6 mag 2018

DUELLO NEL NORD: ABBATH CONTRO DEMONAZ




Il 6 luglio 2018, preceduto da un singolo di lancio previsto per l'11 maggio, uscirà "Northern Chaos Gods", nono full-lenght degli Immortal, a ben nove anni di distanza dal precedente "All Shall Fall". 

L'annuncio della imminente uscita di un nuovo album degli Immortal non può lasciarmi indifferente, soprattutto dopo tutto questo tempo. Tuttavia, a colpirmi più di ogni altra cosa, è apprendere (con colpevole ritardo) che Abbath non sarà della partita. I Nostri infatti si ripresenteranno sulle scene come duo, con il granitico Horgh dietro alle pelli (ormai unico punto di contatto in questo clamoroso passaggio di consegne) e il redivivo Demonaz, che, dopo anni di lavoro dietro alle quinte, torna in campo rivestendo il duplice ruolo di cantante e chitarrista (ricordiamo che per una grave forma di tendinite il Nostro si è visto costretto ad appendere al chiodo il proprio strumento e a dedicarsi alla sola stesura dei testi). Al basso, in qualità di turnista, troveremo invece Peter Tagtgren (anche produttore).

La domanda nasce dunque spontanea: cosa dobbiamo aspettarci da una formazione che vedrà l'assenza (pesantissima) di quello che è stato il compositore principale della band negli ultimi vent'anni e che, di contro, vedrà al suo posto uno che non tocca plettro da altrettanti anni e che per giunta non è mai stato il vocalist della band? 

Cercando informazioni sulla rete apprendo che nel 2015 ha avuto luogo una contesa legale del marchio che ha contrapposto Abbath e il resto della band: disputa che ha poi visto la vittoria del duo Demonaz/Horgh, appunto. Ci sarebbe da chiedersi in base a cosa sia scaturita una sentenza del genere, visto che Abbath si è caricato sulle spalle le sorti della band a partire dal momento in cui Demonaz si è tirato indietro (c'è da supporre che il giudice sia stato mosso da pietà, ritenendo che la figura artistica di Abbath fosse solida a sufficienza per sopravvivere con le sole proprie forze ed al netto del nome della band, mentre Demonaz da solo, nella medesima situazione, sarebbe stato costretto a dedicarsi all'accattonaggio). 

Ma soprattutto: cosa può essere successo di così grave fra gli irriducibili Demon Brothers (uniti fin dai tempi degli Old Funeral!) tanto da condurli a questa squallida disputa ed alla conseguente separazione? Divorzio avvenuto in malo modo, per giunta, visto che si narra che Abbath se ne sia andato portandosi via gran parte del materiale scritto con la band per foraggiare la sua causa solista (concretizzatasi poi nel 2016 con l'album "Abbath"). Un epilogo difficile da comprendere se si conosce la storia della band e se si considera l'amorevole atteggiamento di Abbath nei confronti dell'infortunato compare, mantenuto come membro effettivo della squadra in qualità di paroliere (va riconosciuta al buon Demonaz, del resto, la paternità del fantastico mondo di Blashyrkh, il cui immaginario costituisce da sempre lo sfondo concettuale della musica della band). Potremmo supporre che nel momento in cui Denonaz sia tornato fisicamente in forma e si sia dichiarato pronto a lavorare a tempo pieno per la band, Abbath abbia mostrato perplessità/reticenze/resistenze nel dividere nuovamente la leadership in seno a quella che era ormai divenuta a tutti gli effetti la sua creatura. 

Sia quel che sia, ho deciso di vederci chiaro e sono andato dritto al cuore della questione: la musica

Parto dal presupposto che a me la seconda metà della carriera degli Immortal, quella capitanata dal solo Abbath, non mi è dispiaciuta affatto, sebbene come fan della prima ora rimanga sentimentalmente legato ai primi lavori della band. Comprendo infatti che Abbath abbia compiuto un'operazione necessaria per rivitalizzare un sound che, per quanto classico, rischiava di accartocciarsi su se stesso: per questo ben accolsi la svolta "bathoriana" che vide l'apertura verso inedite soluzioni melodiche e trame più complesse. E pazienza se i suoni laccati di Tagtgren hanno tolto quel fascino artigianale che poteva vantare la produzione precedente della band. Insomma, il concetto di fondo è che gli Immortal sono sopravvissuti bene alla dipartita forzata del loro chitarrista storico nonché membro co-fondatore Demonaz. 

Per farmi un'idea dello stato di salute attuale di Abbath e di che pasta sarebbero stati gli Immortal se fossero rimasti sotto la sua guida, sono tornato a riascoltare con rinnovata attenzione proprio "Abbath", scaturito dal materiale scritto per la band madre prima dell'abbandono. Gli otto brani in scaletta stemperano le asperità più ferocemente black metal per portarsi su una dimensione stilistica più ampia dove vorrebbero convivere influenze che vanno dal thrash metal al death metal passando per l'heavy metal classico. Di black rimangono l'inconfondibile latrato di Abbath e i continui rimandi al sound bathoriano; a mancare è però quell'atmosfera e quel gelo che contraddistinguevano i lavori degli Immortal. 

Nel complesso l'impresa è comunque da promuovere, vuoi per la capacità da parte del cantante/chitarrista di mettere in piedi un sound solido quanto personale, vuoi per la volontà dello stesso di scostarsi dai propositi e dagli stilemi classici della band madre. A gettare una secchiata di amarezza sull'ascolto, tuttavia, sono due bonus-track presenti nella versione da me rispolverata in questi giorni: "Riding on the Wind", cover fuori luogo dei Judas Priest (assai aderente all'originale, salvo per la voce da gallinaccio spennato di Abbath), va a confermare quanto siano necessariamente fallimentari tutti quei tentativi compiuti dalle band dedite al metal estremo nel cimentarsi con il canzoniere del metal classico; il rifacimento di "Nebular Ravens Winter" dimostra invece, come se ce ne fosse bisogno, di quanto siano innegabilmente superiori gli Immortal con ancora Demonaz in formazione (anche al minimo sindacale, visto che "Blizzard Beasts" non è certo da annoverare fra le prove più esaltanti dei norvegesi) rispetto all'Abbath solista ed anche ai "suoi" Immortal. 

Ad onor di completezza, per meglio comprendere il fenomeno Abbath, ho buttato anche un orecchio su "Beween Two Worlds" (anno 2006), unica filiazione del progetto I, sorta di super-gruppo che, oltre a vedere la presenza di Abbath come cantante/chitarrista e di Demonaz a curare i testi, annoverava in formazione Armagedda alla batteria (già negli Immortal ai tempi di "Diabolical Fullmoon Mysticism"), Ice Dale alla chitarra (non altro che Arve Isdal degli Enslaved) e King dei Gorgoroth al basso. L'ascolto di questo album, in verità, può solo fornirci indicazioni in merito agli sviluppi che avrebbe preso il percorso solista di Abbath, in quanto in esso venivano a concretizzarsi per la prima volta quelle pulsioni punk, hard rock e heavy classico (Motorhead, Kiss, Ronnie James Dio sono i primi nomi che vengono in mente) che sarebbero poi riemerse puntualmente in "Abbath". 

Voltiamo pagina ed andiamo ad analizzare "March of the Norse", l'album solista di Demonaz, rilasciato nel 2011. Il Nostro si presenta qui nelle inedite vesti di cantante, accompagnato da tre/quarti degli appena citati I, con Abbath "retrocesso" al basso, Armagedda alle pelli ed Ice Dale alle sei corde, a conferma che il povero Demonaz, anche dopo così tanti anni, non era ancora nelle condizioni di impugnare il suo strumento. Che dire di "March of the Norse": intro e primo brano promettono più che bene, riesumando in modo scolastico ma ispirato i soliti Bathory, amore evidentemente insopprimibile per i due Demon Brothers. Epicità nordica al cubo, dunque, che viaggia su efficaci tempi medi, forte di riff di chitarra scorrevoli ed una prestazione vocale che, senza entusiasmare, nel complesso regge. A non reggere è l'album nella sua interezza, che fin da subito pecca gravemente di monotonia: tutti i brani tendono ad assomigliarsi in modo inquietante e pure gli elementi che erano stati apprezzati nei primi pezzi finiscono presto per stancare nella loro pedissequa ripetizione. Si apprezza l'attitudine, piace il mood, non dispiace l'approccio vocale di Demonaz (che non si discosta poi così tanto da quello del compare), ma insomma, se il futuro degli Immortal dovesse poggiare su queste basi, c'è da preoccuparsi. 

Se poi dopo questo excursus torniamo agli Immortal di Abbath, ci sentiremo su un altro pianeta. 

Cosa dobbiamo dunque aspettarci da "Northern Chaos Gods"? Demonaz, nel tronfio proclama presente sul sito ufficiale, fa presente che il prossimo album sarà violentissimo e tornerà a pescare esclusivamente nel passato della band, non avendo gli Immortal bisogno di riferimenti esterni (stoccata all'ex collega?): cosa che farebbe dunque pensare ad un gradito ritorno alle sonorità di capolavori come "Pure Holocaust" e "Battles in the North". Il problema è che, buoni propositi a parte, i "nuovi" Immortal vedono in cabina di comando uno che la chitarra, negli ultimi venti anni, l'ha vista appesa sul muro del soggiorno, e che a conti fatti non ha mai cantato, ad eccezione di un solo album che peraltro non è mai stato portato sul palco (cosa che desta preoccupazioni anche sul fronte della resa della band dal vivo). 

A gettare ulteriori inquietudini è il risalto dato, sempre nel medesimo proclama, al lato concettuale del nuovo lavoro, ai riferimenti al famigerato regno di Blashyrkh e dunque ai testi, che in effetti rimangono l'unico oggettivo contributo al mondo da parte di Demonaz negli ultimi venti anni di carriera. Ma quanto poi saranno rilevanti questi benedetti testi in un album degli Immortal? Mica si parla di cantautorato o hip-hop... 

Mi sa che ci tocca confidare in Horgh...