24 nov 2018

"HALLOWEEN", "SUSPIRIA" 2018: COLONNE SONORE A CONFRONTO



Tempo di remake, sequel, rifacimenti, omaggi, chiamateli come vi pare: il concetto è che le idee nuove scarseggiano e che dunque si guarda ancora una volta al passato. Michael Myers torna ad ammazzare e tornano ad ammazzare anche le streghe di “Suspiria”. Ma non si tratta, in fin dei conti, di tristi revival. E non si tratta, per noi, di recensire film, ma di parlare di musica. 

Luca Guadagnino, che ha sfiorato l’oscar con “Call me by your name” (a dirla tutta un’operazione un po’ furbetta), si cimenta con l’horror, confrontandosi niente meno che con “Suspiria”, anno 1977. Non ci indigna il fatto che un regista dedito di solito al drammatico abbia avuto l’ardire di confrontarsi con un classico indiscusso del cinema dell’orrore. Anzi ci piace l’idea, perché il film avrà un taglio sicuramente diverso rispetto all’originale e in più c’è la mitica Tilda Swinton in versione strega ad ispirarsi niente meno che a Pina Bausch (mica cazzi), c’è la Berlino del 1977 e ci sarà una palata di intellettualismi, estetismi fini a se stessi che tutto sommato ci incuriosiscono. Tanto per aggiungere antipatia all’antipatia, Thom Yorke dei Radiohead è stato scelto per la stesura della colonna sonora e siamo certi che anch’egli, come il regista, avrà avuto la spocchia sufficiente per affrontare l’impresa a modo suo, senza troppa reverenza nei confronti di chi l’ha preceduto. Nella fattispecie: i nostrani Goblin

Quello che invece proprio non si poteva toccare è il tema musicale di “Halloween - La Notte delle streghe”, che negli anni è divenuto quanto di più idealtipico ci possa essere in fatto di colonne sonore di film horror (se la gioca senz’altro con gli stessi Goblin di “Profondo Rosso” e con il Mike Oldfield di “Tubular Bells”/“The Exorcist”). Un tema musicale che è divenuto un vero e proprio brand e che per questo non poteva essere ignorato, tanto più che il nuovo “Halloween” è il seguito diretto del primo seminale episodio: ambientato quaranta anni dopo, l'“Halloween” diretto da David Gordon Green ignora tutte le vicende descritte nei capitoli intermedi (ben nove!), partendo dal presupposto che Myers fu catturato alla fine del primo episodio e che per tutti questi anni se ne è stato recluso in un manicomio criminale di massima sicurezza. 

Trovata di marketing per destare l'attenzione e rendere più appetibile una pietanza riscaldata e ricucinata in tutte le salse? Forse, fatto sta che questa soluzione mi ha instillato la scintilla della curiosità: non dico che ho visto il film, ma almeno ho letto qualcosa e ho ascoltato la colonna sonora, che per forza pesca a piene mani da quella originaria, anche perché nell’operazione sopravvive il nome di John Carpenter, accanto a quelli del figlio Cody e di Daniel Davies

La pellicola del 1978 era un thriller che trovava la sua forza in una grande suspense creata ad arte con pochissimi mezzi, tanto che il film si impose da subito come un classico, con grandi incassi al botteghino alla faccia delle esigue spese sostenute per realizzarlo. La genialità artigianale di John Carpenter si trasferiva sulla colonna sonora, di cui era egli stesso l’autore: giro ipnotico di pianoforte con lastre di synth a gettare tensione, un po’ sulla falsariga di quanto fatto qualche anno prima da Goblin e Mike Oldfield. La versione anno 2018 di quel celeberrimo gruppo di note non si discosta più di tanto dall’originale, guadagnando di intensità grazie al pulsare techno e a robuste iniezioni di chitarra. A tratti il risultato rasenta l’industrial-metal, in altre il gothic-metal (se così non fosse, del resto, non ne parleremmo sul Metal Mirror). Ma a convincere più di tutto é quella schiettezza, quella efficacia che potremmo attribuire alla “Vecchia Scuola”, ossia quel modo di fare che, partendo da idee semplici ma vincenti, colpisce inevitabilmente nel segno. 

Esattamente come fa il sequel firmato da Green, che certo non può rivaleggiare con l'illustre predecessore, ma che perlomeno recupera l’idea del Male che si manifesta senza tante spiegazioni. Accantonate tutte le velleità psico-sociologiche con cui i capitoli precedenti cercavano di spiegare la furia omicida di Mike Myers (riconducendola a chissà quali traumi infantili), l'“Halloween” del 2018 resuscita lo spirito di Male immanente che animava le gesta irrazionali dell’assassino nel primo episodio. 

Discorso diverso va fatto per la pellicola di Dario Argento. Senza niente togliere al regista romano, che peraltro adoriamo (almeno fino ad “Inferno”), “Suspiria”, al netto di fotografia (strepitosa) ed atmosfera (realmente inquietante e malata), è una irrazionale sequela di ammazzamenti di donne, niente più niente meno. Questo per dire che trama e sceneggiatura, vabbè, sono quello che sono, e che la forza del film risiedeva piuttosto nel talento visionario del regista. Il commento musicale dei Goblin ne era il perfetto compendio, con l'oramai collaudato prog orrorifico che bissava (se non superava) i fasti di “Profondo Rosso”. Il latrato metafisico di Claudio Simonetti con il motivo ipnotico e soprannaturale delle sue tastiere erano ancor più terrorizzanti delle scene stesse del film. 

Cosa aspettarsi dal genio musicale del terzo millennio Thom Yorke? Anzitutto c’è da premettere che oggi la dimensione della colonna sonora è divenuta una sorta di utile via di fuga per artisti giunti ad un vicolo cieco della propria carriera. In fin dei conti una colonna sonora dà visibilità, porta freschezza in quanto sfida inedita e non mette più di tanta pressione all'artista, che viene sgravato di molte responsabilità. Trent Reznor, per esempio, giunto alle secche con i suoi Nine Inch Nails, a partire dalla musicazione di “The Social Network” (anno 2010) è riuscito a resuscitare e a vivere una seconda vita artistica, raggiungendo, nel corso degli anni, lo status di compositore richiestissimo negli ambienti cinematografici. Che Thom Yorke, sulla scia del collega Johnny Greenwood (chitarrista/polistrumentista dei Radiohead ed attivo da anni sul campo delle colonne sonore - si veda il buon lavoro svolto per i film del maestro Paul Thomas Anderson) abbia avuto la stessa pensata? 

L’idea di sceglierlo è stata comunque vincente per l'operazione nel complesso: uno perché un nome del genere non può che dare ulteriore lustro all’operazione, due perché la musica dei Radiohead ha comunque un qualcosa di spettrale. Se dunque le ballate di piano e voce non sfigurerebbero in un disco della band madre (del resto non poteva che spuntare, qua e là, la componente cantautoriale), le parti strumentali (basate principalmente su gelide partiture di sintetizzatori) hanno un loro fascino cinematico. Quello che manca è la malattia, il gusto perverso che avevano i primi film di Argento in primis e che avevano anche i temi orrorifici scritti dai Goblin. 

Sebbene l’operato di Yorke sia stato qua e là stroncato (o per seghe mentali del critico di turno o per pretestuosi paragoni con il materiale originario), noi decidiamo di salvarlo perché, per quanto dispersivo e disorganico, si tratta di un lavoro di pregio (del resto invito questi critici ad ascoltare un disco intero dei Goblin per vedere se trovano maggiore omogeneità). 

Quello che fa più pensare è come abbiano avuto vita “facile” gli artefici della colonna dell’”Halloween” targato 2018, limitandosi a lucidare a nuovo del materiale già esistente senza poi metterci più di tanto di farina del proprio sacco, e come invece sia stato condannato fin dall'inizio  alla sconfitta un artista che abbia provato a reinterpretare, in modo personale, del materiale altrettanto classico. È forse il gioco delle aspettative ad avere a un ruolo fondamentale in tutto ciò che è fruire arte o intrattenimento. E' un po' il discorso che si faceva prima: poche idee e semplici, ma incisive, contro la fragilità di una ricerca formale che sappia soddisfare più punti di vista e che in particolare sappia conciliare esigenze filmico/narrative e percorso artistico/personale, coerenza e sperimentazione, aderenza al canone e voglia di dire qualcosa di nuovo. 

Noi, come al solito, sappiamo filtrare le criticità e comprendere l'insieme nella sua complessità, assumendo posizioni che, modestamente, sono le migliori in circolazione: se da un lato siamo solidali con il buon Yorke, augurandogli di trovare una via che lo soddisfi come uomo e come artista, dall'altro, mentre lo abbracciamo, ci ascoltiamo a tutto volume la colonna sonora di “Halloween”, che in questa versione 2018 si fa ancora più gagliarda...