Se c’è un artista in ambito metal
che gode del massimo rispetto e considerazione da parte dei suoi colleghi
questi deve essere Arjen Anthony Lucassen. Lo penso perché qualsiasi idea venga
in mente al biondocrinito compositore e polistrumentista olandese, per quanto
bislacca possa apparire (e nel corso della sua lunga carriera di idee bislacche
gliene sono venute parecchie), basta che prenda il telefono e chiami i migliori
cantanti e strumentisti metal sparsi per i diversi continenti et voilà…il suo progetto prende corpo!
Ormai il suo stile e il suo sound
sono un marchio di fabbrica riconoscibilissimo, una specie di format. Sound e
stile che sono sinonimo di garanzia, di alta qualità musicale.
Ora non c’è dubbio che le cose
migliori Arjen le abbia realizzate per la sua creatura principale, gli Ayreon, dei quali sono un fan sfegatato e sui quali non basterebbe un libro intero per decantarne le meraviglie.
Ma il
Nostro dà la netta impressione di riversare tutto se stesso, e quindi tutta la
sua passione e il suo divertimento, su ogni parto mentale che scaturisca dalla
sua fervida fantasia. Il contenitore Ayreon è troppo stretto per metterci
dentro anche un po’ di gothic e ambient? Non c’è problema: facciamo nascere gli
Ambeon. E per un po’ di symphonic/folk? Presto fatto: si assolda una delle
migliori cantanti femminili in circolazione, la messicana Marcela Bovio, ci si
crea attorno un gruppo, gli Stream of Passion, ed ecco qua “Embrace the Storm”
(2005) uno dei miglior album del genere degli anni 2000.
Insomma, sembra sempre tutto
facile per Arjen…che aveva appena 13 anni quando uscì uno dei live più belli e
più importanti della storia del rock, “A space ritual” (1973) degli Hawkwind.
Un gruppo questo particolare, geniale, originalissimo, cui molti gruppi progressive nati nelle decadi successive saranno debitori, capitanati dall’istrionico Dave
Brock, personaggio davvero unico e inimitabile. Lucassen in gioventù deve aver
consumato i dischi del combo inglese perché sennò non avrebbe chiamato proprio
Brock a cantare, benchè per lo più come corista, nel disco d’esordio della sua
ennesima creatura, gli Star One. Il nome della band e del disco, “Space metal”
(2002), sono un chiaro rimando ai telefilm britannici Sci-fi di fine anni
settanta nonché un sentito omaggio allo Space Rock, sottogenere del progressive
rock anni ’70, di cui gli Hawkwind sono considerati fondatori, nonché i
principali esponenti.
Indurito il sound con una dose non troppo abbondante di power/prog di matrice europea, Lucassen richiama quelle sonorità settantiane,
soprattutto con l’utilizzo di tastiere e sintetizzatori e ci costruisce attorno
un concept avventuroso con chiari rimandi, come detto, alle serie e ai vecchi
film di fantascienza, da Star Trek a I 7 di Blake, da Dune a Guerre Stellari.
La storia del disco la seguiamo,
come sempre nello stile del lungagnone olandese, grazie all’interpretazione dei
diversi personaggi da parte di un ensemble
di cantanti da far paura: Sir Russell Allen (sic!), Damian Wilson
(ex Threshold), Dan Swano (Edge of Sanity) e il connazionale Robert Soeterboek a cui sono affidate le parti vocali più cupe. A impreziosire e addolcire il tutto non
poteva mancare anche la voce femminile, affidata con grande profitto alla
sensuale Floor Jansen, all’epoca poco più che ventenne e in forza agli After
Forever.
Spostandoci sul versante musicale
ciò che risalta subito alle orecchie come accennato sopra è che le keyboards
sono protagoniste per tutto il disco, con un profluvio di suoni sintetici e
“spaziali”, a tratti liquidi, e per questo Arjen, oltre a suonare in prima
persona tastiere e organo, chiama a coadiuvarlo anche due Mostri Sacri dello
strumento, quali Jens Johansson degli Stratovarius e lo statunitense Erik
Norlander.
Il risultato è davvero ottimo, non ci sono cali di tensione, non ci
sono filler, al limite qualche
sensazione di già sentito nella discografia degli Ayreon (soprattutto vi sono
chiari rimandi a “The Universal Migrator” che è di appena due anni
antecendente a "Space Metal"). Ma la qualità non ne risente minimamente e l’attenzione dell'ascoltatore è tenuta sempre alta dall’alternanza
di parti più dure in stile power come “Set Your Controls” e “Master of Darkness” (parti che strizzano l’occhio alle sonorità dei Gamma Ray di “Somewhere Out in Space” e “Powerplant”), altre più cadenzate (“High Moon”, “Perfect Survivor”), altre ancora molto oscure e/o dal vago sapore
orientaleggiante (“The Eye of Ra”, “Sandrider”), fino ad arrivare a vere e proprie perle di
prog metal dal forte tratto epico, ovviamente epicità in salsa galattico/fantascientifica
(“Songs of the Ocean”, “Intergalactic Space Crusaders”).
Il disco si chiude con la
monumentale “Starchild” vera summa dell’album dove tutti i cantanti si
ritagliano un proprio spazio importante e dove le diverse componenti musicali
disseminate lungo tutto l’arco del disco vengono riassunte in questi 9 minuti
davvero epici, sognanti ma al contempo anche trascinanti.
Grazie a un paio di ottimi
session-man e alla disponibilità di tutti i vocalist presenti su disco,
Lucassen riuscì a portare persino in tour il progetto Star One, da cui venne
tratto anche un album live e un dvd, “Live on Earth” e nel quale tutti i membri
del gruppo danno davvero l’impressione di divertirsi da morire sul palco!
Probabilmente l’esperienza poteva concludersi là, con quel live perchè questo side-project aveva
esaurientemente espresso ciò per il quale era nato. E addirittura il nome dell’album
stava a indicare davvero la nascita di un NUOVO sottogenere metal (cosa
alquanto rara, come MM ha già sottolineato in un recente post del
Dottore). Invece Arjen volle dare un seguito a “Space metal”, dopo addirittura
otto anni, dando alla luce “Victims of modern age”, un disco discreto, ma
sicuramente meno fresco del suo predecessore e dal songwrting non
ispiratissimo. Tanto che è rimasta l’ultima pubblicazione col monicker Star One.
Ma “Space Metal” è sicuramente un
disco da avere per gli appassionati senza paraocchi del prog sia per conoscere una sorta di suo
sotto-genere, sia per avere un quadro completo della sfaccettata personalità di
Lucassen, uno degli artisti più eclettici e geniali che il Mondo Metal abbia
mai partorito.