Va detto che i Carpathian Forest si possono apprezzare, ma non si possono amare, semplicemente perché a loro tu stai sui coglioni, a prescindere. “Hai tutto da temere. Ti odiamo qui.” Questo è il loro benvenuto.
Si tratta di un gruppo dalla produzione a gambero. A differenza della maggior parte dei gruppi che progrediscono con il trascorrere del tempo, i Nostri hanno esordito con il loro capolavoro, per poi regredire di album in album. Questo effetto bizzarro è dovuto anche al fatto che della loro produzione non buttano via niente, non importa se sono passati dieci anni. Ma d'altronde anche i Darkthrone colmarono un vuoto propinandoci le loro ammuffite divagazioni death-metal di anni prima, per cui dev'essere un'idiosincrasia norvegese. Alcuni gruppi pubblicano i vecchi demo, le prove di quando suonavano in un garage, bootleg scadenti, etc. I norvegesi invece sono fuori dal tempo, per loro il passato può essere il futuro, almeno su un piano discografico.I Carpathian Forest rovistano nelle loro soffitte per produrre dischi polverosi, rugginosi, rosicchiati dai topi. Gli va riconosciuta l'onestà intellettuale di non spacciare per nuovo questo materiale, per cui precisano giustamente che la canzone “I am Possessed”, edita nel 2002, è in verità un brano del 1992, composto quando ancora si facevamo chiamare “Molestatori di bambini”. Doverosa nota filologica, importante per capire la loro evoluzione.
Il loro nome della band (Carpathian Forest) e i nomignoli Nattefrost e Nordavind suggeriscono un black metal della prima ondata, con ambientazioni boschive e cadenze marziali, cavalcate sgraziate e intermezzi solenni. Questo è quello che combinavano nel primo mini-album, ma la situazione presto sarebbe degenerata.
Il percorso lirico, che porta dai fiori appassiti degli autunni nordici o dal pallore dei paesaggi lunari percorsi dalle ombre di Pan, a gente vestita in lattice che si pratica clisteri, è certamente misterioso. Ma non si tratta infatti di un percorso, quanto di una specularità: l'estremo materialismo sessuale e l'estrema sublimazione spirituale, da molti già teorizzata, si risolve in una disperazione senza confini. Un momento di Niente autentico.
Ci si inoltra nel fitto del bosco per contemplare per ore un candelabro forse spento (come si dice facesse Dead) e si finisce per fare i trenini dentro una baita nel fiordo. E, ciò che è peggio, si ritiene di doverlo raccontare ai fan. Comunque va dato atto che i primi brandelli di depressive-suicidal black metal sono cuciti nei testi di questi dischi, insieme ad alcuni degli squarci nichilistici più disturbanti della poesia black. I Carpathian offrono sia visioni di estrema astrazione di sé, sia consumazioni carnali estreme, degradanti e voraci al punto da non lasciare alcun significato in vita.
"Mi tuffo nelle lande desolate del mio cuore e là lo abbandono in pezzi.
Il sole splende una volta sola nella vita intera. Ti lascerò nel freddo, nel vuoto sordo della notte.
Regina di lattice e pelle nera, ubriacatura della vita.
Ho bevuto troppo del vino di mezzanotte, senza riguardo al trono che avevo da conquistare.
La tua voce continua a risuonare nelle mie orecchie, come piccola eco di ieri.
Non ho espresso volontà, non ho provato sentimenti.
Ho visto fiumi, ho conosciuto fiumi antichi come il mondo e più antichi del flusso del sangue umano nelle vene.
La mia anima è cresciuta tanto profonda, quanto antichi quei fiumi."
Chiuderei con una massima, più che un verso, che non sfigurerebbe tra i "Ricordi" di Marco Aurelio: “Le dita dei piedi che calpesti oggi potrebbero essere appendici del culo che leccherai domani.”
La rivelazione più autentica dei Carpathian si realizza forse attraverso la cover che inseriscono nel primo album, “A Forest” dei Cure. Un uomo rincorre attraverso i boschi l'idea di una donna, fin quasi a vederne l'immagine tra gli alberi; si lancia all'inseguimento e si perde nel fitto della vegetazione. Per poi ritrovarsi solo e con la consapevolezza che la donna non è mai esistita, soltanto l'eterno ritorno di una corsa folle verso il niente.
Il nostro fuggitivo troverà però nel bosco la regina di lattice e pelle nera. Ed è qui che, come profetizzato, si perderà in porcate varie, dimentico della missione cosmica da compiere, del trono da conquistare. Una grande promessa del black iperboreo che si rovina in fantasie sadomaso da videoteca di Copenhagen. Ce l'avevano quasi fatta come alfieri del metal nero con un titolo come “Difendendo il trono del male”, e poi chiudono la carriera con “Fanculo tutti” nel 2006, sottotitolo Caput tuum in anum est, ovvero "hai la testa infilata nel culo" con l'irresistibile sciccheria del latino.
Per capirli fino in fondo e avere un pretesto per inventarsi che non sono dei sudicioni ma dei geni, a un certo punto ci si imbatte in un'immagine che è la sintesi del sado-maso e del nichilismo:
“Si è impiccato nel bel mezzo della notte, trovato morto nella luce brillante dell'alba
Non aveva più litio dentro, aveva lasciato andare la vita
Gli dicevano: lasciala perdere, non ne vale la pena di restare in questo blocco dell'anima”
L'espressione “blocco dell'anima” ("soul constipation") è una metafora che richiama l'intestino (costipazione significa stitichezza). Uno che non caga mai l'anima insomma, perché vivere e comunicare è come cagare l'anima. Bellissima immagine.
Il quadretto della suora cattolica sodomizzata con un elettropungolo e poi crocifissa, chiuso dall'immagine del retto sanguinante, una spacconata, è resa veramente malata dal senso di annebbiamento mentale dello stupratore, sotto l'effetto di eroina e sedativi (downers). I Beatles quando prendevano questa roba vedevano sottomarini gialli (Yellow Submarines), i Carpathian Forest sono di un'altra pasta....e infatti intitolano la loro esperienza psichedelica “L'angelo e l'inculatore”.
Si ottengono anche squarci di comicità involontaria nel tentativo di affastellare suggestioni maligne e ripugnanti, come in “Bloody Fucking Nekro Hell”: “Veleno Satanico – Morte, Polmoni pieni di vomito – Strisci con sangue e merda che ti arrivano al ginocchio”.....quindi pochissima merda e pochissimo sangue, visto che di solito si striscia proprio con i ginocchi a terra. Ma basta il pensiero...
Qui mi fermo, perché francamente dopo questi eccessi demenziali non resterebbe altro da fare che gli esperimenti sonori che faceva un mio vecchio compagno di liceo. Poteva capitare che, telefonando, si sedesse sul cesso e, appoggiando la cornetta al culo, dire: “Aspetta un attimo. Senti...Senti la merda”. Un po' come nel film “Il Postino” quando Troisi registra il rumore del cielo stellato puntando il microfono verso le stelle. Stessa poesia. Ma se volete capire i Carpathian appunto dovete unire queste due immagini: Troisi e il mio amico coi rispettivi microfoni puntati dove sapete.
Direte: ma i Carpathian non sono mai arrivati a tanto, registrare una cacata. E invece sì, ma non sto parlando di alcuni dei loro pezzi peggiori, bensì proprio di una espulsione fecale liquida (registrazione della pratica sadomaso del clistere) che inseriscono come penultima traccia di "Strange Old Brew".
A cura del Dottore
Ho visto fiumi, ho conosciuto fiumi antichi come il mondo e più antichi del flusso del sangue umano nelle vene.
La mia anima è cresciuta tanto profonda, quanto antichi quei fiumi."
Chiuderei con una massima, più che un verso, che non sfigurerebbe tra i "Ricordi" di Marco Aurelio: “Le dita dei piedi che calpesti oggi potrebbero essere appendici del culo che leccherai domani.”
La rivelazione più autentica dei Carpathian si realizza forse attraverso la cover che inseriscono nel primo album, “A Forest” dei Cure. Un uomo rincorre attraverso i boschi l'idea di una donna, fin quasi a vederne l'immagine tra gli alberi; si lancia all'inseguimento e si perde nel fitto della vegetazione. Per poi ritrovarsi solo e con la consapevolezza che la donna non è mai esistita, soltanto l'eterno ritorno di una corsa folle verso il niente.
Il nostro fuggitivo troverà però nel bosco la regina di lattice e pelle nera. Ed è qui che, come profetizzato, si perderà in porcate varie, dimentico della missione cosmica da compiere, del trono da conquistare. Una grande promessa del black iperboreo che si rovina in fantasie sadomaso da videoteca di Copenhagen. Ce l'avevano quasi fatta come alfieri del metal nero con un titolo come “Difendendo il trono del male”, e poi chiudono la carriera con “Fanculo tutti” nel 2006, sottotitolo Caput tuum in anum est, ovvero "hai la testa infilata nel culo" con l'irresistibile sciccheria del latino.
Per capirli fino in fondo e avere un pretesto per inventarsi che non sono dei sudicioni ma dei geni, a un certo punto ci si imbatte in un'immagine che è la sintesi del sado-maso e del nichilismo:
“Si è impiccato nel bel mezzo della notte, trovato morto nella luce brillante dell'alba
Non aveva più litio dentro, aveva lasciato andare la vita
Gli dicevano: lasciala perdere, non ne vale la pena di restare in questo blocco dell'anima”
L'espressione “blocco dell'anima” ("soul constipation") è una metafora che richiama l'intestino (costipazione significa stitichezza). Uno che non caga mai l'anima insomma, perché vivere e comunicare è come cagare l'anima. Bellissima immagine.
Il quadretto della suora cattolica sodomizzata con un elettropungolo e poi crocifissa, chiuso dall'immagine del retto sanguinante, una spacconata, è resa veramente malata dal senso di annebbiamento mentale dello stupratore, sotto l'effetto di eroina e sedativi (downers). I Beatles quando prendevano questa roba vedevano sottomarini gialli (Yellow Submarines), i Carpathian Forest sono di un'altra pasta....e infatti intitolano la loro esperienza psichedelica “L'angelo e l'inculatore”.
Si ottengono anche squarci di comicità involontaria nel tentativo di affastellare suggestioni maligne e ripugnanti, come in “Bloody Fucking Nekro Hell”: “Veleno Satanico – Morte, Polmoni pieni di vomito – Strisci con sangue e merda che ti arrivano al ginocchio”.....quindi pochissima merda e pochissimo sangue, visto che di solito si striscia proprio con i ginocchi a terra. Ma basta il pensiero...
Qui mi fermo, perché francamente dopo questi eccessi demenziali non resterebbe altro da fare che gli esperimenti sonori che faceva un mio vecchio compagno di liceo. Poteva capitare che, telefonando, si sedesse sul cesso e, appoggiando la cornetta al culo, dire: “Aspetta un attimo. Senti...Senti la merda”. Un po' come nel film “Il Postino” quando Troisi registra il rumore del cielo stellato puntando il microfono verso le stelle. Stessa poesia. Ma se volete capire i Carpathian appunto dovete unire queste due immagini: Troisi e il mio amico coi rispettivi microfoni puntati dove sapete.
Direte: ma i Carpathian non sono mai arrivati a tanto, registrare una cacata. E invece sì, ma non sto parlando di alcuni dei loro pezzi peggiori, bensì proprio di una espulsione fecale liquida (registrazione della pratica sadomaso del clistere) che inseriscono come penultima traccia di "Strange Old Brew".
A cura del Dottore