14 mag 2015

IL PROBLEMA DELL'ASSENZA INTERIORE – LA RICERCA TEOLOGICA DEI PARADISE LOST


Chi è che ha scritto la canzone più triste del metal? Ovvio che lo so, altrimenti non mi sarebbe venuta in mente la domanda. Ma facciamo finta di partire dall'inizio...

Innanzitutto saltiamo a pié pari l'era delle “ballate”, ovvero quelle canzoni scritte al 90% per esprimere l'imbarazzante concetto “ti prego torna con me perchè trombavi bene”, o in altre parole “perché non me la vuoi più dare?” sotto titoli tragici come “Una storia che non doveva funzionare” (Helloween), “Tu non ricordi, io non scorderò mai” (Malmsteen), “Non sono il pagliaccio di nessuno” (Cinderella). Queste sono canzoni sopra le righe, non ci lasciano il gusto di un contributo personale di lacrime, di amarezza: dicono già tutto e anche troppo.

La tristezza vera pugnala alle spalle e dice quello che non si può dire. Il lamento, la dichiarazione d'amore e tutto il resto sono come il costume d'estate al mare: siamo quasi nudi di fatto, ma non fanno scandalo, perché è tutto codificato, è una quasi-nudità calcolata. Invece denudare il cuore è un atto di terrorismo psicologico, per cui nessuno ha una risposta. Una spada per cui non c'è pronto uno scudo.

Quale canzone apre le porte dell'Inferno vero, l'Inferno come stato dell'anima? Black metal? No, il black metal è “pelle nera lucida” per dirla con i Carpathian Forest, è estetica negativa, non ha niente di sostanzialmente infernale, così come i film horror non hanno nulla di sostanzialmente pauroso.

Per me questa canzone è “True Belief” dei Paradise Lost.

Si può anche non capire il testo, ma il ritornello di questa canzone è veleno. Forse non diventerà la vostra canzone preferita, ma non ve la potrete più scordare, come un uccellino caduto dal nido e agonizzante sull'erba. Nuda verità. E qual è la nuda verità dell'inferno umano? Il filosofo cristiano Giovanni Scoto Eriugena (e prima di lui Sant'Agostino) disse, provocando reazioni indignate, che l'Inferno non era un luogo fisico, ma uno stato dell'anima. Inoltre, poiché Dio era una volontà d'amore, egli non poteva di per sé creare un Inferno: semmai ciò poteva sussistere come lontananza da Dio. In verità, egli si spinse a dire ancora di più. Infatti secondo lui Dio era una specie di “nulla algebrico”, nel senso che da una parte era creatore, ma dall'altra anche colui che smette di creare. Questo sarebbe accaduto storicamente alla fine dei tempi, e d'altra parte non poteva che essere Dio stesso a cancellare il proprio creato, non con un atto di distruzione, ma smettendo di crearlo, come se la creazione fosse una specie di flusso continuo.

Quando invece l'uomo nega la creazione, ovverosia si allontana dalla spinta d'amore che lo fa muovere, si ferma, e muore, cioè si crea una distanza rispetto a Dio. Dio è la fede dentro ogni uomo, e quando questa fede cede, ecco che l'uomo scivola all'indietro nell'Inferno spirituale.

Ora, diceva sempre il nostro filosofo, Dio non decide chi gli debba star lontano, questa è una caratteristica che definisce la libertà umana: cambia poco, ovvero chi decide in un modo, ben venga; chi decide nel modo sbagliato, mal gliene incoglierà.

Intanto, e qui intervengono i Paradise Lost con il testo di “True Belief”, c'è nella vita chi non ci arriva, per debolezza, e chi si perde, per confusione. E con queste due categorie sfortunate di esseri umani “è sempre la solita storia”, ovvero se c'è una redenzione, una salvezza, non riusciranno a coglierla. Dio è tutto fuorché alla portata di tutti. Salva solo chi sta in piedi e riesce ad allungare le mani dalla parte giusta. Per cui ironicamente, sarà vero che la verità è sempre vera, ma forse è il caso che ciascuno cominci a cercare la bugia che più gli si adatta: alla fine, meglio una bugia che ci calza a pennello, che non una verità che non ci è concesso di conquistare, perché siamo nati deboli, ci siamo persi, o chissà quale altro peccato inevitabile contro il Dio che ci nega il suo abbraccio. Potremmo attendere che ci salvi la ragione, ma la ragione alla fine ci fa comprendere tutto, per trovarci incompresi noi. Meglio allora sperare di levarsi sull'onda di un pensiero folle, ma trainante.

L'eternità può essere una consolazione per chi ha costruito qualcosa, ma chi non ha combinato niente non potrà far altro che vedere la candela che si spenge, e il sorriso della morte che non sbaglia mai. 

Scacco matto, quindi. Dove si deve rivolgere l'uomo? La ragione non gli serve, la disponibilità a essere salvati non è tutto (sarebbe bello), anzi Dio ti lascia indietro per le stesse ragioni per cui ti lasciano indietro gli uomini, se sei debole e insicuro. Può servire l'amore? Neanche, dicono i Paradise Lost, “tu sei l'unica che io provo a salvare, eppure il sangue sgorga dalle tue vene”. Non c'è neanche premio allo sforzo, Dio non salverà chi tu ami solo perché il vostro amore è autentico e forte.

L'uomo resta così irrimediabilmente solo. Un essere alla ricerca di una sola cosa, una cosa sola dietro tutto quello che fa: “a true belief”, una cosa vera in cui credere, che è un po' tautologico. Se si crede in qualcosa, evidentemente per noi è vera. Se è vera, come non crederci ? Ma per far questo è necessario credere tra sé e sé, con un alone di amarezza, perché né il cuore, né il cervello possono darci un motivo valido per credere. Ci deve essere un terzo livello, una sorta di “follia cieca” che dà forza alla fede in un'idea. Aver fede in ciò che morirà nonostante il nostro amore più grande, e che non tornerà nonostante la nostra abilità di calcolo. Credere in una formula magica che non funziona, questa è la vita. “Tutto ciò che voglio è la stessa cosa, qualcosa di vero in cui credere”. Qualcosa-in-cui-credere che non può essere niente di ciò che gli uomini hanno inventato.

Questa canzone è anche il punto di svolta della lirica dei Paradise Lost, perché fino a questo disco sono sostanzialmente pessimisti. Dopo sembrano imboccare la via “della fede”, secondo il modello di Sant'Agostino, ovvero che la fede è fare, è essere, e invece aspettare, pretendere, protestare rappresenta la porta per entrare nell'Inferno mentale dell'assenza di Dio, della distanza da Dio, della latitanza di Dio. Il “Paradiso Perduto” in altre parole è quando l'uomo non raggiunge Dio, o Dio non raggiunge l'uomo: stesso risultato, ma diversa teoria teologica. Eriugena cercava di salvarsi dall'accusa di eresia dicendo che la salvezza divina “passa” attraverso l'uomo, ma per effetto di una forza superiore, da Dio dipendente. L'idea che lo ispira sembrerebbe però quella che Dio e l'uomo siano la stessa cosa, e che l'uomo si salvi trovando se stesso (una “divinizzazione” dell'uomo come forma progettuale d'amore e di costruttività, ma senza un vero Dio trascendente).

Ma vediamo, in una lunga giornata al fianco di Nick Holmes e dei suoi testi, il percorso filosofico dei Paradise Lost, sulle orme di Sant'Agostino e Eriugena, tappa per tappa, disco dopo disco... (CONTINUA)


A cura del Dottore