Viaggio nel metal 'tolkieniano' - 5) SKALD OF MORGOTH - "The Siege of Angband" (2017)
“E Melkor costruì una rocca e
un arsenale […] per resistere a ogni assalto che venisse da Aman. A comandare
quel luogo forte era Sauron, luogotenente di Melkor; ed esso era detto Angband”
(da “Il Silmarillion”, cap. III)
Chi conosce Tolkien, e/o chi ha seguito
la nostra Rassegna, si sarà reso conto come i personaggi inventati dalla
fervida mente del Professore non sono mai “tagliati con l’accetta” ma, al
contrario, presentano tutti una personalità fortemente problematica e
sfaccettata. Che, in base agli accadimenti che li coinvolgono, muta, si evolve.
Spesso facendoli diventare “altro” rispetto a come si erano presentati
inizialmente al lettore.
Detto questo, va anche
specificato che i classici “cattivi”, quelli malvagi tout court,
nel Legendarium non mancano.
Tenendo fede alla nostra metodologia, che vorrebbe dare una panoramica a 360° dell’universo tolkieniano, oggi ci piace soffermarci su una band che, sin dal monicker, pare programmaticamente voler celebrare questo lato del mondo secondario inventato dal filologo inglese.
Parliamo degli Skald of
Morgoth, band polacca attiva già da un decennio ma che, ad oggi, ha
rilasciato un solo full lenght: il qui trattato “The Siege of Angband”,
reperibile agevolmente su piattaforma bandcamp. Il 4-piece, capitanato dal
polistrumentista Andrzej Kosecki, in arte Balrog, è autore di un
black cadenzato e fangoso, dalla produzione lo-fi e che mi rimanda, nel mood, ai
primi Xasthur (giusto per dare una coordinata stilistica al platter). I sei
brani che compongono l’opera, tutti piuttosto articolati, sono volutamente un
inno alle figure negative del Legendarium, ognuna delle quali è
protagonista dei singoli brani del disco.
Ma procediamo con ordine.
Intanto, il monicker: lo ‘scaldo’ è il nome dato a quegli eruditi poeti nordici
che, proprio per la loro spiccata cultura, erano ospitati e riveriti presso le
corti dei sovrani scandinavi, più o meno tra l’VIII e l’XI sec. Gli scaldi
componevano lunghe opere, normalmente in forma orale (tanto che il termine
deriva proprio dal proto-germanio skal, che vuol dire voce), che
celebravano importanti battaglie, casate e/o regni, passati o presenti. E
questo aspetto era molto gradito ai Re che consideravano le articolate e
auliche poesie come una forma, alta ed aristocratica, di eternare la propria
memoria (altro macro-tema tolkieniano, questo, sempre correlato al rifiuto della mortalità da parte dell’Uomo).
I polacchi vogliono essere gli scaldi di Morgoth, cioè della più potente forma di Male che si possa ritrovare in Tolkien. Il titolo del disco, non a caso, fa riferimento alla fortezza sotterranea prescelta da Melkor (questo è il suo nome originario; Morgoth è il nome elfico che gli verrà assegnato da Fëanor dopo il suo furto dei Silmarils) come difesa da un’eventuale offensiva dei Valar, grazie anche alla strategica posizione tra alte montagne sulle quali svettavano i picchi del Thangorodrim. Il siege del titolo fa riferimento alla Guerra dei Gioielli, durante la quale Angband venne sottoposta ad un assedio durato secoli, poi rotto da Melkor nella da noi già citata Dagor Bragollach. Angband verrà poi distrutta durante la Guerra d’Ira, quando le forze alleate composte da Valar, Elfi, Nani ed Uomini sfondarono i suoi cancelli e catturarono Morgoth conducendolo prigioniero a Valinor.
Gli Skald of Morgoth, che, gli va
riconosciuto, sprigionano malvagità da ogni loro nota, celebrano, in apertura
di disco, la nascita di Glaurung (“The Birth of Glaurung”), il tremendo
“padre dei Draghi”, principale arma a disposizione di Melkor/Morgoth;
proseguono con i terribili Olog-Hai (“We’re Olog-Hai!”), particolare razza di troll
che partecipò anche alla Guerra dell’Anello; si soffermano sull’assedio
succitato nella title track e celebrano i picchi montuosi della fortezza ne “The
Horde of Thangorodrim”, definiti The symbol of power / the symbol of terror
/ the mountain of oppression. La chiosa dell’album è affidata all’uno-due
“Ancient Depths of Utumno” – “Hail Morgoth!”: la prima è un viaggio nella
roccaforte melkoriana (Utumno, appunto), di cui Angband era una sezione,
nella quale l’Oscuro Signore risiedette per migliaia di anni; la seconda è la
rievocazione della dissonanza introdotta da Melkor nella musica dei Valar
contro il volere di Iluvatar e la celebrazione di tale fatto. Melkor viene definito, come un novello
Lucifero, master of darkness, master of left hand path e master of
forbidden knowledge.
Ora, l’opera, presa musicalmente, non è niente di memorabile. Ci teniamo a precisarlo. Anche se il suo ascolto, devo ammetterlo, mi ha lasciato uno sgradevole senso di malessere interiore. Ma ciò che ci preme evidenziare in questa sede è la figura imprescindibile di “cattivo”, che riassume in sé elementi del Satana della tradizione cristiana e del Loki della mitologia norrena. Di lui abbiamo già accennato nel post sugli Ainulindale ma ora ne vogliamo sottolineare il profondo nichilismo. Melkor è, infatti, un vero e proprio nichilista perché invade il mondo con la sua presenza portando la distruzione con ogni sua azione (a partire dalla dissonanza nella Musica creatrice dei Valar e seguendo subito dopo con la distruzione di Illuin e Ormal, le Due Lampade, fonti di luce che i Valar posero nella Terra).
Portatore dell'ombra ma attratto dalla luce, Melkor
ha potere nel mondo nei confronti di Elfi e Uomini, che perverte e fa cadere in
maniera crudele; atti di sfida, questi come altri, a spregio delle opere altrui. Ed è qui che sta
uno dei messaggi più potenti e importanti della poetica tolkieniana: il Male può
solo distruggere; non può creare o cambiare la natura intrinseca di ogni
essere creato.
E a ben guardare, la sua invidia
nei confronti del Creatore, ci interroga profondamente, come Uomini. Perché, da
questa a concepire l'idea della sottomissione degli altri a se stesso, è un
attimo.
E la nostra, di Storia, è un
continuo reiterarsi di questa assurda, nichilista, distruttrice volontà di
potenza…
(Vedi il resto della Rassegna)