15 giu 2015

A SPASSO NELLO SPAZIO CON ARJEN!



Se c’è un artista in ambito metal che gode del massimo rispetto e considerazione da parte dei suoi colleghi questi deve essere Arjen Anthony Lucassen. Lo penso perché qualsiasi idea venga in mente al biondocrinito compositore e polistrumentista olandese, per quanto bislacca possa apparire (e nel corso della sua lunga carriera di idee bislacche gliene sono venute parecchie), basta che prenda il telefono e chiami i migliori cantanti e strumentisti metal sparsi per i diversi continenti et voilà…il suo progetto prende corpo!

Ormai il suo stile e il suo sound sono un marchio di fabbrica riconoscibilissimo, una specie di format. Sound e stile che sono sinonimo di garanzia, di alta qualità musicale.

A cura di Morningrise

Ora non c’è dubbio che le cose migliori Arjen le abbia realizzate per la sua creatura principale, gli Ayreon, dei quali sono un fan sfegatato e sui quali non basterebbe un libro intero per decantarne le meraviglie. 
Ma il Nostro dà la netta impressione di riversare tutto se stesso, e quindi tutta la sua passione e il suo divertimento, su ogni parto mentale che scaturisca dalla sua fervida fantasia. Il contenitore Ayreon è troppo stretto per metterci dentro anche un po’ di gothic e ambient? Non c’è problema: facciamo nascere gli Ambeon. E per un po’ di symphonic/folk? Presto fatto: si assolda una delle migliori cantanti femminili in circolazione, la messicana Marcela Bovio, ci si crea attorno un gruppo, gli Stream of Passion, ed ecco qua “Embrace the Storm” (2005) uno dei miglior album del genere degli anni 2000.

Insomma, sembra sempre tutto facile per Arjen…che aveva appena 13 anni quando uscì uno dei live più belli e più importanti della storia del rock, “A space ritual” (1973) degli Hawkwind. Un gruppo questo particolare, geniale, originalissimo, cui molti gruppi progressive nati nelle decadi successive saranno debitori, capitanati dall’istrionico Dave Brock, personaggio davvero unico e inimitabile. Lucassen in gioventù deve aver consumato i dischi del combo inglese perché sennò non avrebbe chiamato proprio Brock a cantare, benchè per lo più come corista, nel disco d’esordio della sua ennesima creatura, gli Star One. Il nome della band e del disco, “Space metal” (2002), sono un chiaro rimando ai telefilm britannici Sci-fi di fine anni settanta nonché un sentito omaggio allo Space Rock, sottogenere del progressive rock anni ’70, di cui gli Hawkwind sono considerati fondatori, nonché i principali esponenti.

Indurito il sound con una dose non troppo abbondante di power/prog di matrice europea, Lucassen richiama quelle sonorità settantiane, soprattutto con l’utilizzo di tastiere e sintetizzatori e ci costruisce attorno un concept avventuroso con chiari rimandi, come detto, alle serie e ai vecchi film di fantascienza, da Star Trek a I 7 di Blake, da Dune a Guerre Stellari.  

La storia del disco la seguiamo, come sempre nello stile del lungagnone olandese, grazie all’interpretazione dei diversi personaggi da parte di un ensemble di cantanti da far paura: Sir Russell Allen (sic!), Damian Wilson (ex Threshold), Dan Swano (Edge of Sanity) e il connazionale Robert Soeterboek a cui sono affidate le parti vocali più cupe. A impreziosire e addolcire il tutto non poteva mancare anche la voce femminile, affidata con grande profitto alla sensuale Floor Jansen, all’epoca poco più che ventenne e in forza agli After Forever.

Spostandoci sul versante musicale ciò che risalta subito alle orecchie come accennato sopra è che le keyboards sono protagoniste per tutto il disco, con un profluvio di suoni sintetici e “spaziali”, a tratti liquidi, e per questo Arjen, oltre a suonare in prima persona tastiere e organo, chiama a coadiuvarlo anche due Mostri Sacri dello strumento, quali Jens Johansson degli Stratovarius e lo statunitense Erik Norlander. 
Il risultato è davvero ottimo, non ci sono cali di tensione, non ci sono filler, al limite qualche sensazione di già sentito nella discografia degli Ayreon (soprattutto vi sono chiari rimandi a “The Universal Migrator” che è di appena due anni antecendente a "Space Metal"). Ma la qualità non ne risente minimamente e l’attenzione dell'ascoltatore è tenuta sempre alta dall’alternanza di parti più dure in stile power come “Set Your Controls” e “Master of Darkness” (parti che strizzano l’occhio alle sonorità dei Gamma Ray di “Somewhere Out in Space” e “Powerplant”), altre più cadenzate (“High Moon”, “Perfect Survivor”), altre ancora molto oscure e/o dal vago sapore orientaleggiante (“The Eye of Ra”, “Sandrider”), fino ad arrivare a vere e proprie perle di prog metal dal forte tratto epico, ovviamente epicità in salsa galattico/fantascientifica (“Songs of the Ocean”, “Intergalactic Space Crusaders”).
Il disco si chiude con la monumentale “Starchild” vera summa dell’album dove tutti i cantanti si ritagliano un proprio spazio importante e dove le diverse componenti musicali disseminate lungo tutto l’arco del disco vengono riassunte in questi 9 minuti davvero epici, sognanti ma al contempo anche trascinanti.

Grazie a un paio di ottimi session-man e alla disponibilità di tutti i vocalist presenti su disco, Lucassen riuscì a portare persino in tour il progetto Star One, da cui venne tratto anche un album live e un dvd, “Live on Earth” e nel quale tutti i membri del gruppo danno davvero l’impressione di divertirsi da morire sul palco! Probabilmente l’esperienza poteva concludersi là, con quel live perchè questo side-project aveva esaurientemente espresso ciò per il quale era nato. E addirittura il nome dell’album stava a indicare davvero la nascita di un NUOVO sottogenere metal (cosa alquanto rara, come MM ha già sottolineato in un recente post del Dottore). Invece Arjen volle dare un seguito a “Space metal”, dopo addirittura otto anni, dando alla luce “Victims of modern age”, un disco discreto, ma sicuramente meno fresco del suo predecessore e dal songwrting non ispiratissimo. Tanto che è rimasta l’ultima pubblicazione col monicker Star One.

Ma “Space Metal” è sicuramente un disco da avere per gli appassionati senza paraocchi del prog sia per conoscere una sorta di suo sotto-genere, sia per avere un quadro completo della sfaccettata personalità di Lucassen, uno degli artisti più eclettici e geniali che il Mondo Metal abbia mai partorito.