L’8
maggio scorso è uscito, dopo ben dieci anni di silenzio, “Arcturian”,
ultimo parto discografico degli Arcturus. Ne parleremo, ve lo prometto,
ma per parlarne facciamo il giro largo, larghissimo, partendo dalla conferma,
dietro al microfono, di Simen Hestnaes, in arte I.C.S. Vortex.
Chi
è appassionato di black metal sa che I.C.S. Vortex (un nome d’arte che
più che altro sembra la ragione sociale di una ditta che produce aspirapolveri)
vanta illustri trascorsi in altre importanti band, fra cui spiccano senz'altro
i nomi di Borknagar e Dimmu Borgir. Rechiamoci dunque a bordo
campo a fare compagnia a questo grande panchinaro del black!
La
prendo larga, larghissima (l’avevo detto, no?). Partiamo dai grandi turnisti
del mondo del rock e del metal, personaggi dotatissimi che per un motivo o per
un altro si ritrovano a rimbalzare da una band all'altra, a sostituire membri
storici ed amatissimi dai fan ed essere per questo spregiati senza
possibilità di appello.
Uno
di questi è senz'altro Tim “Ripper” Owens, che grazie al suo stage nei Judas
Priest (con l'ingrato compito di sostituire la voce dell'heavy metal per
eccellenza, sir Robert Halford) si è potuto aggirare nel mondo del
lavoro con ottime credenziali. Ma come capita ai neolaureati con 110 e lode,
che magari si presentano bene, ma non sono poi così brillanti sul lavoro, Ripperone
supera con successo tanti colloqui, il lavoro non gli manca di certo, ma infine non
riesce mai a strappare l’agognato contratto a tempo indeterminato. Eppure non è
un caratteraccio, affatto! Me lo immagino umile, gioviale, che si presenta in
sala prove con una cassa di birra per tutti: grande voce, physique du role
e pacche sulle spalle. Nessuno odia Owens, ma nessuno lo ama perdutamente.
Prendiamo, per esempio, l'esperienza negli Iced Earth (dove ha militato
dal 2003 al 2007). M'immagino Schaffer (leader del gruppo) che,
inizialmente poco convinto sul suo conto, si ricrede vedendolo all'opera. Poi
però le prove finiscono, Ripper se ne va, l'entusiasmo di Schaffer si smorza appena
la porta si chiude alle spalle di Owens; Schaffer torna a casa sua, passeggia
perplesso fino alla fermata dell’autobus, distratto da qualcosa che non capisce
nemmeno lui; arriva sulla porta della sua abitazione, entra, si toglie il
cappotto, si reca in camera e mentre si siede sul letto e si toglie le scarpe,
è sempre meno convinto che Owens sia l’uomo giusto per i suoi Iced Earth. La
mattina dopo si sveglierà bruscamente sussurrando “Barlow,
dove sei?”. Ed infatti Matt Barlow tornerà presto nella
banda: la cosa peggiore che può capitare a chiunque, ossia essere scaricati
perché il nostro partner ritorna con l’ex. E' questo il destino di
"Ripper": quello del bel ragazzo dai begli occhi e dalle belle ciglia, che
tutti lo vogliono ma nessuno lo piglia.
Un
altro caso emblematico è quello di Don Airey, esempio sicuramente più
illustre: approdando in tardissima età a dei Deep Purple oramai sull’orlo della
pensione (il suo ingresso in formazione risale al 2002), il mitico tastierista
(uno dei più importanti dell'universo hard'n'heavy) vanta collaborazioni
eccezionali, fra cui Black Sabbath ed Ozzy Osbourne (sua, per
esempio, è la celebre apertura di tastiere di “Mr Crowley”, mica cazzi!).
Laddove c’era bisogno, il buon Don c’era: con umiltà, al servizio di tutti
(Judas Priest, Rainbow, Whitesnake, UFO, Jethro Tull e miliardi di altri),
amico di tutti, apprezzato da tutti. C’è bisogno di un giro di hammond?
Sentiamo se Don è disponibile! A John Lord gli si è rotta un'unghia? Chiamiamo
Don. E chissà cosa racconterà a sua moglie la sera a casa il buon Don… Come
mai così tardi, caro? “Bah, oggi Ozzy si è presentato in sala prove due ore
in ritardo perché non aveva rimesso l’ora legale”. Oppure: “A Coverdale giravano i coglioni,
voleva un sound più funky, ma sa una sega Coverdale cos’è il funky!” Oppure: “Oggi
Gillan ha cantato sulla sedia perché s’è svegliato con il colpo della strega”.
Insomma una vita nell'ombra, all'ombra di grandi star. E quando la sessione è
finita e gli altri son già sfatti sui divani a drogarsi o a fare sesso, Don, dopo
aver fatto un tiro per cortesia, si avvolge la sciarpa intorno al collo,
si mette il berretto e saluta educatamente.
Giungiamo
finalmente al nostro Vortex. Contrariamente a molti cantanti black metal
che tentano la via del pulito (con risultati a volte disastrosi), egli emerge
come un cantante vero e proprio (decisamente intonato, voce fluida e potente, timbrica
tenorile) che con spirito di abnegazione è disposto di volta in volta a
sporcarsi la gola con lo screaming. Solo se necessario, beninteso.
Sebbene
militasse già dal 1991 nella sconosciuta doom-band Lamented Souls,
dove fungeva sia da chitarrista che da bassista, la sua prima comparsata nella musica
che conta risale al 1997 nel celeberrimo “La Masquerade
Infernale” degli stessi Arcturus: egli prestò l’ugola in tre pezzi, di cui
uno, “The Chaos Path”, lo vedeva addirittura come protagonista.
L’approccio è teatrale (in linea con gli umori folli ed assurdi dell’opera):
per i quasi sette minuti di lunghezza del brano la voce di Vortex è un bizzarro
saliscendi in cui si passa con estrema disinvoltura da gorgheggi operistici ad
un visionario starnazzare nello stile del Roger Waters di “The Trial” (da “The
Wall”).
Il suo
ruolo ne “La Masquerade Infernale” era tuttavia marginale, alla stregua di un
violoncellista chiamato all'uopo per un paio di ricami. Il suo nome era all'epoca associato ad un altro gruppo, che con gli Arcturus condivideva
il gusto per le sperimentazioni più ardite: parlo dei Ved Buens Ende….che
lo reclutarono come cantante per l’unico tour della loro breve carriera. La
prova di Vortex (volta ad abbinare, sul palco, il canto pulito del chitarrista
Carl-Michael allo screaming malefico del batterista Vicotnik) verrà
immortalata nel bootleg “Coiled in Obscurity” (uscito postumo nel
2002).
Ma a
parte questi sporadici contributi, il primo vero treno giungerà proprio grazie
al sodale Garm (cantante degli Ulver e degli Arcturus),
che gli propose di sostituirlo nell'esperienza Borknagar che, iniziata
come uno scherzo fra amici (della partita, oltre a Garm, facevano parte
Infernus e Grim dei Gorgoroth ed Ivar Bjornson degli Enslaved), stava assumendo
le sembianze di una band vera e propria sotto la guida del mastermind
Oystein G. Brun. Non interessato a proseguire a tempo pieno, Garm si fece così da parte,
proponendo come suo sostituto il buon Vortex, che in effetti aveva le
caratteristiche per supportare la proposta formulata dai Borknagar, ossia un
black metal epico e dalle forti venature folk. Dunque il Nostro ricoprì il ruolo
di cantante principale in ben due album, “The Archaic Course” (1998) e “Quintessence”
(2000), durante i quali il sound della band acquisì compattezza ed una identità
maggiormente definita. Poteva essere l'opportunità della vita: quella di far
parte di un progetto, sì minore e già avviato, ma destinato, anche con il suo
aiuto, a consolidarsi.
Non
andò così: come quei candidati che hanno la smania di mandare CV in
continuazione, dal 1999 il buon Vortex (consulente in tema di “voci pulite
nel black metal”) avrebbe iniziato a tenere i piedi in due staffe, avviando
la sua collaborazione anche con i ben più noti Dimmu Borgir. In “Spiritual
Black Dimensions” (1999) si limiterà a prestare la voce in diversi
frangenti, ma da “Puritanical Euphoric Misantrophia” (del 2001) in poi
si ritroverà in pianta stabile a ricoprire sia il ruolo di secondo cantante (impegnato esclusivamente nelle incursioni di voce pulita) che quello di
bassista al posto di Nagash, che stava diventando troppo ingombrante,
rompendo abbastanza i coglioni a Shagrath. Gli inserti vocali di Vortex (che
suonavano come improvvise romanze napoletane nel bel mezzo del putiferio
sinfonico della band) ci stavano proprio come il cacio sui maccheroni e divennero
presto un marchio di fabbrica dei Dimmu Borgir. Del resto, aggiungo io, Vortex
rende meglio in piccole dosi, perché alla lunga il suo registro lezioso un po'
stucca.
Il
doppio mandato Borknagar/Dimmu Borgir ebbe tuttavia termine quando i secondi
imposero una scelta fra le due band in quanto essi esigevano un impegno full-time. La scelta ricadde quindi sui più popolari Dimmu Borgir, un po' come si
finisce per scegliere la grande multinazionale rispetto ad una Cazz Consulting qualsiasi. In verità il suo successore nei Borknagar sarà il già quotato Vintersorg,
cantante carismatico, versatile e superlativo su tutti fronti, che saprà far
presto dimenticare il pur buon Vortex, tanto che ci sarebbe da domandarsi: ma
perché Vortex, tanto bravo ed apprezzato da tutti, non rapisci il cuore di
nessuno? Non solo: i Borknagar con Vintersorg avrebbero inanellato una serie di successi annettendo nel proprio sound nuovi elementi, compreso qualche spunto progressivo, tant'è che oggi la band di Oystein ha conquistato uno status di tutto rispetto nell'universo metal del terzo millennio. La militanza nei Dimmu durò comunque in tutto dieci anni, nei quali il Nostro
si difese con onore e pazienza, ma sempre in seconda linea, fra due puttane
come Shagrath e Silenoz. Fino a quando, nell'agosto 2009, lui e
il tastierista Mustis furono licenziati in tronco per motivi poco chiari. Ma Vortex, precario
nell’anima, non se ne fece di certo un cruccio e subito si ributtò nella
mischia in cerca di ingaggi.
Fu
ancora una volta il provvidenziale Garm, che sostanzialmente si era rotto i
coglioni di cantare in una band metal (nel frattempo i suoi Ulver erano definitivamente
parcheggiati nei territori dell'elettronica e dell'avanguardia), a passargli
nuovamente il testimone, indicandolo come suo possibile successore negli stessi
Arcturus. Nel 2005, quando ancora il Nostro era in forza nei Dimmu, era
stato pubblicato “Sideshow Symphonies”, che vedeva Vortex finalmente
nella veste di vocalist principale. L'album mostrava una band tonica, in
forma e finalmente pronta, proprio grazie a Vortex, a confrontarsi con l’inedita
dimensione live (dimensione da sempre osteggiata dal pigro Garm), fra l'altro confezionata ad arte con sontuose scenografie e travestimenti assurdi. A tal
proposito, si segnala il bel DVD “Shipwrecked in Oslo” del 2006.
Giungiamo
dunque ad “Arcturian” (ve l’avevo detto, no?, che la prendevo larga...),
nuovo album e quinta release ufficiale degli Arcturus, che appunto
decidono di dare continuità al loro percorso confermando dietro al microfono il sempre disponibile Vortex (che nel 2011 aveva pure
fatto uscire a suo nome “Storm Seeker”, unico parto della sua carriera
solista e flop commerciale). Io che sono un Fan, “Arcturian”
non l'ho però ascoltato. Ho adorato gli
Arcturus e mi sono fatto piacere “Sideshow Symphonies”, ma non me la son sentita di buttarmi alla cieca nell'acquisto di quest'ultima prova. Mi sono accontentato di ascoltare la presentazione ufficiale su Youtube, ma nell’arco
dei quattordici minuti in cui vengono passati in rassegna diversi momenti dell’opera, non mi sono convinto all'acquisto. Non è sicuramente il modo migliore di approcciarsi ad un’opera complessa e sicuramente ben
fatta, ma ho avuto come l’impressione che il nuovo album degli Arcturus fosse
come il mascarpone: gustosissimo alla prima cucchiaiata, da nausea dopo
poco. Sebbene i suoni non siano il top, in “Arcturian” la prestazione dei Nostri è impeccabile, come in “Sideshow Symphonies”
del resto, ma qualcosa continua a non convincermi. “Spettacolare!”
esulti all’inizio, esaltandoti innanzi alle consuete atmosfere spaziali sparate
nel firmamento con il consueto dinamismo e con la classe e la perizia tecnica che sa sempre contraddistinguono il combo norvegese. Addirittura ci
imbatteremo in passaggi di elettronica spinta che non sentivamo da tempo e pure in qualche prepotente screaming disseminato qua e là (altro
contributo di Vortex: aver riportato un pizzico di black negli Arcturus, che in diversi frangenti tornano a pestare prepotentemente), ma non
c'è secondo me la brillantezza, l’azzardo, l'imprevedibilità di una volta. E così l’album dopo un po' viene a noia: è come una bellissima
ragazza che non ispira sesso.
E
poiché sono convinto che Hellhammer non avrà sbagliato un colpo
e che Sverd si sia fatto il consueto culo sia in fase di composizione
che in quella di esecuzione, ho paura che questa sensazione di “incompletezza”
(come se mancasse qualcosa, come se sfuggisse un qualcosa, come se si
aggiungessero note per riempire un vuoto incolmabile) sia dato proprio dal buon
Vortex, che, in qualche modo (bisogna infine ammetterlo!), continua, nonostante
l’innegabile bravura, a non darmi emozioni.
Come i grandi caratteristi, Vortex
se la cava meglio nel cameo: egli, è probabilmente più efficace come spalla che
come attore protagonista (egli sta a Garm come
Bombolo stava al Commissario Monnezza). Forse meno preparato
tecnicamente, Garm ha il talento di saper valorizzare e rendere significativo
ogni suo singolo vocalizzo. Non solo: con la sua cultura musicale che scavalca
il metal, è probabilmente in possesso di una sensibilità che lo rende non solo
cantante atipico, ma anche autore intelligente, lui che guarda a Coil e David
Sylvian. Vortex ha sicuramente le risorse per sostituirlo (come Owens aveva
le corde vocali per interpretare con credibilità i brani di Halford, o come Airey
può tranquillamente sedere dietro alle tastiere al posto di un John Lord), ma
evidentemente non ha il cuore per farlo: un cuore inaridito dopo anni di
consulenze, di costante impiego di mestiere per entrare in sintonia con estri e
personalità artistiche differenti. E’ come se, certa gente, avesse rinunciato a
credere nell’arte; e per continuare a campare di arte, si accontentasse di
esserci. Come se l’importante non fosse vincere, ma partecipare…