Come interpretare le evoluzioni stilistiche di un artista ? La questione sussiste perché chi segue un artista di solito assisterà a viraggi più o meno prevedibili. C'è chi in partenza accetta questa eventualità, e ha il complesso della ristrettezza mentale, per cui non oserebbe mai protestare contro qualsiasi deriva, e ne parlano come “maturità”, o “eclettismo”. Dall'altra parte invece si collocano i cosiddetti “puristi”, così chiamati in senso dispregiativo ma invece orgogliosi di una fedeltà ai canoni di un genere, rispetto a cui non esiste deriva senza tradimento. Tra questi ad esempio l'amico D., che a inizio anni '90 lanciò dalla finestra il vinile del “Black Album” dei Metallica appena acquistato, senza giungere al termine del lato B.
La vexata quaestio è:
esiste un modo per distinguere la genuina evoluzione artistica da una
semplice deriva motivata da ragioni di lucro, di inaridimento o
presunzione creativa ?
Ci rifaremo per questo ad
una teoria dei rapporti tra i generi formulata nel saggio di N.
Masciandaro riportato nel libro “Black Metal: oltre le tenebre”,
integrato e sviluppato dal sottoscritto.
Il black metal è in
questo schema rappresentato come uno spasmo creativo estremo, che
unisce rabbia creativa e estremizzazione di tutte le caratteristiche
di generi già esistenti tesi verso un assoluto sonoro, denominato
“vuoto aptico”, una sorta di buco nero posto che attrae. Il vuoto
corrisponde contemporaneamente a perfezione sonora e silenzio, e il
blast beat è l'espressione della tensione ideale verso il vuoto
aptico, dinamico ma perpetuo, che non si compie mai e rimane
perennemente espressione di un'insoddisfazione rabbiosa o
malinconica. Da una parte collocheremmo il black ferale, bellicoso, e
dall'altra il depressive.
Intorno al vuoto, ma in
una posizione di stallo, e non di tensione, quindi paludosa e non di
ascesa verso l'occhio del ciclone, stanno i generi quali il death e
il thrash. Questi generi, per quanto variabili per una serie di
possibili invenzioni e contaminazioni, sono destinati ad una
involuzione o ripetizione sostanziale. Anche qui ci sono chiaramente
territori di passaggio, ma la differenza tra tonalità death e black
è come quella tra una consumazione musicale (su un corpo morto) e
una ispirazione musicale (che tende alla morte e oltre, come specchio
di una ricerca sul senso primo e ultimo delle cose, in una concezione
ciclica e perfetta dell'esistenza).
Nel paesaggio musicale
quindi c'è una voragine centrale, o montagna a seconda dei gusti,
che corrisponde al black, e un territorio pedemontano e pianeggiante
paludoso in cui vivono il thrash e il death. Intorno scorre il fiume
del metal classico, fiume circolare che può ricollegare i vari
sottogeneri, e unire in maniera diretta territori speed e altri doom,
epici e cerebrali.
In effetti, non è
sbagliato pensare che dal metal e nel metal tutto rifluisca, visto
che l'unico “non-tradimento” a priori tra le evoluzioni possibili
di uno stile all'interno del metal è il passaggio ad una variante
del classico, così come nessuno ha mai bollato come “tradimenti”
i passaggi dal classico a varianti più estreme. Esistono poi due
linee di evoluzione, di cui una è quella centripeta, verso il vuoto
centrale, come quella seguita ad esempio dai gruppi thrash verso il
death prima e il black poi, e quella inversa (centrifuga), dei gruppi
black che “retrocedono” verso il metal: in questo ultimo caso vi
è una sorta di decomposizione della struttura formale raggiunta
(black ad esempio) verso una struttura più grezza e polivalente
quale quella del metal delle origini, in cui si mischiano epic, punk,
speed.
C'è un gruppo che ha
seguito questo percorso avanti e indietro, prendendo solo il periodo
recente: i Darkthrone. Partono come un gruppo death, ma a quell'epoca
in realtà si parlava di thrash, e il death era un genere estremo del
thrash che accentuava il macabro e velocizzava sistematicamente i
tempi. Una sua variante ulteriore fu il death-doom, che
paradossalmente definì la natura del death eliminando l'equivoco
della velocità, come emozione di morte spirituale e consumazione
materiale senza scopo. Dalla palude death (Soulside Journey) i
Darkthrone si mossero poi verso il black, sfornando una serie di
album che fondarono il black. Dopo di che, si attua un percorso di
semplificazione e decostruzione della forma black verso un territorio
più amorfo, embrionale, per poi approdare infine ad una celebrazione
necrofilica del metal delle origini. Un metal delle origini
fantastorico, perché il metal delle origini partorito dei Darkthrone
è in realtà un neonato cresciuto in una placenta black. Mia
personale opinione, i primi dischi di questo esperimento non sono
convincenti, anche perché si è portati a salvarne la parte ancora
“un po' black”. All'inizio non si capisce dove vogliano andare a
parare, ammesso che lo sapessero loro, e enigmaticamente la band
lascia intendere che la direzione sia una specie di “crosta
primordiale” talmente dura e sgradevole dall'essere indigesta ai
più. Cosicché tutti, deve aver pensato quel furbone di Fenriz,
vorranno essere all'altezza di questa crosta e fingere che sia il
massimo dell'estremo. Oppure era in buona fede, chi lo sa. Eppure con
l'ultima produzione (The underground resistance) è sorprendente come
il neonato Darkthrone stia crescendo come un bambino metal con le
caratteristiche del metal di un tempo: ingenuità, impatto diretto,
assenza di un preciso orientamento timbrico per la voce, tempi
cadenzati ma senza alcun pregiudizio sulla velocità, corposità
nelle ritmiche.
Il movimento promosso da
Fenriz è quindi una specie di prog rovesciato, laddove il black
negli anni ha assunto connotati statici e ripetitivi, marcia indietro
tritatutto dal ciglio del vuoto raggiunto col black al flusso
continuo del metal di base. Chi vedeva i Darkthrone a suo tempo come
un esempio di black metal “e basta” non aveva notato (come me) un
dettaglio inquietante: mentre cantava death, Fenriz si faceva ancora
chiamare “Hank Amarillo” (nell'arte e nella vita) e si vestiva da cowboy. Il che significa
due cose, una è che il personaggio aveva un che di istrionico e
trasformistico, per cui nessuno stupore sui successivi viraggi
stilistici. La seconda cosa è che, per lo stesso principio, potremmo
ritrovarlo tra qualche anno a suonare rap o country sotto il nome
Darkthrone, il che vorrebbe dire che tutta questa mia ricostruzione
per salvare la deriva retrò dei Darkthrone verrebbe a cadere
rovinosamente.
A cura del Dottore