10 nov 2015

I DIECI GRUPPI PIU' REPELLENTI DEL METAL: I CATTLE DECAPITATION, "NOI SIAMO QUELLO CHE CACHIAMO" (5° POSIZIONE)


Già nel secolo scorso il death-metal, a livello lirico, era stato anticipato da Dino Campana, che cercava  vie innovative per una poesia nuova:

"Io cerco una parola
Una sola parola per:
Sputarvi in viso, sfondarvi.....
“Merda” – per ora

Al chimico che scoprirà di meglio
Sia dato il premio Nobel:
Una parola – dinamite fetida
Che immelmi lo scarlatto del vostro sangue porcino
E vi stritoli la spina dorsale
E moriate nel viscidume vomitorio melmoso delle vostre midolla"

Venne poi il depressive black metal di Ungaretti, che elaborò la chiave espressiva più utile a veicolare la nuova poetica brutale, la sintesi delle immagini nella povertà dell'espressione: l'ermetismo.

E infine sbocciarono i Cattle Decapitation. Gente di poche parole, peraltro grugnite, come Ungaretti; e spregiosi come Campana...
Le danze si aprono con “Don Culo” ("Priest of Ass"), un sonetto sulla depravazione dei preti:
"Il collare un tempo bianco-giglio, ora sporco di sangue sodomita
dei bambini molestati, immagine di purezza imbrattata.
Eppure accecati da fede nutrita in seno
continuano a pagarti perché tu stupri i loro figli."


Un altro picco lirico si tocca con “Vomito proiettile” ("Projectile Vomit" - sembra quasi l'arma segreta di un eroe dei cartoons, nda), che sintetizza l'odio per l'indottrinamento da parte del potere:

"Cercano di scaricare la merda con una passata di sciacquone giù nelle nostre gole, 
ma non c'è modo di nascondere il fetore 
Un rigurgito purificatore gliela sbatte indietro
rimbalzata sulle loro tronfie facce da culo."

Fin qui pare che l'umanità si divida in due: da un lato i buoni e dall'altro i cattivi, che vogliono darci da mangiare i loro escrementi. In altri momenti, tuttavia, viene espressa una visione più neutra in cui:

"Empi portatori di merda
Dissacrano e inquinano la terra
Errore della natura. Concime umano."


Qui si perde la forza della lingua originaria, sia nella rima del titolo ("Species of Feces"), sia nel neologismo di fusione humanure (human manure). Neologismo di cui i Cattle si innamorano al punto da farne il titolo della loro canzone-manifesto nell'album “della maturità”!

In “Humanure” infatti i nostri superano il brutal qualunquistico, quello della rabbia contro il sistema, o del nichilismo, per approdare ad una concetto superiore di repellenza. Si immagina appunto un sistema automatizzato di sostentamento sociale costituito da individui collegati tramite i loro ani con tubature a T che risalgono per poi terminare su naso e bocca con una mascherina. In tal modo i flussi fecali degli individui finiscono in una “cloaca comune” da cui ciascuno attinge secondo il proprio appetito. I propri escrementi divengono il pasto altrui e viceversa, in un sistema che si decompone e ricompone. Il tutto, ovviamente, illustra in maniera efficace il teorema brutal-death secondo cui il mondo si nutre delle sue stesse feci. Siamo quello che mangiamo e mangiamo quello che cachiamo. Per la proprietà transitiva, siamo quello che cachiamo. Inappuntabile.

Qui Ungaretti e Campana avrebbero francamente rinnegato la paternità della poetica, andata ben oltre i loro insegnamenti, per lasciare il testimone a Pasolini, a cui sarebbe piaciuto sia il concetto che la sua rappresentazione. Peraltro i Cattle, col proseguire della loro produzione, tenderanno ad abbandonare la semplicità e la sintesi della forma “sonetto” in favore di una versificazione più ragionata e discorsiva, à la Pasolini appunto.

Per i Cattle Decapitation la storia dell'uomo è una “antropologia di merda” in cui “le generazioni future, scavando, troveranno i nostri resti merdosi pietrificati e comprenderanno cosa ci muoveva e che eravamo fatti di sterco”. A scanso di equivoci, l'umanità vien descritta come composta da “gente che abita la terra e gioca a fare il re in cima a monti di sterco, specchiandosi in ciò di cui è degna; siamo solo un fallimento, l'evoluzione ha fatto cortocircuito, nel mio cuore e attraverso i miei occhi, il genere umano giace sulla sua stessa merda”.

In questo contesto la mostruosità di un Cloacula (un vampiro avido di materiale fecale che affonda i denti nelle mucose intestinali) è relativa. I Cattle scandalizzeranno forse gli Americani, ma qui dalle nostre parti le copro-metafore sono parte della cultura popolare. Ad esempio si dice“averne per tre caàte” (trad: averne per tre cacate, ndr) indica efficacemente e impietosamente la condizione di chi ha poco da vivere, perché niente rende meglio l'idea della vita che se ne va, quanto l'energia spesa per cacarsi via la vita di un giorno (ammesso che si vada con regolarità).
Da un certo punto in poi i Cattle decideranno di seguire anche una vena animalista, dichiarandosi vegetariani. Faranno denuncia a modo loro: ad esempio celebrando i polipi anali cancerosi come portatori della vendetta contro la dieta carnivora (che, come è noto, è un fattore di rischio per alcuni tumori dell'apparato digerente). I Cattle oscillano così tra l'iperrealismo (con le minuziose descrizioni della malattie tumorali e le loro conseguenze) e lo sviluppo surrealista delle stesse suggestioni, ad esempio immaginando che l'uomo, straripante delle sue stesse feci, inizi a trasformarsi: si svilupperanno così nel suo organismo delle “bocche” per dare agli escrementi una via di uscita tramite gli organi interni e la pelle. Non altro che le cosiddette “stomìe”, che in chirurgia sono degli sbocchi per far comunicare all'esterno le cavità (digestive, respiratorie) quando queste sono chiuse da masse ostruenti: queste cavità si moltiplicano sul corpo di un essere umano invaso dai suoi stessi escrementi e ammorbato dai parassiti, i quali si moltiplicano cibandosi degli escrementi stessi e dei tessuti circostanti.
Come affermarono in un'intervista, “l'uomo non è il punto più alto della catena alimentare” e sarà quindi cibo. Cibo per i suoi simili che lo cannibalizzeranno per fame o appetito; cibo per i vermi, per i batteri che dall'esterno e dall'interno lo consumeranno. Cibo e concime. Del resto in questo apparente capovolgimento si recupera un certo senso della vita “globale”: è vero che l'evoluzione produce esseri vari e sempre più complessi, tuttavia questo processo non rende necessariamente “superiori”, bensì “diversamente viventi”. E spesso la complessità paga pegno alla minore probabilità di adattarsi. L'uomo evoluto perde la lotta con l'ameba, che nella sua semplicità va verso il cibo e scappa dal pericolo. L'uomo progetta la sua autodistruzione come conseguenza inevitabile della sua intelligenza. L'immagine dell'Uomo-merda che mangia e caca a ciclo continuo, o quella dell'Uomo-sacca infetta divorato dai suoi parassiti intestinali, altro non sono che intuizioni metaforiche di questa idea.

Come da queste premesse si arrivi al concetto che l'uomo debba rispettare le altre specie e non mangiarle, ci è invece difficile capirlo. Questo forse è il limite maggiore all'inventiva immaginifica dei Cattle: l'ideologia. L'idea che nel cervello dell'uomo si nasconda il germe dell'autodistruzione e dello sfruttamento non sostenibile dell'ecosistema contrasta un po' con l'utopia secondo cui l'astenersi dal mangiare carne possa corrispondere ad grado più evoluto di umanità. Le utopie provengono sempre dal cervello umano e sono forse davvero l'escremento più pesante, proprio perchè nascosto dentro l'apparente nobiltà del cervello.

Noi quindi auspichiamo un auto-cannibalismo ideologico per il futuro dei Cattle: che si mangino le loro utopie animaliste e defechino via la componente ideologica della loro repellenza.


A cura del Dottore