24 mag 2015

SIMEN HESTNӔS: L’IMPORTANTE È PARTECIPARE




L’8 maggio scorso è uscito, dopo ben dieci anni di silenzio, “Arcturian”, ultimo parto discografico degli Arcturus. Ne parleremo, ve lo prometto, ma per parlarne facciamo il giro largo, larghissimo, partendo dalla conferma, dietro al microfono, di Simen Hestnaes, in arte I.C.S. Vortex.

Chi è appassionato di black metal sa che I.C.S. Vortex (un nome d’arte che più che altro sembra la ragione sociale di una ditta che produce aspirapolveri) vanta illustri trascorsi in altre importanti band, fra cui spiccano senz'altro i nomi di Borknagar e Dimmu Borgir. Rechiamoci dunque a bordo campo a fare compagnia a questo grande panchinaro del black!

La prendo larga, larghissima (l’avevo detto, no?). Partiamo dai grandi turnisti del mondo del rock e del metal, personaggi dotatissimi che per un motivo o per un altro si ritrovano a rimbalzare da una band all'altra, a sostituire membri storici ed amatissimi dai fan ed essere per questo spregiati senza possibilità di appello.

Uno di questi è senz'altro Tim “Ripper” Owens, che grazie al suo stage nei Judas Priest (con l'ingrato compito di sostituire la voce dell'heavy metal per eccellenza, sir Robert Halford) si è potuto aggirare nel mondo del lavoro con ottime credenziali. Ma come capita ai neolaureati con 110 e lode, che magari si presentano bene, ma non sono poi così brillanti sul lavoro, Ripperone supera con successo tanti colloqui, il lavoro non gli manca di certo, ma infine non riesce mai a strappare l’agognato contratto a tempo indeterminato. Eppure non è un caratteraccio, affatto! Me lo immagino umile, gioviale, che si presenta in sala prove con una cassa di birra per tutti: grande voce, physique du role e pacche sulle spalle. Nessuno odia Owens, ma nessuno lo ama perdutamente. Prendiamo, per esempio, l'esperienza negli Iced Earth (dove ha militato dal 2003 al 2007). M'immagino Schaffer (leader del gruppo) che, inizialmente poco convinto sul suo conto, si ricrede vedendolo all'opera. Poi però le prove finiscono, Ripper se ne va, l'entusiasmo di Schaffer si smorza appena la porta si chiude alle spalle di Owens; Schaffer torna a casa sua, passeggia perplesso fino alla fermata dell’autobus, distratto da qualcosa che non capisce nemmeno lui; arriva sulla porta della sua abitazione, entra, si toglie il cappotto, si reca in camera e mentre si siede sul letto e si toglie le scarpe, è sempre meno convinto che Owens sia l’uomo giusto per i suoi Iced Earth. La mattina dopo si sveglierà bruscamente sussurrando “Barlow, dove sei?”. Ed infatti Matt Barlow tornerà presto nella banda: la cosa peggiore che può capitare a chiunque, ossia essere scaricati perché il nostro partner ritorna con l’ex. E' questo il destino di "Ripper": quello del bel ragazzo dai begli occhi e dalle belle ciglia, che tutti lo vogliono ma nessuno lo piglia.

Un altro caso emblematico è quello di Don Airey, esempio sicuramente più illustre: approdando in tardissima età a dei Deep Purple oramai sull’orlo della pensione (il suo ingresso in formazione risale al 2002), il mitico tastierista (uno dei più importanti dell'universo hard'n'heavy) vanta collaborazioni eccezionali, fra cui Black Sabbath ed Ozzy Osbourne (sua, per esempio, è la celebre apertura di tastiere di “Mr Crowley”, mica cazzi!). Laddove c’era bisogno, il buon Don c’era: con umiltà, al servizio di tutti (Judas Priest, Rainbow, Whitesnake, UFO, Jethro Tull e miliardi di altri), amico di tutti, apprezzato da tutti. C’è bisogno di un giro di hammond? Sentiamo se Don è disponibile! A John Lord gli si è rotta un'unghia? Chiamiamo Don. E chissà cosa racconterà a sua moglie la sera a casa il buon Don… Come mai così tardi, caro? “Bah, oggi Ozzy si è presentato in sala prove due ore in ritardo perché non aveva rimesso l’ora legale”.  Oppure: “A Coverdale giravano i coglioni, voleva un sound più funky, ma sa una sega Coverdale cos’è il funky!” Oppure: “Oggi Gillan ha cantato sulla sedia perché s’è svegliato con il colpo della strega”. Insomma una vita nell'ombra, all'ombra di grandi star. E quando la sessione è finita e gli altri son già sfatti sui divani a drogarsi o a fare sesso, Don, dopo aver fatto un tiro per cortesia, si avvolge la sciarpa intorno al collo, si mette il berretto e saluta educatamente.

Giungiamo finalmente al nostro Vortex. Contrariamente a molti cantanti black metal che tentano la via del pulito (con risultati a volte disastrosi), egli emerge come un cantante vero e proprio (decisamente intonato, voce fluida e potente, timbrica tenorile) che con spirito di abnegazione è disposto di volta in volta a sporcarsi la gola con lo screaming. Solo se necessario, beninteso.

Sebbene militasse già dal 1991 nella sconosciuta doom-band Lamented Souls, dove fungeva sia da chitarrista che da bassista, la sua prima comparsata nella musica che conta risale al 1997 nel celeberrimo “La Masquerade Infernale” degli stessi Arcturus: egli prestò l’ugola in tre pezzi, di cui uno, “The Chaos Path”, lo vedeva addirittura come protagonista. L’approccio è teatrale (in linea con gli umori folli ed assurdi dell’opera): per i quasi sette minuti di lunghezza del brano la voce di Vortex è un bizzarro saliscendi in cui si passa con estrema disinvoltura da gorgheggi operistici ad un visionario starnazzare nello stile del Roger Waters di “The Trial” (da “The Wall”).

Il suo ruolo ne “La Masquerade Infernale” era tuttavia marginale, alla stregua di un violoncellista chiamato all'uopo per un paio di ricami. Il suo nome era all'epoca associato ad un altro gruppo, che con gli Arcturus condivideva il gusto per le sperimentazioni più ardite: parlo dei Ved Buens Ende….che lo reclutarono come cantante per l’unico tour della loro breve carriera. La prova di Vortex (volta ad abbinare, sul palco, il canto pulito del chitarrista Carl-Michael allo screaming malefico del batterista Vicotnik) verrà immortalata nel bootlegCoiled in Obscurity” (uscito postumo nel 2002).

Ma a parte questi sporadici contributi, il primo vero treno giungerà proprio grazie al sodale Garm (cantante degli Ulver e degli Arcturus), che gli propose di sostituirlo nell'esperienza Borknagar che, iniziata come uno scherzo fra amici (della partita, oltre a Garm, facevano parte Infernus e Grim dei Gorgoroth ed Ivar Bjornson degli Enslaved), stava assumendo le sembianze di una band vera e propria sotto la guida del mastermind Oystein G. Brun. Non interessato a proseguire a tempo pieno, Garm si fece così da parte, proponendo come suo sostituto il buon Vortex, che in effetti aveva le caratteristiche per supportare la proposta formulata dai Borknagar, ossia un black metal epico e dalle forti venature folk. Dunque il Nostro ricoprì il ruolo di cantante principale in ben due album, “The Archaic Course” (1998) e “Quintessence” (2000), durante i quali il sound della band acquisì compattezza ed una identità maggiormente definita. Poteva essere l'opportunità della vita: quella di far parte di un progetto, sì minore e già avviato, ma destinato, anche con il suo aiuto, a consolidarsi. 

Non andò così: come quei candidati che hanno la smania di mandare CV in continuazione, dal 1999 il buon Vortex (consulente in tema di “voci pulite nel black metal”) avrebbe iniziato a tenere i piedi in due staffe, avviando la sua collaborazione anche con i ben più noti Dimmu Borgir. In “Spiritual Black Dimensions” (1999) si limiterà a prestare la voce in diversi frangenti, ma da “Puritanical Euphoric Misantrophia” (del 2001) in poi si ritroverà in pianta stabile a ricoprire sia il ruolo di secondo cantante (impegnato esclusivamente nelle incursioni di voce pulita) che quello di bassista al posto di Nagash, che stava diventando troppo ingombrante, rompendo abbastanza i coglioni a Shagrath. Gli inserti vocali di Vortex (che suonavano come improvvise romanze napoletane nel bel mezzo del putiferio sinfonico della band) ci stavano proprio come il cacio sui maccheroni e divennero presto un marchio di fabbrica dei Dimmu Borgir. Del resto, aggiungo io, Vortex rende meglio in piccole dosi, perché alla lunga il suo registro lezioso un po' stucca. 

Il doppio mandato Borknagar/Dimmu Borgir ebbe tuttavia termine quando i secondi imposero una scelta fra le due band in quanto essi esigevano un impegno full-time. La scelta ricadde quindi sui più popolari Dimmu Borgir, un po' come si finisce per scegliere la grande multinazionale rispetto ad una Cazz Consulting qualsiasi. In verità il suo successore nei Borknagar sarà il già quotato Vintersorg, cantante carismatico, versatile e superlativo su tutti fronti, che saprà far presto dimenticare il pur buon Vortex, tanto che ci sarebbe da domandarsi: ma perché Vortex, tanto bravo ed apprezzato da tutti, non rapisci il cuore di nessuno? Non solo: i Borknagar con Vintersorg avrebbero inanellato una serie di successi annettendo nel proprio sound nuovi elementi, compreso qualche spunto progressivo, tant'è che oggi la band di Oystein ha conquistato uno status di tutto rispetto nell'universo metal del terzo millennio. La militanza nei Dimmu durò comunque in tutto dieci anni, nei quali il Nostro si difese con onore e pazienza, ma sempre in seconda linea, fra due puttane come Shagrath e Silenoz. Fino a quando, nell'agosto 2009, lui e il tastierista Mustis furono licenziati in tronco per motivi poco chiari. Ma Vortex, precario nell’anima, non se ne fece di certo un cruccio e subito si ributtò nella mischia in cerca di ingaggi.

Fu ancora una volta il provvidenziale Garm, che sostanzialmente si era rotto i coglioni di cantare in una band metal (nel frattempo i suoi Ulver erano definitivamente parcheggiati nei territori dell'elettronica e dell'avanguardia), a passargli nuovamente il testimone, indicandolo come suo possibile successore negli stessi Arcturus. Nel 2005, quando ancora il Nostro era in forza nei Dimmu, era stato pubblicato “Sideshow Symphonies”, che vedeva Vortex finalmente nella veste di vocalist principale. L'album mostrava una band tonica, in forma e finalmente pronta, proprio grazie a Vortex, a confrontarsi con l’inedita dimensione live (dimensione da sempre osteggiata dal pigro Garm), fra l'altro confezionata ad arte con sontuose scenografie e travestimenti assurdi. A tal proposito, si segnala il bel DVD “Shipwrecked in Oslo” del 2006.

Giungiamo dunque ad “Arcturian” (ve l’avevo detto, no?, che la prendevo larga...), nuovo album e quinta release ufficiale degli Arcturus, che appunto decidono di dare continuità al loro percorso confermando dietro al microfono il sempre disponibile Vortex (che nel 2011 aveva pure fatto uscire a suo nome “Storm Seeker”, unico parto della sua carriera solista e flop commerciale). Io che sono un Fan, “Arcturian” non l'ho però ascoltato. Ho adorato gli Arcturus e mi sono fatto piacere “Sideshow Symphonies”, ma non me la son sentita di buttarmi alla cieca nell'acquisto di quest'ultima prova. Mi sono accontentato di ascoltare la presentazione ufficiale su Youtube, ma nell’arco dei quattordici minuti in cui vengono passati in rassegna diversi momenti dell’opera, non mi sono convinto all'acquisto. Non è sicuramente il modo migliore di approcciarsi ad un’opera complessa e sicuramente ben fatta, ma ho avuto come l’impressione che il nuovo album degli Arcturus fosse come il mascarpone: gustosissimo alla prima cucchiaiata, da nausea dopo poco. Sebbene i suoni non siano il top, in Arcturian” la prestazione dei Nostri è impeccabile, come in “Sideshow Symphonies” del resto, ma qualcosa continua a non convincermi. “Spettacolare!” esulti all’inizio, esaltandoti innanzi alle consuete atmosfere spaziali sparate nel firmamento con il consueto dinamismo e con la classe e la perizia tecnica che sa sempre contraddistinguono il combo norvegese. Addirittura ci imbatteremo in passaggi di elettronica spinta che non sentivamo da tempo e pure in qualche prepotente screaming disseminato qua e là (altro contributo di Vortex: aver riportato un pizzico di black negli Arcturus, che in diversi frangenti tornano a pestare prepotentemente), ma non c'è secondo me la brillantezza, l’azzardo, l'imprevedibilità di una volta. E così l’album dopo un po' viene a noia: è come una bellissima ragazza che non ispira sesso.

E poiché sono convinto che Hellhammer non avrà sbagliato un colpo e che Sverd si sia fatto il consueto culo sia in fase di composizione che in quella di esecuzione, ho paura che questa sensazione di “incompletezza” (come se mancasse qualcosa, come se sfuggisse un qualcosa, come se si aggiungessero note per riempire un vuoto incolmabile) sia dato proprio dal buon Vortex, che, in qualche modo (bisogna infine ammetterlo!), continua, nonostante l’innegabile bravura, a non darmi emozioni.

Come i grandi caratteristi, Vortex se la cava meglio nel cameo: egli, è probabilmente più efficace come spalla che come attore protagonista (egli sta a Garm come Bombolo stava al Commissario Monnezza). Forse meno preparato tecnicamente, Garm ha il talento di saper valorizzare e rendere significativo ogni suo singolo vocalizzo. Non solo: con la sua cultura musicale che scavalca il metal, è probabilmente in possesso di una sensibilità che lo rende non solo cantante atipico, ma anche autore intelligente, lui che guarda a Coil e David Sylvian. Vortex ha sicuramente le risorse per sostituirlo (come Owens aveva le corde vocali per interpretare con credibilità i brani di Halford, o come Airey può tranquillamente sedere dietro alle tastiere al posto di un John Lord), ma evidentemente non ha il cuore per farlo: un cuore inaridito dopo anni di consulenze, di costante impiego di mestiere per entrare in sintonia con estri e personalità artistiche differenti. E’ come se, certa gente, avesse rinunciato a credere nell’arte; e per continuare a campare di arte, si accontentasse di esserci. Come se l’importante non fosse vincere, ma partecipare…