2 ott 2015

GLAM METAL: SUA CONCLUSIONE & CONCLUSIONI



Cari lettori di MM, siamo così giunti alla fine del nostro percorso teso a descrivere il Movimento Glam Metal e quello che ha rappresentato nell’America degli anni ’80, sia da un punto di vista artistico-musicale, che da quello socio-culturale.

So che sicuramente in molti non avranno apprezzato la scelta dei dieci dischi inseriti nella nostra Rassegna come maggiormente rappresentativi della Scena. Capisco: spesso neppure io sono d’accordo con me stesso…

A cura di Morningrise

La verità è che il materiale a disposizione per la suddetta analisi era enorme e fare una selezione comporta sempre una scelta personalissima che, inevitabilmente, non può che trovare opinioni disaccordi. 
Ero talmente in difficoltà che ho adottato una metodologia spazio-temporale tale da restringere il campo il più possibile: come abbiamo visto, i gruppi presi in esame sono stati soltanto statunitensi (con l’eccezione, però giustificata, degli Hanoi Rocks), e gli album trattati rientrano esclusivamente nel periodo 1983 – 1989, l’età d’oro dei due mandati presidenziali di Ronald Reagan e della diffusione culturale del c.d “fenomeno yuppie”.

Riassumendo brevemente possiamo dire che questa scelta metodologica mi ha consentito innanzitutto di non prendere in esame i gruppi europei. E così band sicuramente importanti per il Glam/Hair/Pop metal sono state oggetto soltanto di brevi citazioni senza che venissero analizzate in profondità (Girl, Europe, Whitesnake e Tigertailz su tutte).
Discorso a parte per i Def Leppard, la cui influenza fu talmente grande che, di fatto, ho scelto di renderli co-protagonisti del post sui Dokken.

Rimanendo negli U.S.A. invece la scelta temporale ha tagliato fuori altre grandi band americane che avrebbero meritato un posto al sole nella nostra Rassegna. Tra tutte mi vengono in mente i Warrant, i Danger Danger e, soprattutto, gli Extreme di Gary Cherone e Nuno Bettencourt, che con il loro capolavoro “III Sides To Every Story” (1992) firmarono uno dei capitoli più belli del Pop metal più sofisticato e progressivo (ma, ahimè, passeranno alla storia “solo” per la ballata acustica “More than words”, mega hit contenuta nel precedente, e decisamente inferiore, “Pornograffitti”).

A queste vanno assolutamente aggiunte altre grandi band che pubblicarono dischi fondamentali per l’Hair/Glam metal e che avrebbero potuto tranquillamente rientrare nella nostra Lista, come i Quiet Riot del compianto Randy Rhoads, i Ratt e i Cinderella.
Insomma tutte formazioni queste che, a pieno titolo, fecero parte del movimento, ne aiutarono lo sviluppo e l’affermazione, e il cui contributo aiutò il consolidamento e la credibilità del genere intero. Ma, come detto, i posti erano soltanto dieci e si è dovuto fare una scelta, seppur dolorosa.

Una volta stabilita la metodologia, quello che ci ha guidato nella scelta degli album è stato un filo conduttore, una linea evolutiva del genere.
E’ per questo che siamo partita da dischi che in sé contenevano in misura massiccia le caratteristiche fondamentali dei generi di riferimento settantiani da cui il Glam Metal si mosse: Glam Rock, Blues Rock, Punk, Hard Rock. Generi fondamentali degli anni settanta, tutti mirabilmente incarnati e fusi in un insieme perfettamente equilibrato nella musica dei New York Dolls, di cui abbiamo già decantato ripetutamente le lodi e l’influenza su tutti i gruppi glam metal, e a cui abbiamo dedicato un’intera puntata della nostra Anteprima.

Da qui, ci siamo mossi poi in un continuum che ha visto queste caratteristiche sfumarsi per innestare in modo consistente le influenze europee della N.W.O.B.H.M. e dell’Hard and Heavy. Chi in maniera più diretta e “primitiva”, chi in modo più raffinato e/o patinato.
Dal consolidamento perfetto dei canoni Glam, che abbiamo visto incarnati mirabilmente nei Poison, abbiamo poi analizzato quelle linee evolutive che portarono il genere a modificarsi piano piano dall’interno, incorporando influenze adult-oriented, popular e che consentirono un definitivo sdoganamento a livello planetario del Genere che, da fenomeno seguito in misura massiccia da vere e proprie masse di teenagers, verrà abbracciato da tutti gli appassionati di musica, senza distinzione di sesso ed età dal Giappone al Sud America, dagli States all’U.R.S.S.

Siamo arrivati poi, in conclusione, all’affermazione di quell’affascinante e dirompente variazione sul tema che fu lo Sleaze Metal, splendido esempio di come il Glam non si fosse fossilizzato in una ricetta preconfezionata, ma fosse ancora in grado di dire molto, non rinnegando le proprie origini e quindi la propria carica e valenza socialmente disturbante: in parte tornando alle radici punk/hard rock, e in parte slanciando i propri rami verso l’heavy metal vero e proprio, il Glam dimostrò di essere una “pianta della musicarigogliosa e duratura, carica di frutti e difficile da estirpare.

Ma come abbiamo accennato alla fine del nostro post sugli Skid Row, tra l’agosto e il settembre del 1991 il Glam, se non proprio estirpato, subì un fortissimo ridimensionamento, sia artistico che commerciale. In meno di 30 giorni infatti vennero pubblicati due album fondamentali che rivoluzionarono la Musica tout court e contribuirono, di riflesso, al crollo della scena glam: “Ten” dei Pearl Jam e il celeberrimo “Nevermind” dei Nirvana. 
Pearl Jam e Nirvana furono le due band di punta di tutto il Grunge e questi i loro due album principali e artisticamente più riusciti, tanto da diventare universalmente riconosciuti come seminali dell’intera Scena (anche se per chi scrive il vero capolavoro grunge venne rilasciato l’anno successivo e risponde al nome di “Core” degli Stone Temple Pilots).

Già, perché il Grunge, più che un genere, fu un nome atto a identificare un Movimento (cosa in comune peraltro con diversi fenomeni musicali) che, a partire da Seattle e zone limitrofe, si allargò a macchia d’olio a tutti gli States e oltre. Le band che ne facevano parte erano iper-eterogenee e suonavano musica a volte totalmente diversa tra di loro. Ecco perché, da un punto di vista musicale, è quasi impossibile definire cosa sia il grunge, se non una miscela di disparate influenze che vanno dall’heavy metal all’hard-core, dal punk rock al noise.

Ironia della sorte, parte delle influenze appunto erano le stesse del Glam, ma la predisposizione e l’atteggiamento dei membri dei gruppi grunge erano agli antipodi: se i primi esternavano in modo smaccato e autoironico quegli aspetti che abbiamo visto aver caratterizzato la società-bene americana degli anni ottanta (sesso, droga, parties, divertimento, gioia di vivere, ecc.), gli altri avevano al centro della propria estetica il senso di sofferenza, rabbia, frustrazione, solitudine, noia, mal di vivere: insomma, la disillusione di un’intera generazione.
Tematiche, alcune di queste, condivise dal mondo glam, ma declinate, e questa fu la vera novità, in modo intimistico, pessimistico, quasi privato. Approccio che si manifestò anche sotto altri due aspetti. 1- quello musicale: dove nel Glam grande importanza era comunque riservata alla preparazione tecnica, alle doti vocali dei singer, a una presenza scenica trascinante e istrionica, a una struttura delle song possibilmente anthemica, nel grunge questi erano aspetti trascurabili, dando infatti maggior risalto all’aspetto visceralmente emotivo della musica e dei testi, attraverso l’esplosione di una violenza rudimentale, basata su sonorità moderniste e caotiche, espresse con una scarsa preparazione tecnica, e allo scopo quasi esclusivo di veicolare il senso di disorientamento e depressione provato dai suoi interpreti.
2- quello esteriore: se i componenti dei gruppi Glam, come abbiamo diffusamente visto, davano un’importanza fondamentale (a volte anche superiori alla musica stessa) al look, alle capigliature, al vestiario, al trucco e allo stile di vita edonistico (il tutto studiato, anche laddove si rasentava il cattivissimo gusto), gli artisti grunge si presentavano dimessamente con jeans sdruciti, camicione flanellate da tipico tagliaboschi del north-west, t-shirt bucate e la barba incolta e non curata; con un’aspetto, insomma, anticonformista e lontano anni luce da quello che ci si sarebbe aspettato da una rockstar attenta al giudizio del mercato sulla propria immagine.

Sarà stata la Caduta del Muro di Berlino (1989) e la successiva dissoluzione dell’U.R.S.S. (1991), o la fine delle ideologie totalitarie del c.d. “secolo breve”; o più semplicemente (e più probabilmente) dall’essere cresciuti in una zona, la Seattle e dintorni di metà anni ottanta, piagata dall’enorme consumo di droga, dalla disoccupazione e di conseguenza dalla povertà; sia come sia il grunge riuscì a far breccia nelle nuove generazioni disorientate dai grandi cambiamenti socio-politici mondiali che sicuramente avevano creato una crisi degli equilibri esistenti e portato a un disorientamento giovanile che cercava, inevitabilmente, un qualcosa, anche a livello musicale, che rappresentasse i proprio stati d’animo, ansie ed angosce (e a cui risposero mirabilmente i grandi gruppi del post-metal, come abbiamo letto nella relativa rassegna di MM a cura del nostro Mementomori).

L’industria discografica fiutò l’affare, seguì in massa il trend, facendo contratti molto remunerativi alle band grunge del momento e mettendo in secondo piano le vecchie “galline dalle uova d’oro” del Glam; molte delle quali, per restare a galla, decisero di cimentarsi con le nuove sonorità grunge. I risultati, manco a dirlo, furono alquanto disastrosi, sia artisticamente che sotto il profilo delle vendite. Le band glam infatti non riuscirono, con le loro nuove fatiche in studio, ad acquisire nuovi fans, ma finirono al contrario per perdere parte di quelli storici.
Tra goffi tentativi di scimmiottare le nuove sonorità, o al contrario mantenendo il proprio trademark del passato, le gloriose band piano piano scivolarono nel dimenticatoio (con l’eccezione dei Bon Jovi che si convertirono a un sound molto più morbido e commerciale, riuscendo a mantenere i livelli di successo e vendita del loro primo periodo).

Nonostante questo, la loro fondamentale e geniale funzione avuta nella decade ottantiana è rimasta ad imperitura memoria. E, a distanza di oltre trent’anni (per i New York Dolls addirittura 40!), quegli splendidi dischi glam sono ancora là, con una freschezza e una carica umana da far invidia. E a dirci, in sostanza, che un’espressione artistica che voglia essere “contro” (sia verso un pensiero unico o qualsivoglia potere politico all’apparenza imbattibile) può farlo “dal di dentro”, con l’(auto)ironia e un’intelligente sfrontatezza capaci di rivelare la sostanza dietro l’apparenza, il marciume e l’ipocrisia dietro la facciata di successo perbenista.

Come un giullare che, nel suo essere buffo e “improbabile”, possa proprio per questo gridare al mondo intero che… “IL RE E’ NUDO”!