1987, la giovane Sherrie
(Julianne Hough), classica biondina americana dal viso acqua&sapone,
affronta su uno scassato torpedone i 2300 km che separano la sua piccola città
natale di provincia, Tulsa (Oklahoma), dalla sfavillante Città degli Angeli. Il
suo equipaggiamento consiste in appena 17 dollari, un walkman (dal quale scaturiscono le
note di “Paradise City” dei Guns n’ Roses), una valigia piena di vinili delle
sue amate band Glam metal (si intravedono dischi, tra gli altri, degli
Aerosmith e dei Poison), e la sua bellissima voce, strumento attraverso il quale la giovane vuole realizzare il sogno
di diventare una cantante rock.
Comincia così “Rock of Ages”,
musical del 2012 diretto da Adam Shankman, tratto dall’omonimo spettacolo di
Broadway.
La prima cosa che salta agli occhi di un metallaro medio è il titolo, programmatico nella sua duplice valenza, visto che se
da un lato rimanda letteralmente ad un'epoca aurea del rock, dall’altro è anche il
titolo di una delle canzoni più famose dei Def Leppard che, come abbiamo visto,
fu una delle band principali dell’hard rock mondiale negli anni ’80.
Tornando alla nostra Sherrie: il
pullman la farà scendere direttamente sul brulicante di vita Sunset
Strip di West Hollywood, probabilmente il boulevard più
famoso del mondo, ritrovo storico delle grandi stelle del rock, del cinema e
dello spettacolo (californinano e non), e sede dei più rinomati Disco Club del mondo (“The Roxy
Theatre”, “Whisky A Go Go” tanto per fare un paio di nomi).
Ed è proprio su
questa celeberrima striscia che si trova il “Bourbon Room”, centro nevralgico
della via e luogo di ritrovo dei kids dell’epoca affamati di rock n’ roll e
animati da spiriti ribelli verso famiglia e società.
Attorno a questo locale, amministrato
da un irriconoscibile e gustosissimo Alec Baldwin nei panni di Dennis Dupree,
gestore perennemente in bolletta (“Le tasse sono l’Anticristo del Rock and
Roll!”), si svilupperanno le vicende del film, tra nostalgici rocker aggrappati
ancora a un mondo che rischia di scomparire (l’ottimo Russell Brand/Lonny
Barnett, intimo amico di Dupree), avvenenti giornaliste di riviste
specializzate, manager discografici senza scrupoli (uno strepitoso Paul
Giamatti) e i due giovani protagonisti (la stessa Hough e il Drew interpretato
da Diego Boneta), aspiranti cantanti desiderosi di far diventare realtà il loro american dream.
Senza scendere nei dettagli
tecnici, nonché di quelli della trama, quello che ci interessa è la
ricostruzione di un periodo storico, di un ambiente e della relativa Scena
Musicale. La musica è infatti l’assoluta protagonista del film, ed è attraverso
di essa che il film si dipana, svelandoci uno dietro l’altro i suoi
protagonisti, le cui vicende sono descritte al ritmo delle hits dei più importanti gruppi glam degli anni ottanta.
Ma, oltre alla Musica, il vero
epicentro del film è lui, Tom Cruise alias Stacee Jaxx, vero dio-del-rock, leader della più famosa
Glam metal band del mondo, gli Arsenal, che già dal logo rimandano
esplicitamente ai Def Leppard! Io in questo personaggio e nel suo nome ci vedo
un chiaro rimando a Nikki Sixx dei Motley Crue, ma ognuno può riconoscervi la
rock star che preferisce, a partire da Axl Rose che proprio nel 1987 saliva alla ribalta mondiale con la pubblicazione di "Appetite For Destruction"…
Il corpo di Jaxx (ampiamente
tatuato con pistole, ali di pipistrello e altre amenità simili), nonché la sua gestualità
dominano la scena in modo strabordante. Sempre accompagnato da una corte dei miracoli tanto ridicola
quanto patetica, comprendente ben quattro groupies
(sempre assetate di sesso), due enormi guardaspalle vestite da metal-bikers, e una bertuccia (sic!) di
nome Chebello (Hey man, nella versione originale), Jaxx racchiude in sé tutto
quello che è stato il Glam Metal fino a quel fatidico anno: sesso, droga e rock
innanzitutto; ma anche smaccati eccessi di ogni sorta, innanzitutto alcoolici
ed estetici (gli accessori del suo vestiario, ad esempio, sono tutto un programma…).
Nei suoi atteggiamenti esagerati,
maleducati e volgari ritroviamo un intero mondo che in quell’anno aveva
raggiunto l’apice artistico da un lato ma dall’altro cominciava a far denotare
i primi scricchiolii e segni di decadenza.
Un’apice che nel film si concretizza plasticamente nell’ultimo grande show dal vivo degli Arsenal proprio al “Bourbon Room”,
locale che li aveva lanciati quando ancora non erano famosi. E la canzone che
manda in delirio il pubblico, interpretata con incredibile passionalità da
Cruise, è quella “Pour some sugar on me” che fu uno delle numerose hit
estrapolate da “Hysteria” sempre dei Def Leppard, pubblicato proprio nel 1987.
Sembra quasi che Shankman sia assolutamente consapevole dell'importanza artistica di questa sorta di "anno spartiacque" per il mondo Glam, tanto da mostrare in tutta la sua tragicità, ma anche con
una enorme dose di autoironia, la parabola di quella Scena, incidendola come
detto sul corpo di un Tom Cruise ancora bramato, per lo più fisicamente, da
orde di ragazzine, ma al contempo consumato dai suoi demoni interiori, dai suoi
rimpianti e dall’impossibilità di poter essere ciò che vorrebbe: un uomo in
gabbia prigioniero del suo stesso personaggio.
Jaxx è quindi un'icona politicamente scorretta, ideale bersaglio del falso
perbenismo della società americana, nel film incarnato da una sensazionale
Catherine Zeta-Jones/Patricia Whitmore (ovvero la nostra vecchia conoscenza Tipper Gore) moglie del sindaco di L.A., animata dal fuoco divino del
buoncostume (ma che in realtà, come si scoprirà nel corso del film, sottintende
un altro tipo di “fuoco interiore”…), decisa ad estirpare dalla "sua" città la malapianta del Rock e il suo
“profeta” Jaxx.
“Jaxx è una macchina orrenda che
ci vomita addosso tre cose: sesso, musica insopportabile e…SESSO!” urla
indemoniata Patricia durante l’esilarante scena in cui in chiesa, davanti a un
mega-poster di Jaxx affisso sull’altare, aizza le sue amiche parrocchiane
affinchè si ergano a baluardo della moralità dell’intera città (mentre intanto il
suo casto maritino, in sacrestia, si diverte in giochi sadomaso con la sua
segretaria…).
Il rock è il demonio, causa di tutti i mali e traviatore dei
giovani figli delle famiglie della upper-class, tanto che una delle puritane presenti
arriva a sentenziare: “Mia figlio ha mangiato il cavallo di una mia vicina per
via di Stacee Jaxx!” Geniale…
Ma l’effetto del sermone della Whitmore sarà più
quello di attizzare le passioni carnali delle “consorelle” anziché suscitare lo
sdegno verso il personaggio di Stacee.
Alla fine del film si consumerà
l’inevitabile scontro tra le Whitmore&Friends
e le schiere di metal-kids, durante il quale si da voce alla battuta più
esilarante del film, messa in bocca a Lonny, che apostrofa le rivali con un
eloquente “Togliete le ragnatele dalle vostre passere!”
Insomma, nelle due ore di
pellicola ritroviamo tutto quel mondo che abbiamo descritto nei capitoli della nostra Rassegna, con i suoi pregi e i suoi difetti.
Cinematograficamente non
siamo di certo davanti a un capolavoro memorabile, e personalmente non sono un
amante dei musical, unico genere filmico che digerisco a fatica. Ma il
revival di un’epoca e di un’intera scena musicale tutto sommato regge e a
tratti diverte parecchio.
E poi diciamocela tutta: per noi
metallari, quanto è raro vedere un film dedicato proprio alle nostre amate
sonorità?? Quanto è emozionante la scena in cui Drew e Sherrie si aggirano tra
gli scaffali di un negozio di musica scorrendo tra le dita decine e decine di
vinili tra cui si intravedono LP come “Pyromania” dei Def Leppard (ancora e
sempre loro!), i Molly Hatchet e gli immancabili New York Dolls!??
E così, lasciamo da parte le
analisi critiche da cinefili, e gustiamoci una colonna sonora in cui la fanno
da padrone Poison, Scorpions, Bon Jovi, Foreigner, Journey, Twisted Sister e Skid Row (Sebastian Bach si presta anche a un piccolo cameo a fine film), oltre
a molte altre mitiche formazioni.
Un ultimo appunto: a distanza di
25 anni da allora, a mente fredda, il dubbio che a tratti può sorgere guardando
il film è se quella musica, quell’Hard Rock/Glam Metal fosse davvero un segnale
di controcultura e denuncia verso il becero yuppismo imperante all’epoca; o in realtà
fosse solo una versione edulcorata e superficiale di quanto invece il decennio
precedente, gli anni ’70, aveva prodotto in termini di ribellione e
anticonformismo.
Per conto mio, e credo per lo stesso Shankman (nato nel 1964 proprio a Los Angeles e che quindi, da ventenne, fu testimone oculare di quel periodo), la risposta me la sono data.
E preferisco ribadirlo con le parole, tratte dalla mitica “S.M.F.” di uno dei personaggi più rappresentativi del decennio, il nostro Dee Snider: “Can’t they see you’re different / So hungry and so lean / You’re a walking wonder, you’re a metal machine / look and you’ll see / You’re a lot like me!”
E preferisco ribadirlo con le parole, tratte dalla mitica “S.M.F.” di uno dei personaggi più rappresentativi del decennio, il nostro Dee Snider: “Can’t they see you’re different / So hungry and so lean / You’re a walking wonder, you’re a metal machine / look and you’ll see / You’re a lot like me!”