24 dic 2023

IL METAL NON RIDE - X. FAITH NO MORE, METEORE DEL "NONSOLOMETAL"

 


Nell'epoca della consacrazione del metal ad un rango mediatico più elevato (cioè passare in rotazione su MTV), il pegno fu pagato in termini di apertura ai generi “metal ma non troppo”, “anche metal”, “non solo metal”.... Ecco, “non solo metal” era il perfetto slogan che esprimeva il senso di imbarazzo per il metal, la foglia di fico del metallaro quando si trovava a dover difendere in piazza le sue posizioni.

Escono questi Faith No More, con “Epic”, e poi “Falling to Pieces”, sostanzialmente i due singoli trainanti di “The Real Thing”, 1989 (ma tirava anche “We Care a Lot” dall'omonimo debut del 1985). Come definirli? Una specie di metal-rap-funk, un pop-rock-funk con vibrazioni metal. Un approccio scanzonato, per l'atteggiamento pagliaccesco nelle mimiche e nelle movenze del frontman Mike Patton, che aveva anche un ruolo in un progetto crossover non metal, i Mr. Bungle. E poi c'era un chitarrista freakettone: baffoni, occhiali colorati, a far percepire anche una componente più visionaria, non proprio psichedelica, ma caleidoscopica.

I Faith No More furono forse il primo gruppo di vero successo di questo genere, e di fatto la Breccia di Porta Pia che permise al nu metal di entrare con uno sbuffo di spore. Sullo sdoganamento della possibilità di contaminare il metal con sonorità funk-rap e alternative rock. Gli Anthrax e i Suicidal Tendencies avevano già provato a fare qualcosa, e forse infatti la vera idea di metal disimpegnato andrebbe ricondotta a quel connubio tra ambienti giovanili (skating, hip hop) e thrash, dando origine al mosh. Tuttavia, la critica sociale e l'autocelebrazione dell'hip-hop erano caratteristiche poco in linea con uno spirito parodistico e festaiolo. Forse c'era del grottesco, del fumettistico, ma rispetto al metal si trattava di esperimenti isolati, chiaramente esterni al corpo principale del movimento musicale e soprattutto fatti da gruppi che per il resto erano una garanzia di metallicità. Le prove di crossover tra skate punk, thrash e hardcore c'erano, ma tolta la facciata di presentazione caricaturale, in sede esecutiva, l'aria si faceva pesante. Quasi più metal del metal: se il metal ammetteva sputtanamenti melodici vari, l'hardcore no, se non per goliardia. Peraltro anche la commistione con il rap non è che fosse sinonimo, come erroneamente era percepito nell'Italia del 1990, di allegria e goliardia. Tenete conto che quando si parlava di rap, gli adolescenti italiani avevano presente il primo Jovanotti, e credevano che i Public Enemy fossero i Jovanotti neri.

Invece, per quanto il paragone sia impossibile, Jovanotti e Patton erano già personaggi più affini, anche se lo spessore musicale era diverso. Lo spirito dell'operazione a mio avviso non era poi così diverso: alle mie orecchie i Faith No More erano il nemico interno che muoveva nella stessa direzione del nemico esterno (Jovanotti che ingaggiava il chitarrista dei Royal Air Force per cantare ”Il capo della banda” sulla campionatura di "Back in Black").

La differenza tra crossover “funk”, altrimenti detto “nonsolometal”, e vero crossover sta nel baricentro. Nel crossover metal il baricentro è metal, o al limite sono due (metal e il genere o i generi incrociati). Nel nonsolometal il baricentro è esterno al metal, e di metal c'è qualche elemento posticcio, di impatto esteriore ma di alcun valore sostanziale, se preso isolatamente.

Non di vero crossover si tratta in questi casi, perchè il crossover deve unire o combinare generi partendo dal cuore degli stessi, non dai margini. E invece qui si trattava semplicemente di unire il metal “per tutti”, quello più rock, e contaminarlo con il rock, al limite del semplice progetto di alternative rock, senza bisogno di scomodare il metal.

Second il complesso del “nonsolometal”, i Faith No More allora erano visti come la prova di dignità che il metal offriva al pubblico viciniore. Un metallaro consapevole e maturo doveva dar prova di ascoltare “nonsolometal”: Una garanzia di rispettabilità. Un po' come per la Meloni fare professione di antisfascismo, e magari però apporci una targhetta tipo “Dio, patria e famiglia”, per dare un'affumicata ad un azzurro-destra che altrimenti sarebbe poco aggressivo.

Convinto come sono che un individuo deve innanzitutto rendere conto della propria categoria, e non del suo contrario, mi ha sempre disturbato che a legittimare il metal fosse l'abilità nel dare spazio e risalto al non-metal, con la scusa della contaminazione.

Il funk fu scelto come contaminante – e qui il fatto più irritante – perché dava l'idea di scherzo, di ironia, di leggerezza rispetto alla seriosità, autoreferenzialità e dogmaticità del metal. Nessuno ha mai incoraggiato e celebrato granché la contaminazione con la musica classica, ad esempio, che gli era invece affine, o con il folk: sono tendenze venute dopo (o, per il folk, da sempre presenti, a partire dagli Iron Maiden). No, il metal era un barbone che si doveva presentare ad una cena in giacca e cravatta. Un guerriero che si doveva presentare in sella ad un cavallo ma in mutande, per dimostrare autoironia.

Mike Patton era come un amico della mia comitiva metal. Arrivava, tutti ad acclamarlo, nelle foto e nei video faceva sempre boccacce e sberleffi. Non saprei neanche se fosse metallaro. Insomma: tutti a provare espressioni truci o a discutere se parlassero meglio di motoseghe i Death o gli Obituary, e le poche donne del gruppo reagivano solo quando qualcuno faceva il cretino parlando del nulla.

Fatto sta che appena hanno potuto, i Faith No More si sono allontanati dal metal, e ci voleva poco, visto che l'elemento meno importante della loro contaminazione era quello. Meno sentito, meno approfondito, direi. Come del resto quelle ragazze, passata l'era dello street e del grunge, smisero i panni delle “nonsolometallare”.

Il nonsolometal ride. 

Il metal capisce perfettamente lo spirito ironico. E non ride.

A cura del Dottore

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