13 dic 2015

RECENSIONE: W.A.S.P. "GOLGOTHA" - La messa è finita.



Partiamo da un concetto generale: "Piano 17". 

Non so se avete presente il film dei Manetti Bros., ad ogni modo vi racconto io la scena chiave. C'è una banda di rapinatori professionisti, freddi ma non avidi, comandati da un capo che vuol fare i soldi facili, ma senza allargarsi troppo. Nell'ultima rapina qualcosa va storto e si spara. Il capo si incazza con il suo compare più fidato, uno che lo aveva sempre coperto e non aveva mai sbagliato prima, il quale giustamente si risente. E il superiore replica che quando si è sotto tensione e qualcosa va storto, bisogna sempre avere un piano 2 (o piano B) verso cui ripiegare senza perdere il controllo. E se va storto il piano 2, un piano 3 e così via. E si arriverà ad un certo punto al piano 16. E quando anche quello va storto, ed anche il più freddo degli uomini potrebbe perdere il controllo, bisogna avere un piano 17. Invece il compare ha perso la lucidità e ha iniziato a sparare, e questo perché non aveva un piano di riserva. Quindi da quel momento è fuori dalla banda: “Non mi posso più fidare di te.


Nella musica, vale lo stesso. Non si tratta di incappare in un album di merda, o in un album scarico o poco riuscito: questo può accadere per mille motivi, primo fra tutti il fatto che la cadenza delle uscite diventa una questione di mercato e non di ispirazione. Il concetto è che se si perde il controllo di se stessi dopo due album, o dopo venti, la sostanza non cambia: dopo che un artista ha perso il controllo, non ci si può più fidare di lui. Non tutto è lecito in arte. Per esempio, non esiste un buon album fatto rinnegando il proprio passato.

Blackie Lawless era un modello di evoluzione elastica, perché sapeva ancora scrivere vent'anni dopo brani sullo stile di quelli con cui aveva esordito. Al contempo è stato autore di un concept album più studiato e complesso come “The Crimson Idol”. Sapeva inoltre modulare la sua voce per le ballate come per i pezzi rock'n'roll, con toni scanzonati o drammatici. La sua voce non aveva ceduto.

Per qualche album egli procede con uno stile prevedibile, heavy-rock d'impatto, aggressivo & trasgressivo. Poi “matura” e si dedica a composizioni più articolate e variabili, nonché a temi storico-sociali. Quindi approda al concept con una sorta di autobiografia, o meglio con la biografia di un suo alter ego (una rockstar che scopre le sue vulnerabilità dopo esser sopravvissuto all'immagine pubblica che si era creato proprio per fuggire dalla sua fragilità). Jonathan (così si chiama il protagonista) diviene l'idolo delle folle per rendersi conto di come in realtà stesse cercando di diventare l'idolo del padre, che non lo aveva mai accettato per quello che era: un uomo con dei sentimenti. Dopo di che il percorso si fa in salita e il capolavoro per un po' rimarrà insuperabile.

Da allora Blackie scrive e riscrive “The Crimson Idol” cambiandogli titoli e fronzoli, ma è impressionante come una canzone su tre sia praticamente il rifacimento di "Chainsaw Charlie", o di "Arena of Pleasure". Peraltro quei passaggi si imprimono particolarmente bene nella mente dell'ascoltatore, non solo perchè orecchiabili e dal grande impatto, ma anche in virtù del fatto che "The Crimson Idol" ha continui rimandi al suo interno ed in esso quegli stessi passaggi sono più volte ripetuti. Addirittura a un certo punto Blackie, non contento di riproporre le soluzioni di quell'opera, lo rifà da capo, come se niente fosse, e lo chiama “The Neon God”. E non contento, lo rifà come doppio-album. Il risultato: una versione scialba e inutile (nonché sdoppiata) di un lavoro ben riuscito anni ed anni prima. Dopo di che, riparte alla carica con le ennesime versioni dei brani di “The Crimson”, anche se intervallate con alcuni ritorni di fiamma rock. Per supplire a questa carenza di spunti lirici, Blackie fa un bel fracasso, tra voce tagliente e gran pestare di batteria.

Arriva al piano 15, “Babylon”, ma non esce dallo stagno in cui si è ficcato. Perde così il controllo e fa quello che ci poteva/doveva risparmiare: annuncia la sua improbabile conversione cristiana (i reborn christian sono quei fastidiosi individui che, come Mustaine, coltivano un loro cristianesimo “individuale”, salvo pronunciare la parola "Gesù" ogni cinque ed imbigottirsi fino al midollo). Se il piano 15 si arena, ci vuole sempre un piano 16. Blackie, “non ci possiamo più fidare di te” !.

"Golgotha" è stato recensito molto bene dalla maggior parte dei siti e dei giornali dedicati. Copertina neutra (il corvo che sorvola la collina con le tre croci) che ricorda “Poets and Madmen” dei Savatage in monocromo rosso. Poi si parte con i brani e incombe la risposta alla domanda inevitabile: “Un Blackie papa-boy sarà credibile? O quantomeno avrà una nuova vena in sé credibile?" Già siamo al punto in cui Blackie afferma di non essere un predicatore, bensì un ...messaggero!  

Vediamo dunque quali messaggi il novello messaggero ci propina: in sostanza l'uomo è un malato spirituale perché non si fida del fatto che Gesù risorgerà (o non crede che sia risorto, che è la stessa cosa). Finché con gli occhi della fede non vedrà la salvezza, egli non sarà salvo: cercherà dunque di "potenziarsi" anziché purificarsi, con l'effetto di indebolirsi e finire in un cul-de-sac spirituale. Questo è esattamente quello che Blackie ha fatto fino a qualche tempo fa, ossia scrivere testi sul sesso: non altro che uno sfogo per la rabbia di sentirsi abbandonato da Dio (sfogo che Gesù stesso ebbe in punto di morte, a testimoniare il suo essere “uomo”). L'uomo che non ha il coraggio di raggiungere la fede si perde nella trasgressione e nell'opposizione a Dio perché non sa coglierne l'amore, e quindi gli si rivolge con astio. Blackie dice che “si vergogna un po'” di parte della sua storia artistica: adesso, invece, è la testimonianza vivente di come si possa abbracciare il cristianesimo partendo da lontano.

Ed è questo il tradimento di sé di cui parlavo. Non c'entra il genere, la continuità stilistica, ma la coerenza interna. L'idea che ti porta a rinnegare la tua idea precedente potrebbe benissimo non valere una cicca. Almeno la musica non ne risentisse...e invece...

...ecco che ci ritroviamo con degli W.A.S.P. in versione Bon Jovi (il quale almeno cianciava d'amore con il fine ultimo di trombare e non di glorificare se stesso nascondendosi sotto lo straccio di un penitente presuntuoso). Non possiamo essere d'accordo con Blackie quando dice di vergognarsi di ciò che gli W.A.S.P. sono stati, ed anzi ricordiamo la gloriosa battaglia dei gruppi ottantiani contro il movimento religioso del PMRC (Parental Music Resource Center) che oscurava copertine o appiccicava insulsi bollini di avviso alle famiglie sul contenuto “esplicito” dei testi. Esplicito, sì, perché nel bigottismo religioso si può pensare sporco, ma non parlare sporco, e questo è il massimo che qualunque predicatore, o messaggero che dir si voglia, abbia mai offerto all'umanità. Con buona pace degli acquirenti soddisfatti e dei recensori entusiasti, io mi fermo al piano precedente.

A cura del Dottore