3 ott 2015

PRIGIONIERI DELLA TARANTELLA: RETROSPETTIVA SUI RHAPSODY OF FIRE


"È finita! Finitaaaaa!" direbbe Sandro Piccinini in una delle sue accorate telecronache calcistiche ormai diventate un cult degli anni sportivi odierni.
Ci vorrebbe infatti proprio lui per sancire la conclusione della infinita, problematica ed interessante Saga che ha visto i Rhapsody Of Fire protagonisti dagli esordi fino all'uscita di "From Chaos To Eternity" nel 2011. 

Ci sono partite di cartello, match di alta classifica o incontri così decisivi e tirati che fino all'ultimo minuto restano in bilico, ma quando si passa in vantaggio a volte accadono le cose più curiose: si ha paura di vincere, una specie del "braccino del tennista" che blocca la propria capacità normale di esprimersi.
Questo sembra accaduto alla premiata ditta Turilli - Staropoli dopo gli strepitosi primi due albums, ma anche ad un passo dal traguardo si percepisce la loro noia, la loro stanchezza...
Annoiati di dover chiudere questa benedetta Saga sono prigionieri di loro stessi e di ciò che hanno creato, ma non possono esimersi dal mettere la parola fine prima di separarsi (per sempre?). I fans stessi sono stanchi di questa storia durata a lungo, per troppi dischi ci siamo dovuti trascinare i draghi e le Enchanted Lands e proprio Luca e Alex si sono rivelati specialisti nel mettersi da soli nel sacco.
In primo luogo creano un sound (Hollywood metal o Tarantella metal, chiamatelo come volete) che è stata la loro delizia, ma anche la loro croce. Una volta saliti agli albori delle cronache per questo modo di interpretare il Power, ne sono rimasti prigionieri e stessa cosa è accaduta con la trama della Saga... Due indizi che fanno una prova, senza contare l'intrigo dovuto al loro monicker mutato da Rhapsody a Rhapsody Of Fire per cause legali.

C'è da dire che la coppia Turilli-Staropoli non ha mai brillato per varietà di pensiero o inclinazione verso la sperimentazione, ma sono riusciti quasi subito ad infilarsi in un vicolo cieco lastricato d'oro, ma pur sempre un vicolo cieco. D'altronde se immagino questi due al liceo, penso a coloro che intavolavano giochi di ruolo; mentre altri occupavano gli edifici scolastici o fumavano canne o facevano le prime esperienze sessuali, loro due lanciavano i dadi... Fino a che non arriva un curioso personaggio che varierà il copione: Fabio Tordiglione (detto Lione) da Pisa.
Fabione piomba con la sua folta chioma nella vita dei due compositori metal, ma la stravolge per carisma, superficialità, chiarezza e prestanza scenica. Ecco la scintilla che ci voleva per far il botto! Lione è un carattere estroverso, toscano, più immediato e, oltre a facilitare le loro vite, permette al duo Turilli-Staropoli di trovare una perfetta voce con cui raccontare le storie di eroi e draghi.

I primi due album "Legendary Tales" (1997) e "Symphony Of Enchanted Lands" (1998) rappresentano un boom assoluto oltre ogni aspettativa, ma sono anche bellissimi. Entrambi mettono nel genere Power alcuni elementi che lo rendono unico: si uniscono l'epicità dei Manowar con la forza degli Helloween, il tutto in una inedita salsa italiana.
Il successo è planetario: copertine, live shows, foto con spade e pupazzi, ma per i nostri due era un sogno e riflettevano su come muoversi successivamente. Tra una esibizione e l'altra nei festival provavano a riflettere come aggiungere capitoli alla Saga, ma in questo non trovavano una spalla in Lione, perché a lui è sempre piaciuto godersi la vita:
- "Fabio vuoi venire un attimo? Dobbiamo pensare al terzo album..."
- "Sapete 'na 'osa bimbi? Fate voi a me va bene tutto, intanto vado a prende un caffè con i Kamelot, poi bevo du' birre con gli Angra e mi ha chiamato Timo Tolkki per fare un giro con lui al Luna Park! Davvero nun scé probrema, fate tutto voi!"

La loro forza è stata sempre quella di non dividersi: Turilli e Staropoli si sono sempre fatti forza l'uno con l'altro. Mai uno screzio, mai un tradimento, solo qualche disco solista peraltro uguale alla band madre, ma sempre concentrati e uniti verso la meta. Come quei giocatori di poco talento si allenano doviziosamente giorno dopo giorno consci che le loro doti non gli permettono di strafare, così allo stesso modo Turilli e Staropoli pian piano vanno avanti e si sostengono a turno:
- "Alex ma non riesco a far un solo come si deve, perché? Sarò scarso alla chitarra?"
- "No, Luca è il tuo stile... Sono io piuttosto che faccio sempre lo stesso giro pomposo di orchestrazioni!"
- "Ma no Alex, è una scelta per caratterizzare il nostro suono!" 
e così via...

Cambiare poco è meglio che rischiare, preferiscono l'accusa di un disco fotocopia che stravolgere il loro suono e la formula funziona perché compongono sempre lavori piacevoli. D'altronde c'è una Saga da finire, c'è un sound da rispettare, c'è un pubblico da capire e la coerenza va oltre tutto. 
Si succedono così gli albums della discografia, come il pigiama della nonna a Natale, magari non ti emoziona al momento, però quanto fa comodo quando arriva il freddo! All'interno del loro recinto comunque provano qualche apprezzabile mossa per variare lo spartito: forzando la componente più diretta ("Dawn Of Victory") o quella più orchestrale ("Symphony Of Enchanted Lands: part 2") o provando qualche influsso malefico in più rispetto al passato come in "The Frozen Tears Of Angels", ma la matrice resta sempre la stessa.
Difficile capire dove stiano i loro effettivi limiti rispetto alla consapevole volontà di proseguire il percorso intrapreso, però nel tempo i Rhapsody Of Fire si sono dimostrati poveri. Poveri di idee, di doti, di coraggio e sempre troppo prigionieri di ciò che avevano creato.
Hanno affinato piccole cose, come la pronuncia di Lione o la presenza di Christopher Lee nella parti narrate o la buona idea di canzoni cantate italiano, però nel complesso troppo poco per quello che potevano permettersi. Hanno forse sofferto di vertigine dopo i primi due dischi e, per paura di perdere la formula magica, hanno provato a ripeterla all'infinito con piccoli aggiustamenti.

Chi ne ha guadagnato più di tutti? Fabio Lione.
Proprio lui, direbbe ancora Piccinini in telecronaca, lui che fuma mille sigarette al giorno, che trasforma la parola "dimension" in dimescio, proprio lui che il suo carattere socievole ha sempre portato i suoi contatti ben oltre le birre bevute ai festival, tanto che è finito per essere il cantante di Angra, Kamelot e non solo...
Questo potrebbe dare l'idea di quello che avrebbero potuto fare gli stessi Rhapsody Of Fire, schiavi di loro stessi e parafrasando una battuta de "Il Gobbo di Nôtre Dame": 
"Dunque avete deciso, vi siete scelti una prigione, bella sì, ma pur sempre una prigione!"