I
MIGLIORI DIECI ALBUM NON-METAL FATTI DA BAND/ARTISTI METAL
5° CLASSIFICATO: “DISCOURAGED ONES”
Oscurati
a più riprese dall’ascesa trionfale dei cugini Opeth, i Katatonia
vantano in realtà una carriera che non è stata certo inferiore, per qualità e
coraggio, a quella della band capitanata da Mikael Akerfeldt.
Schivati
per un soffio dalla nostra trattazione sugli album più rappresentativi del
“Nuovo Metal”, vogliamo oggi tributare i Katatonia facendo loro inaugurare
nientemeno che la top five della classifica dei migliori album non-metal
fatti da band metal.
Riavvolgiamo
dunque il nastro e ritorniamo per un attimo all’anno 1993. I Katatonia
esordivano con l’acerbo “Dance of December Souls”, album che mostrava
una band ancora inesperta e poco coesa. Le chitarre di Anders Nystrom (in arte Blackheim) guardavano indubbiamente ai riff malinconici dei Paradise Lost; Jonas Renkse (all'epoca Lord Seth) sfoggiava, dal canto suo, uno screaming
raggelante che permetteva di accostare il tutto al black metal,
sebbene la batteria (da egli stesso dilettantescamente suonata) procedesse con cadenza doom. Se da un lato il prodotto poteva essere considerato qualcosa di originale e per certi aspetti pioneristico all'interno della prima ondata di band doom-death-metal, solo successivamente quest'opera sarebbe divenuta oggetto di rivalutazione: e ciò sarebbe accaduto in virtù del
successo riscosso, tre anni dopo (nel 1996), dal capolavoro “Brave
Murder Day”.
I due susperstiti Nystrom (chitarrista ed autore delle
musiche) e Renkse (voce, testi e batteria), presto raggiunti dal fondamentale Fredrick
Norrman (all’indispensabile seconda chitarra) e sempre sotto l’ala protettrice del
produttore Dan Swano, compiranno con questo lavoro il vero salto di
qualità. Il loro sound, da claudicante ed incerto, divenne in un sol
colpo fresco, compatto, asciutto, equilibrato. In una parola: maturo. Sublimi intrecci di
chitarra, ripetuti fino alla sfinimento (un approccio che potremmo definire burzumiano), disegnavano inediti paesaggi di incomparabile decadenza. Il drumming
elementare e fatalistico di Renske, in perenne 4/4, era perfetto nello scandire
quegli scenari di desolazione di cui i Katatonia sarebbero divenuti maestri
indiscussi. A completare il quadro troviamo infine il disperato growl dell’amico
Mikael Akerfeldt, inconfondibile voce degli Opeth (altri
“protetti” di Swano), qui presente solamente in veste di session-vocalist.
Non
passeranno nemmeno due anni (è il 1998) che uscirà “Discouraged Ones”,
l’album che più di ogni altro costituirà un punto di non ritorno per la
carriera dei Katatonia. Le avvisaglie, del resto, c’erano già state nello stesso “Brave
Murder Day", che fra i suoi solchi custodiva quel gioiello
acustico che rispondeva al nome di “Day”: in quella dimessa ed eterea ballata,
che costituiva un episodio a sé stante all’interno dell’album, Renske sottraeva
per un attimo il microfono ad Akerfeldt, per sfoggiare una sorprendente voce
pulita che mai ci saremmo aspettati dallo sgraziato screamer di “Dance
of December Souls”.
Fu
questa la dimensione ideale in cui i Katatonia avrebbero saputo poi sviluppare
una nuova e splendida identità. Oramai compattata intorno all’affiatato trio Renkse/Nystrom/Norrman
(con l’aggiunta del basso di Mikael Oretoft, che presto abbandonerà la partita)
la compagine svedese compirà con “Discouraged Ones” una delle più straordinarie
metamorfosi che hanno avuto luogo nel mondo del metal. Una metamorfosi tanto più
straordinaria perché naturale: sebbene, infatti, si passasse in un sol colpo da
un agonizzante doom/black ad un orecchiabile gothic-rock, la migrazione suonerà
spontanea, non comportando traumi né per la band, né (cosa strabiliante!) per
l’ascoltatore.
Il
corpus sonoro rimane sostanzialmente il medesimo, modellato dalla tragica
interazione delle due chitarre, sempre a braccetto e sostenute dal funereo
incedere della batteria. E’ semmai il format a cambiare: le lunghe e claustrofobiche composizioni
del passato vengono a condensarsi in canzoni brevi, snelle, dotate del pratico schema
strofa-ritornello e sporcate da quella componente noise-rock che era
appartenuta anche al circuito indie o alla dark-wave più audace. In altre
parole, la musica degli svedesi non suona più “heavy” di un pezzo infuocato dei
Sonic Youth, o dei Cure se pescato da un album violento come “Pornography”. Aumentano
gli spazi concessi agli arpeggi, ma soprattutto, come già anticipato, muta drasticamente
l’approccio al canto: accantonata l’efferatezza vocale del passato, la voce che
condurrà le dolenti ballate dei Katatonia sarà da adesso, e per sempre, quella
pulita di Renkse, perfettamente a suo agio in questa nuova inaspettata veste. A
metà strada fra Robert Smith, Jeff Buckley e Kurt Cobain, Renkse
convince su tutta la linea, e sebbene avrà modo di crescere ulteriormente ed
affinare la sua arte negli album successivi, le sue semplici ma efficaci linee
vocali hanno il potere di conficcarsi come chiodi arrugginiti nel cuore sanguinante
dell’ascoltatore.
Decidere
se “Discouraged Ones” sia un album metal o no, è una questione difficile quanto
oziosa: le chitarre sono ancora potenti e rimangono le protagoniste indiscusse
di questo lavoro, eppure l’aria che si respira soffia indubbiamente
dall’universo della dark-wave più dolente, del cantautorato più esasperato
e persino dal grunge, sebbene come fenomeno artistico e culturale si fosse
da tempo eclissato. La frustrazione, il disorientamento, la disillusione di una
generazione che aveva perso la bussola all'inizio della decade, trovava nuova espressione nelle
visioni decadenti dei Katatonia, che già da tempo avevano abbandonato quel
mondo fantasy ed orrorifico che è tipico del metallo gotico, per
orientarsi verso temi introspettivi ed esistenzialisti.
I
testi minimali di Renkse ci raccontano di fallimenti, di solitudine, di
sconforto, di gesti folli che irrompono nella noia più assoluta di una
quotidianità nevrotica, mai scadendo, però, nell’enfasi romantica che spesso
ambiti di questo tipo suggeriscono. Versi che si compongono di frasi e concetti
semplici, parole di uso comune che divengono lo specchio delle immagini catturate
nel booklet: scatti che ritraggono il profilo angosciante di scale in
penombra, interni disadorni e facciate di abitazioni pervase da una quiete solo
apparente (e per questo ancora più inquietanti). Parole ed immagini che sono specchio
(e qui si chiude il cerchio) di quelle melodie altrettanto minimali, scarne, circolari,
ma terribilmente incisive, che caratterizzano brani orecchiabili, scorrevoli e
dai chorus facilmente memorizzabili: veri inni per perdenti.
Episodi
come “I Break”, “Deadhouse” “Relention”, “Saw You Drown”
sono diamanti grezzi di un’emotività sincera e dirompente, su cui la band
costruirà il suo futuro. “Discouraged Ones”, con le sue sbavature ed
imperfezioni, è stato il passo necessario, coraggioso, drastico, affinché i
Katatonia divenissero quello che sarebbero diventati successivamente. “Tonight’s
Decision” (1999) e “Last Fair Deal Gone Down” (2001) non
faranno altro che perfezionare la formula: con il primo Renkse abbandonerà
completamente la batteria per dedicarsi efficacemente al canto (il suo posto
dietro le pelli lo prenderà nientemeno che Swano in persona!); con il secondo, la
formazione verrà ampliata a cinque elementi, affinché anche la sezione ritmica
potesse finalmente essere valorizzata e divenire una freccia in più nella
faretra dei Katatonia, fautori oramai di un sound sempre più complesso,
dinamico e sfaccettato.
Ma
la grandezza di questa band non sta solo nell’essere stata fra le prime a
lasciarsi alle spalle con disinvoltura le efferatezze del metal estremo, ma
anche nel sapersi evolvere costantemente verso nuovi lidi, spesso non preventivabili.
Come, per esempio, la svolta “tooliana” compiuta con “Viva Emptiness” (2003)
e poi confermata con il successivo, potente “The Great Cold Distance” (2006):
opere in cui i Nostri rinfrescano, modernizzano e rinvigoriscono la loro arte
con riff sempre più corposi, suoni taglienti e ritmiche potenti come non
si erano mai sentite in un disco dei Katatonia.
Un
indurimento del sound che non ha comportato un rinnegamento di quanto di
buono sperimentato nel bellissimo “Discouraged Ones”, che continuiamo a vedere,
non solo come una delle mutazioni più riuscite all’interno del metal, ma anche
come uno degli album più emozionanti circoscrivibili nell’empireo di quel “depressive
rock” di cui i Katatonia rimangono i più degni rappresentanti.