad un livello più profondo: di scrittura e di visione del medium della musica. E' qui che rispunta fuori il nome di Varg Vikernes, alfiere di una concezione contemplativa della musica vista come strumento di Trascendenza. La musica di Vikernes è sì espressione di interiorità, ma è anche un viaggio con destinazione metafisica; per certi aspetti ha intenti costruttivi nel cercare con caparbia convinzione, in un "Altrove", qualcosa che è andato irrimediabilmente perduto. Una discesa negli abissi del proprio Io volta a recuperare uno spirito ancestrale nel quale ritrovare saperi dimenticati.

Burzum rendeva tutto questo con un black metal ossessivo e dilatato che amava sconfinare nell'ambient, finendo per farsi quasi rito misterico. La Hausswolff fa la stessa identica cosa attraverso il suo organo a canne (che suona in modo superbo) ed una voce che, con il passare del tempo, si è rivelata capace di raggiungere vette inaudite (non a caso è stata spesso accostata ai virtuosismi di Kate Bush, ma oggi il suo estro si è spinto decisamente oltre).

L'elettricità, in questo suo ultimo lavoro, si dirada. Nel precedente "The Miraculous", per esempio, la chitarra era maggiormente presente, ma anche in quel caso essa non era una mera scorza esteriore utile ad attirare nuove frange di ammiratori provenienti dall'area del "rock pesante": per la Hausswolff, anzitutto, il metal, come ogni altra influenza, è funzionale ad una più perfetta espressione di un percorso che riflette una colta ricerca volta ad indagare il lato oscuro delle cose.

Di morte e resurrezione, in termini più che altro alchemici (ma anche simbolici e con forti significanze esistenziali), si parla in "Dead Magic", inquietante fin dalla copertina. Il sound viene ulteriormente modellato e la capacità dell'artista di saper alternare pieni (ad alta tensione drammatica) e vuoti (ai limiti della liturgia chiesastica) si sposta su un livello ulteriore di perfezione. I passaggi da una ambientazione all'altra, sebbene il range di sonorità si ampli, si fanno ancora più fluidi e densi di sfumature.

Da apprezzare le divagazioni psichedeliche derivate dalla tradizione kraut-rock (che chiaramente elevano il discorso ad un livello che piace molto ai salotti della musica bene) e  i graditi sconfinamenti verso certo prog oscuro degli anni settanta (Van Der Graaf Generator, Keith Emerson, ma io ci butterei dentro, a torto o a ragione, anche i nostrani Goblin): esemplificative di quanto appena affermato sono la seconda parte di "Ugly and Vengeful" (sedici mirabolanti minuti che a mio parere rimangono il momento più entusiasmante di una intera carriera) e la strumentale “The Marble Eye”.

Ma la vera sorpresa, a smarcarsi nettamente da un immaginario non molto dissimile da quello narratoci dai seminali Dead Can Dance, sono le sonorità/ossessioni swansiane adottate per la ballata "The Mysterious Vanishing of Electra", non a caso scelta come singolo: altra calata negli abissi, ma questa volta attraverso uno stile che sembra voler rimarcare le orme della Diamanda Galas più bluesy e crepuscolare.

Fra queste ficcanti visioni e costruzioni (ricordiamo che la Nostra rimane principalmente una musicista) ecco che, sottocutaneo, torna a serpeggiare lo spirito burzumiano, cosa che si capisce ancora meglio in sede live. Già, perché abbiamo anche avuto la fortuna di veder dal vivo l'ottima Anna (era la sera di lunedì 12/03/2018 ed eravamo al Dome di Londra, dove peraltro avevamo visto i Ruins of Beverast e la divina Anneke). E la sensazione di essersi ritrovati innanzi ad una artista eccezionale al top della sua forma è stata forte e chiara.

La Nostra, accompagnata da una band vera e propria, ha saputo allestire uno show dal forte potere evocativo, alternandosi fra ardite prove vocali (uno scricciolo di un metro e cinquanta che tira giù il soffitto a botte di acuti, potremmo definirla) e virtuosissimi assorti con il suo strumento. La scaletta, assai poco polposa, ha contemplato l'esecuzione di tutti brani dell'ultimo platter, fra cui ha brillato l'istant classic "The Mysterious Vanishing of Electra", dove la Nostra ha persino imbracciato la chitarra. Non poteva comunque mancare, unica perla dal passato, "Pomperipossa", breve quanto intensa. Ma mai così intensa quanto accaduto durante i bis: una “Gosta” per sola voce (a dire il vero inedita ai miei orecchi) cantata fra il pubblico.

A noi di Metal Mirror, tuttavia, queste smancerie ci interessano fino ad un certo punto: il nostro orecchio è stato tutto il tempo settato per carpire ciò che gli altri (per lo più artistoidi, freakettoni, personaggi delle foreste, vecchi progster e giovani senza arte né parte) non potevano capire: ossia lo spirito metal che sopravvive nell'arte di questa nuova musa dell'oscurità. E questo spirito, per chi ha buone orecchie, è fortemente presente: le lezioni di Vikernes e Sunn O))) (complice ovviamente anche la mano del produttore Rundall Dunn) emergono soprattutto fra un brano e l'altro, nei lunghi incipit e negli altrettanto estesi interludi a base di fruscii di chitarra, droni e raggelanti tastiere: fasi in cui non succede nulla, in cui l'artista sembra assumere un atteggiamento di glaciale contemplazione, in cui il tempo pare fermarsi, sospendersi, come se si aprisse un varco ad un'altra dimensione.

E' bello pensare che il metal grazie a poeti dell'abisso come Vikernes o audaci sperimentatori come Sunn O))) non sia più una mera questione di riff o velocità. Anna Von Hausswolff, più delle colleghe ChelseaWolfe ed Amalie Bruun, in arte Myrkur, sembra incarnare questo nuovo spirito del metal, più profondo, più dentro alle cose, più oltre le cose

Che siano donzelle di tal fattispecie, dopo decenni di stra-dominio maschile, ad incarnare il nuovo spirito del metal?