31 mag 2015

IL DISCO VOLATO DALLA FINESTRA: RETROSPETTIVA SUL BLACK ALBUM DEI METALLICA


Non posso fare a meno di legare il nome dei Metallica ad un momento di grande amarezza, anticipatore di un'epoca amara per la scena metal, e per quella thrash in particolare.



Non ricordo su quale testata, ma Ulrich rilasciò un'intervista, durante il tour di “...And Justice for All”, in cui piazzava un'affermazione tellurica, chiara, ma all'epoca incredibile E' come se il Principe Azzurro, dopo aver portato la dama all'altare, le dicesse che è innamorato di un'altra. Il batterista dei Metallica argomentava di come l'identità di gruppo metal, per non dire thrash, gli stesse stretta, e di come ambisse ad allargare il pubblico e raggiungere una più vasta platea amante del rock senza vocazioni settarie. Una dichiarazione commerciale, che lasciava presagire anche una svolta stilistica, ancora da toccare con mano, perché eravamo nella fase di gestazione del successore di "...And Justice for All", e sempre nell'ombra della morte di Cliff Burton.
A differenza di molte band che hanno sposato il metal, e gli sono restate fedeli, i Metallica hanno avuto un lungo innamoramento con il metal, addirittura hanno fatto innamorare del metal e creato una realtà musicale sulla propria scia, ma poi non lo hanno sposato.

Il “ritorno al thrash” di "Death Magnetic" non chiude alcun cerchio, è semplicemente un esercizio di ripiego da parte di un gruppo che ha perso la vocazione al genere. E' tale ormai la distanza dal genere, che su questo piano i Metallica possono anche “far pace” con i Megadeth nella persona di Mustaine, che ritorna sul palco a suonare “Hit the Lights”. Basta ascoltare il grido con cui Hetfield fa partire il pezzo dopo il riff per capire come neanche riconoscano e sappiano riprodurre la cifra stilistica del metal. Il problema di gruppi come questo è che forse credono di avere lanciato il metal, e quindi possono anche sentirsi di abbandonarlo per lanciare altro, senza alcun misticismo musicale. I Manowar direbbero che è il metal che consacra i gruppi, e non il contrario: “Gli dei crearono l'heavy metal, e videro che era cosa buona; ci dissero di suonarlo più forte che mai, e noi promettemmo di farlo”. Gli dei crearono anche il thrash, i Metallica evidentemente promisero di suonarlo più forte che mai, ma poi la promessa fu infranta. I Metallica sono il tradimento della mistica metal, pur rimanendo un gruppo fondamentale nella storia del genere.

Pisa, 1991, poco dopo l'uscita del Black Album. Un LP vola dalla finestra di un palazzo di un quartiere di periferia. Il lanciatore, Daniele, probabilmente non è neanche arrivato in fondo e l'ha sradicato dal piatto del giradischi. Era proprio quello che temeva. E presagiva, fin dalla copertina tutta nera, interpretabile come un imbarazzo muto di fronte al progetto di chiudere con il metal. Nero lutto, forse. Cliff morto due volte. Unica immagine, risibile, la figurina del serpente attorcigliato in basso a destra, o “lo stronzo arrotolato”, come lo indicava Daniele. Il logo era invece ancora quello originale, con gli spunzoni simmetrici alle estremità. Nessun titolo, un disco ononimo, quasi a suggerire una nuova fase che dà lì sarebbe iniziata.

Quel disco non era affatto male. Ed ebbe un successo importante e duraturo. Attirò schiere di “nuovi” metallari, per i quali i Metallica erano una gruppo “di rock duro” diverso dal solito hard rock stradaiolo, più rocciosi, cupi e opprimenti. E' un disco odiato soprattutto per una ragione, e cioè che fu un disco “in malafede”: stesso logo, alcuni elementi mantenuti, ma l'intenzione di sviluppare in direzione completamente non-metal gli elementi nuovi. Quella copertina nera e quel “non-titolo” fu un modo per non guardare negli occhi i vecchi fans, mentre i nuovi accorrevano incantati. Il disco lanciato dalla finestra da Daniele atterrò senza far rumore.
Soprattutto il Black Album si pose come un cambio di rotta rispetto alla precedente tendenza alla struttura complicata dei brani, il gusto per le parti strumentali, i cambi di tempo e la moltiplicazione dei riff di riferimento di un brano: il cosiddetto “techno thrash”. Il techno thrash era parte di una parabola stilistica che vide numerosi gruppi, in uno stereotipo anni 80'-90', partire da una musica thrash grezza e tecnicamente limitata, approdare in seguito a brani di complessità e nitidezza maggiore, ed infine pervenire ad una fase di semplificazione e di ricerca di maggiore sobrietà ed immediatezza, insieme al mantenimento della nitidezza raggiunta, oltre che ad un rallentamento medio della velocità. Così fecero i Testament, gli Anthrax, i Megadeth, gli Slayer, i Sepultura e anche le band di seconda linea. I Death furono forse gli unici a mantenersi complicati fino alla fine, non a caso definendo la propria musica come “Il suono della perseveranza”.

Tornando al nostro disco, questa virata fu accolta come una specie di “un-techno thrash”, e in questa visione effettivamente fu una proposta innovativa e vincente. Peccato che non fosse questa l'idea dei Metallica, ma semplicemente un punto di passaggio verso l'"un-metal". Smetallizzare era la linea, Bob Rock la persona giusta per smetallizzare subdolamente: il risultato iniziale fu talmente buono da far sentire quasi in colpa chi gridava al tradimento.
La componente diretta dei Metallica, che li ha sempre contraddistinti nel panorama thrash come il gruppo più accessibile, fu mantenuta, rallentata e addolcita. Persa completamente la componente epico-evocativa, orrorifica, aggressiva, in favore di un tono più intimistico. E i testi seguono questa impostazione, non rivolti a temi sociali o fantastici, né all'esame della follia stereotipata, ma al dolore che non può essere raccontato compiutamente, sinceramente.

Forse i Metallica hanno detto a Bob Rock: Bob, questi sono gli ultimi scampoli di metal che scriveremo, trattaceli bene. Eutanasia di metal terminale. Questo è il Black Album: il buio in fondo al tunnel. Chi ci si è infilato in vista di una fase post-Burton dei Metallica, ci è rimasto. Il Black Album è un vicolo cieco, in questo probabilmente risiede il suo fascino.
Certo, se invece si guarda come il primo disco dei Metallica rock, allora è l'inizio di una nuova realtà rock ereditata dal metal. Ma i due emisferi non si incontreranno mai.

L'ultimo bacio, il bacio dell'addio, senza sapere che è l'addio. Certo, un bacio strano, che sembrerebbe proprio il bacio dell'addio se uno fosse pronto a crederci. Ma nel 1991 i fan di sempre non erano assolutamente pronti, e anzi videro nella caduta dei Metallica una breccia irrecuperabile nello scafo del metal.

Torno a dirlo: un disco godibilissimo, curato e difficile proprio per la sua sobrietà. Non si può neanche dire che non siano riconoscibili i marchi di fabbrica: il drumming con le bacchettate in leggero anticipo di Ulrich, il cantato di Hetfield, non così distante da quello del disco precedente, lo wha-wha di Hammett, Newsted ben piazzato.

Quello che da un certo punto ho cominciato a sospettare è che i testi alludessero proprio a questo funerale musicale dei Metallica.

"Enter Sandman" parla di un uomo nero che segna l'ingresso in una “notte” esistenziale. “Triste ma vero” ("Sad but True") sembra un'allegoria del disco: vero, ma ingannevole; un dolore che indicherebbe una decomposizione in atto, ma è anestetizzato ("I'm your pain when you can't feel"); un desiderio (di metal) che rimarrà insoddisfatto. Sì, è noto che "Sad but True" parlerebbe della tossicodipendenza, ma io ci voglio leggere questo significato. "The Unforgiven" parla di una vita abortita, che inizia a morire già appena nata, tra le regole, le imposizioni e le castrazioni imposte non si sa bene da quale forza superiore. "Through the Never" è la profezia del futuro della band nel metal, un buco nero. "Nothing Else Matters", brano non criticabile sul piano musicale, è un'evoluzione ulteriore sulla linea "Fade-to-Black"/"One". "Of Wolf and Man" parla di una metamorfosi, ma è come una nota di sarcasmo: la metamorfosi che si ottiene andando a ritroso nella discografia, una forma che cambia indietro verso l'essenza dell'uomo e del lupo. Come dire “questo è il Black Album....e voltatevi indietro a ricordarvi cosa abbiamo fatto”, vedrete “tutte quella parole che ora semplicemente non mi riesce dire...e tutto il resto non conta...”

Il miglior regalo che ci potevano fare è questa chiave di interpretazione: per non maledirli, facciamo così. Prendete per buona questa suggestione, e ascoltate il Black Album guardando indietro.

Altrimenti passerete la vita cercando di dimostrare semplicemente come sia tutto sommato meglio di "Load", un esercizio frustrante. Allora, tanto vale che mettiate su la raggelante cover di “Nothing Else Matters” di Masini ("E chi se ne frega"). Cliff è morto tre volte.

A cura del Dottore