16 giu 2025

VIAGGIO NEL DUNGEON SYNTH: SECRET STAIRWAYS



Giù per le segrete scale: Secret Stairways, "Enchantment of the Ring" (1997)

Abbiamo aperto la nostra rassegna evocando la storia a lieto fine del compositore inglese Jim Kirkwood che, attivo fin dallo scorcio finale degli anni ottanta e dopo aver operato moltissimi anni nel quasi anonimato, un giorno del 2012, navigando per internet, apprese per caso di essere divenuto una autentica Leggenda per gli appassionati del dungeon synth (genere a lui fino ad allora sconosciuto), i quali lo avevano riconosciuto come precursore e padrino del genere. 

Purtroppo non possiamo dire la stessa cosa di Matthew Daves, poli-strumentista americano che nella seconda metà degli anni novanta ha dato alla luce due lavori chiave e tutt'oggi grandemente celebrati negli ambienti del dungeon synth, ma che sarebbe morto suicida nel 2011, proprio un soffio prima che il genere venisse riscoperto e vivesse il suo rinnovato momento di popolarità. Questi due lavori, pubblicati rigorosamente in cassetta, rispondono ai nomi di “Enchantment of the Ring” (1997) e “Turning Point” (1999). Il primo in particolare verrà indicato come uno dei lavori più belli di sempre dell'epopea del dungeon synth e per questo il progetto dietro cui operava Daves, i Secret Stairways, diverrà un nome imprescindibile per la storia dell'intero genere. 

Matthew Davis, originario di Baldwinville (Massachusetts), non vanta un grandissimo curriculum in merito alle sue esperienze musicali, fatta eccezione ovviamente per il progetto Secret Stairways, per il quale verrà ricordato. Ma anch'egli, come molti altri, veniva dal metal. Guardando agli anni novanta, l’esperienze più corposa sembrerebbe essere stata quella maturata in seno ai Blackened Chapel, dove il Nostro si occupava di tutti gli strumenti. Durati quattro anni e fermatosi a tre demo (ed un live-album postumo), i Blackened Chapel vengono descritti da Metal Archives come atmospheric death/black metal. Sempre in quegli anni (dal 1993 al 1997 per l’esattezza), Daves si era anche dedicato al progetto Tears ov Blood, che invece spaziava fra sonorità dark-wave e dark-ambient: una precisazione importante perché la sensibilità gotica di Daves avrebbe contraddistinto il sound dei Secret Stairways, rendendo probabilmente la sua proposta meno cruda ed oscura di molte altre che invece presentano forti connessioni con l’universo sonoro e concettuale del black metal. 

Qui di black metal non troveremo assolutamente nulla: il suono dei Secret Stairways è pomposo ed elegante e costituisce per certi aspetti una anticipazione di quello che poi sarebbe divenuto il dungeon synth negli anni ’10 nella sua fase di maggiore inclinazione ad esplorare scenari fantasy senza troppo rovistare nel torbido

Un titolo come “Enchantment of the Ring” sembrerebbe inoltre richiamare in causa l’immaginario tolkeniano, cosa che non ci stupirebbe affatto, ma scorrendo i titoli degli otto brani (tutti strumentali) si capisce presto che Daves intendeva tratteggiare un mondo fantasy sui generis che sapeva pescare anche da molta mitologia pre-cristiana anglosassone. Si cita, fra gli altri, Finvarra, re di Daoine Sidhe secondo il folclore irlandese; si menziona la festa pagana di Lammas, la "Festa dei pani" con la quale i popoli anglosassoni celebravano l'inizio dell'autunno durante il Medioevo; si canta infine di Hi-Breasal, isola leggendaria che veniva collocata nell'Oceano Atlantico, sempre secondo la tradizione irlandese. 

La bellissima copertina in bianco e nero dallo squisito flavour artigianale (una delle più rappresentative dell'intera epopea del dungeon synth), tanto semplice quanto suggestiva, è una chiara anticipazione delle atmosfere misteriose ed arcaneggianti che ritroveremo nel tomo. In soli 29 minuti tondi tondi “Enchantment of the Ring” dischiude paesaggi vastissimi (titoli come “Reflections of the Lake”, “Eye of the Snow Queen” parlano chiaro) in cui l’ascoltatore può smarrirsi senza temere per la propria incolumità. Quello dei Secret Stairways (bellissimo monicker, peraltro) è un tipo di sound positivo e vibrante che attiva la voglia di calarsi in una dimensione di pura fantasia. L’ascoltatore, chiamato ad immergersi nei panni di stupefatto osservatore in universi sonori di grande suggestione, diviene audace esploratore di quegli stessi universi: bastano solo un po' di calma e la voglia di lasciarsi andare. 

La proposta dei Secret Stairways, in definitiva, è un incoraggiante invito alla solitudine intesa come dimensione privilegiata per la fruizione di esperienze soggettive: un suono, dunque, che possiede una reale componente meditativa e che non necessita, per colpire nel segno, di sprofondare a tutti i costi nelle nebbie e nelle tenebre di tetri riti misterici. 

Per certi aspetti non siamo lontani dalla new age: centrali risultano essere l’influenza dei Dead Can Dance (lato più etereo e folkish) e certe reminiscenze della kosmische musick teutonica, senza escludere influssi da parte del Burzum ambient (riconosciamo l'impronta di Vikernes in quei momenti in cui le melodie si fanno ricorsive, ipnotiche, con densi tappeti di tastiere contrappuntate dal suono circolare di arpa o altri strumenti a corda mimati come sempre dalle tastiere). 

Le qualità di poli-strumentista di Daves sono sicuramente un valore aggiunto: indiscutibilmente capace dietro ai tasti, egli avrà anche un occhio di riguardo per la componente ritmica (gli inserti di drum-machine, sempre azzeccati e calzanti, si giovano della sua sensibilità di batterista) e si dimostrerà persino abile nell'inserire fraseggi di chitarra lungo i solchi di un genere che di solito non ammette intromissioni al di fuori di tastiere e sintetizzatori. Ne sono una prima lampante dimostrazione le fluide note di chitarra elettrica che si inseriscono con delicatezza nelle pieghe della maestosa openerWhat Lies Beyond the Door” (chiaro invito a sbloccare i freni inibitori della sfera razionale) conferendo al brano un piacevole flavour pinkfloydiano

Come già accaduto in “Depressive Silence [II]” (album con il quale “Enchantment of the Ring” ha molto in comune), il meglio arriva alla fine. Mi riferisco alla imponente “Onward, To Hy Breasail”, sei minuti per cui è valsa la pena di essersi impelagati in 'sto cazzo di dungeon synth! 

Il brano viene introdotto da struggenti tastiere che sembrano scippate dal capolavoro dei Death in JuneBut, What Ends When the Symbols Shatter?” per poi svilupparsi lungo i binari di un crescendo pregno di pathos: determinante l'avvento della drum-machine che imprime ulteriore solennità al brano, scandendo con lentezza un emozionante giro di tastiere che continuerà a crescere fino a svanire in una magica dissolvenza (azzeccata la lieve accelerazione nel finale ad imprimere maggiore forza alla marcia trionfale). Insieme a “Dreams”, brano cardine del già citato “Depressive Silence II”, la traccia in questione potrebbe far tranquillamente parte di una ipotetica top-ten dei momenti più belli ed intensi che il dungeon synth abbia saputo farci dono. 

La demo successiva “Turning Point”, realizzata un paio di anni dopo, non è certamente da meno, testimoniando una crescita ulteriore per quanto riguarda la cura certosina degli arrangiamenti e dei suoni, ma noi gli continuiamo a preferire questo “Enchantment of the Ring”, passaggio obbligato per chiunque voglia approcciarsi al dungeon synth. 

 

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