20 dic 2023

BRUTUS: VIVA LA GIOVENTU'! - LIVE IN LONDON (07/12/2023)


Probabilmente non ve ne fregherà niente, ma volevo farvi sapere che l'anno scorso il mio disco dell'anno è stato "Unison Life" dei Brutus: incontrati quasi per caso, è stato amore a prima vista. Un vero colpo di fulmine, ma non mi sento unico né privilegiato in questa storia d'amore, credo che a molti sia andata esattamente alla stessa maniera: digiti "brutus band" nella stringa di ricerca di YouTube e ti imbatti in "War", probabilmente fra i venti brani più belli realizzati nel terzo millennio. Incuriosito, anzi folgorato, decidi di approfondire e scopri un gruppo capace di realizzare brani sempre emozionanti, a volte orecchiabili, a volte meno, ma mai banali. 

Descrivere la musica del trio belga non è semplice. Se in genere i Nostri vengono ricondotti nel vasto bacino del post-hardcore (che oggi è come dire tutto e niente), il loro universo sonoro rimane indubbiamente di difficile catalogazione, contemplando elementi da galassie musicali diverse: dal punk e l'hardcore al post-rock passando dal metal e dall’alternative rock, il tutto trainato dalla roboante voce della batterista Stefanie Mannaerts!

Eccomi dunque all'Islington Assembly Hall per saggiarne le qualità sul palco. E lo dico fin da subito: questa sarà una spudorata promozione della band! 

Il locale non registra il sold out, cosa che non mi stupisce (ma del resto si parla di una band ancora abbastanza di nicchia). A stupirmi invece è la scarsissima presenza di metallari (strano, perché conobbi i Brutus proprio leggendo una intervista su una testata metal ed ero certo che una parte considerevole della loro fan-base fosse proprio costituita da metallari). La platea è invece composta principalmente da indie-rocker hipster. E posso aggiungere che tutti sono qui per loro: se infatti di solito per raccattare un po' di spettatori in più le band o i loro tour manager oggigiorno sono soliti tirare a bordo qualche band di spalla dal nome già noto o di potenziale interesse, questo non è stato assolutamente il caso dei Nostri che hanno (o si ritrovano) come supporter un'artista pressoché sconosciuta, almeno ad un pubblico rock...

Parlo di Karin Park, cantante e compositrice operante in ambito synth-pop ed industrial: classe 1978, svedese di nascita e norvegese di adozione, a giro da vent'anni e con otto album alle spalle. La cosa che ci fa ben sperare è scovare nella sua discografia una collaborazione con il guru del dark-ambient Lustmord (mi riferisco all'album "ALTER" del 2021, che tuttavia non mi  ha esaltato). 

Magari non è andata esattamente cosi, ma mi piace pensare che Karin Park sia una che si prende molto sul serio, che crede molto in quello che fa e che stasera si presenta un po' alticcia sul palco e alquanto contrariata nel ritrovarsi, come ogni altra sera di questo tour, di fronte ad una platea a cui non frega un cazzo della sua musica. Indossa una pacchianissima tuta bianca con simboli esoterici, ha i capelli corti ed unti ed orecchini vistosi. Non sembra molto in controllo dei propri movimenti, barcolla, a momenti inciampa, sorride in modo forzato, prova ad accendere un candelotto di incenso per fare atmosfera, ma ci riesce solo all’ottavo tentativo sotto lo sguardo perplesso delle persone nelle prime file. Guarda il pubblico con turbata curiosità, come a dire "vediamo chi cazzo c'è stasera a cui non fregherà un cazzo della mia musica...". 

Fatta eccezione per il brano iniziale a base di enfatiche tastiere e gorgheggi eterei, il set della serata si incentrerà su un synth-pop molto ritmato e a tratti pestone: i bassi pompano, la cassa picchia, la Nostra si muove con mosse affettate spippolando a doppia mano le manopole dei vari macchinari che la circondano. Il groove non manca, peccato che come voce la Nostra mi ricordi un po' Kylie Minogue (se solo mi sentisse dire questa cosa, son sicuro mi salterebbe con un coltello alla gola, lei che dice di ispirarsi a Bjork, Fever Ray e Massive Attack). Il pubblico è abbastanza impassibile, un po' perché non ha idea di chi sia Karin Park, un po' per le sonorità così distanti da quelle dei Brutus, ma soprattutto perché siamo ancora ad inizio serata: fossimo stati nell'after show di un lungo ed appagante festival, con molto più alcol in corpo, i beat pulsanti e le cavalcate epiche di Karin Park avrebbe sortito effetti ben diversi. 

Forse Karin lo sa, ma continua a far buon viso a cattivo gioco, ad operare con ostinazione e nevrotica autoreferenzialità cercando di scacciarsi dalla testa il sospetto - quasi certezza - che a nessuno freghi un cazzo della sua musica. Se devo essere onesto, a me la sua esibizione non è dispiaciuta, tanto che ad un certo punto, beccando con giusto tempismo un frangente fra una pausa ed una prevedibile ripartenza, ho gettato un urletto incoraggiante, presto rinforzato da qualche ululato di altri astanti. Non proprio una ovazione, ma la reazione deve essere bastata alla Karin che ha gradito quasi con imbarazzo, sfoderando un rigido sorriso ed invitandoci con entrambe le mani a placare gli entusiasmi, che, davvero, non ce n’è bisogno. 

Impeccabile nel canto (pulito e potente) come nel maneggiare i vari congegni, la Nostra completa la mezzoretta scarsa del suo show con una incalzante coda ai limiti della techno che aveva iniziato a smuovere qualche culo in pista, peccato che tutto poi sia finito sul più bello. Karin sorride ma con gli occhi sembra dire “ma andatevene tutti affanculo, voi e i Brutus, sapete una sega voi cosa è la musica!” e si congeda ricordando chi è ed invitando a comprare qualcosa al banchetto del merchandise, dileguandosi poi in tutta la sua tragica mestizia. 

Passiamo ai Brutus. C’è da dire che quest'anno i Nostri sono stati più su un palco che nel salotto di casa propria. Il trio belga ha macinato date su date, sia come headliner che partecipando ai festival più disparati, e non nego di aver maturato alla vigilia dell'evento una lieve preoccupazione in merito alla tenuta fisica e mentale dei Nostri, ed in particolare di Stefanie, impegnata sia al microfono che alla batteria: un doppio ruolo non di poco conto. Reggerà la sua voce? Riuscirà la nostra eroina a portare sul palco quelle stupende linee vocali che ci hanno fatto sognare su disco? Sarà in grado, al tempo stesso, di mantenere precisione e potenza dietro alle pelli? 

La visione di qualche estratto live in rete non mi aveva fatto ben sperare, ma fortunatamente mi son dovuto ricredere: Stefanie è una vera forza della natura, un caso raro, forse unico. Ha una voce che tira giù il soffitto (mai sentita una roba cosi in vita mia) ed energia a volontà per picchiare come una tarantolata per tutta la durata del concerto (un’oretta ed un quarto: non molto, ma la giusta misura per una band giovane che ha all’attivo solo tre album, un repertorio non ampissimo e che dà il massimo una volta messo piede su un palco). Una performance, quella dei Brutus, di grande intensità e che mi ha fatto gridare “Viva la gioventù!”, soprattutto se penso agli svogliati, prevedibili e calcolati concerti di molte cariatidi del rock e del metal ancora in grado di richiamare stadi interi di fan.

I Nostri guardano alla sostanza: abiti casual, nessun fronzolo scenografico, solo un telo bianco alle loro spalle con gli amplificatori in bella vista e la classica batteria di lato posta su una pedana per mettere in evidenza le gesta della cantante/batterista. L'ingresso della band sul palco è accompagnata da una epica introduzione di tastiere, poi di colpo è silenzio ed attacca l’arpeggio di “War”: emozioni. La voce di Stefanie giunge forte e chiara ma la vera prova del nove sarà l’esplosione della sezione ritmica. “War” è una piccola operetta che si apre come una ballad per poi inasprirsi in ritmiche sincopate ed avvolgenti trame di chitarre, ora di matrice metal, ora dal sapore post-rock/shoegaze. Il brano supera la prova del palco e, rassicurati sulla tenuta fisica della band, non resta che godersi sereni il resto del concerto. 

La scaletta prevede tredici brani pescati principalmente da “Unison Life” (ben otto gli estratti), ma senza che siano trascurati episodi dai primi due album “BURST” e “Nest”. Se la batterista/cantante è indubbiamente il fattore trainante, i suoi due stimati colleghi non sono da vedere come semplici gregari. Stijn Vanhoegaerden è un riff-maker di razza, dotato di grande versatilità e di un innegabile talento melodico: dal fare assai dimesso e decisamente introverso, egli si rivelerà una fucina inesauribile di passaggi ritmici e melodici di gran pregio. Peter Mulders, di contro, si mostra disinvolto, spigliato ed assai dinamico sulle assi, assicurando con il proprio basso (spesso distorto ed in evidenza) una prova muscolare ed un indispensabile supporto allo spessore del suono. Anche per la stazza fisica, è meritata sicuramente la sua posizione al centro del palco. 

I brani si susseguono con grande equilibrio, alternando momenti di quiete e passaggi più sostenuti, ma senza mai perdere in tensione. Ci si emoziona con i forte-adagio di "Miles Away", si piange con il ritornello urlato di "What Have We Done" (una bella power-ballad che figura indubbiamente fra i migliori momenti del loro repertorio), si riprende fiato con gli svolazzi canori della sempre gradita "Space", parentesi rilassante in un set dominato dalle distorsioni e non certo avaro di up-tempo. I tre infatti sanno anche graffiare e lo dimostrano brani come "Horder II", “Brave” e “Liar”, in occasione dei quali si è persino acceso il pogo nelle prime file (cosa inaspettata considerato un pubblico non di estrazione metal). 

L’apice della serata si tocca con la lunga e tortuosa “Sugar Dragon”, saliscendi emotivo che vede i Nostri destreggiarsi fra pieni e vuoti, rallentamenti ed accelerazioni: solite forza e fragilità indissolubilmente unite nell'originale melting pot sonoro architettato dalla band. Il brano costituisce senz’altro un excursus estenuante per i musicisti, e non a caso al termine dello stesso, per l’unica volta della serata, Stefanie si porterà al centro del palco per godersi il caloroso applauso del pubblico e con generosità indirizzarlo verso i due compagni, mai troppo celebrati. Poi, visibilmente provata, torna alla sua postazione per consumare le ultime energie a disposizione nell’immancabile “Victoria”, brano trascinante che si è guadagnato il ruolo di gran finale in questo scorcio di tour

Che graffino o accarezzino, i Brutus sono sempre in grado di convincere, e molto del merito va alla buona Stefanie. La Nostra, come gli altri membri della band, è stata tutto il tempo iper-focalizzata sulla musica, non ha dispensato quell’aura solare e positiva che mi sarei aspettato, ma ha sfoderato una grinta ed una determinazione eccezionali sul palco. Con la lunga chioma al vento e la maglietta dei Sunn O)), la Nostra canta di lato con un microfono posto alla sua sinistra, mentre con le braccia e le gambe tortura incessantemente la batteria, tanto che continuamente ti vien da chiedere “ma come cazzo fa? Come fa a dare il massimo a questa maniera?”. Tira la voce fino alla raucedine (ma credo con consapevolezza, altrimenti sarebbe afona dopo tre serate così), picchia sulle pelli con tutta la sua forza, e se certo non ha la precisione di Lombardo, compensa con cuore, passione e dinamismo i limiti tecnici. Quanto all'interazione con il pubblico, si limita a qualche sentito thank you, abbozzando ad un certo punto un breve discorso di ringraziamento che tuttavia tradisce timidezza ed emotività. 

Se hanno un problema i Brutus (ammesso che sia un problema) è che sono ancora troppo puri, agiscono senza filtri, quasi con ingenuità, non badando minimamente alle questioni di facciata o di marketing. Ovviamente ci piacciono così come sono, forse il loro segreto è proprio questo, ma giunti al terzo album e conquistata una discreta popolarità, sarà forse tempo per i Nostri di uscire mentalmente dalla “cantina” e capire che taglio dare al loro percorso artistico e soprattutto come porsi nei confronti del music business. Le potenzialità per fare grandi cose ci sono, bisogna solo impiegare le energie nella giusta direzione. Inutile dirlo, attendiamo con trepidazione la loro prossima mossa! 

Intanto accontentiamoci di gridare ancora una volta: "Viva la gioventù!