Partiamo da un
concetto generale: "Piano 17".
Non so se avete presente il film dei Manetti Bros., ad ogni modo vi racconto io la scena chiave. C'è una banda di rapinatori professionisti, freddi ma
non avidi, comandati da un capo che vuol fare i soldi facili, ma senza
allargarsi troppo. Nell'ultima rapina qualcosa va storto e si spara. Il capo si
incazza con il suo compare più fidato, uno che lo aveva sempre coperto e non
aveva mai sbagliato prima, il quale giustamente si risente. E il superiore replica che
quando si è sotto tensione e qualcosa va storto, bisogna sempre avere un piano 2 (o piano
B) verso cui ripiegare senza perdere il controllo. E se va storto il piano 2,
un piano 3 e così via. E si arriverà ad un certo punto al piano 16. E quando
anche quello va storto, ed anche il più freddo degli uomini potrebbe perdere il controllo,
bisogna avere un piano 17. Invece il compare ha perso la lucidità e ha iniziato a
sparare, e questo perché non aveva un piano di riserva. Quindi da quel momento è
fuori dalla banda: “Non mi posso più fidare di te”.
Nella musica, vale
lo stesso. Non si tratta di incappare in un album di merda, o in un album
scarico o poco riuscito: questo può accadere per mille motivi, primo fra
tutti il fatto che la cadenza delle uscite diventa una questione di mercato e
non di ispirazione. Il concetto è che se si perde il controllo di se stessi
dopo due album, o dopo venti, la sostanza non cambia: dopo che un artista ha
perso il controllo, non ci si può più fidare di lui. Non tutto è lecito in
arte. Per esempio, non esiste un buon album fatto rinnegando il proprio passato.
Blackie Lawless era
un modello di evoluzione elastica, perché sapeva ancora scrivere vent'anni dopo brani
sullo stile di quelli con cui aveva esordito. Al contempo è stato
autore di un concept album più studiato e complesso come “The Crimson Idol”.
Sapeva inoltre modulare la sua voce per le ballate come per i pezzi rock'n'roll, con
toni scanzonati o drammatici. La sua voce non aveva ceduto.
Per qualche album
egli procede con uno stile prevedibile, heavy-rock d'impatto, aggressivo &
trasgressivo. Poi “matura” e si dedica a composizioni più articolate e
variabili, nonché a temi storico-sociali. Quindi approda al concept con una
sorta di autobiografia, o meglio con la biografia di un suo alter ego (una rockstar che scopre le sue vulnerabilità dopo
esser sopravvissuto all'immagine pubblica che si era creato proprio per fuggire dalla
sua fragilità). Jonathan (così si chiama il protagonista) diviene l'idolo delle
folle per rendersi conto di come in realtà stesse cercando di diventare l'idolo
del padre, che non lo aveva mai accettato per quello che era: un uomo con dei
sentimenti. Dopo di che il percorso si fa in salita e il capolavoro per
un po' rimarrà insuperabile.
Da allora Blackie
scrive e riscrive “The Crimson Idol” cambiandogli titoli e fronzoli, ma è
impressionante come una canzone su tre sia praticamente il rifacimento di
"Chainsaw Charlie", o di "Arena of Pleasure". Peraltro quei passaggi si
imprimono particolarmente bene nella mente dell'ascoltatore, non solo perchè orecchiabili e dal grande impatto, ma anche in virtù del fatto che "The Crimson Idol" ha continui rimandi al suo interno ed in esso quegli stessi passaggi sono più volte ripetuti. Addirittura a un certo punto Blackie, non contento di riproporre le
soluzioni di quell'opera, lo rifà da capo, come se niente fosse, e lo chiama
“The Neon God”. E non contento, lo rifà come doppio-album. Il risultato: una
versione scialba e inutile (nonché sdoppiata) di un lavoro ben riuscito anni ed
anni prima. Dopo di che, riparte alla carica con le
ennesime versioni dei brani di “The Crimson”, anche se intervallate con alcuni
ritorni di fiamma rock. Per supplire a questa carenza di spunti lirici,
Blackie fa un bel fracasso, tra voce tagliente e gran pestare
di batteria.
Arriva al piano 15,
“Babylon”, ma non esce dallo stagno in cui si è ficcato. Perde così il
controllo e fa quello che ci poteva/doveva risparmiare: annuncia la sua improbabile conversione
cristiana (i reborn christian sono quei fastidiosi individui che, come
Mustaine, coltivano un loro cristianesimo “individuale”, salvo pronunciare la parola "Gesù" ogni cinque ed imbigottirsi fino al midollo). Se il piano 15 si
arena, ci vuole sempre un piano 16. Blackie, “non ci possiamo più fidare di
te” !.
"Golgotha" è stato
recensito molto bene dalla maggior parte dei siti e dei giornali dedicati.
Copertina neutra (il corvo che sorvola la collina con le tre croci) che ricorda
“Poets and Madmen” dei Savatage in monocromo rosso. Poi si parte con i brani e
incombe la risposta alla domanda inevitabile: “Un Blackie papa-boy sarà
credibile? O quantomeno avrà una nuova vena in sé credibile?" Già siamo al punto
in cui Blackie afferma di non essere un predicatore, bensì un ...messaggero!
Vediamo dunque quali messaggi il novello messaggero ci propina: in sostanza l'uomo è un malato spirituale perché non
si fida del fatto che Gesù risorgerà (o non crede che sia risorto, che è la stessa cosa).
Finché con gli occhi della fede non vedrà la salvezza, egli non sarà salvo: cercherà dunque di "potenziarsi" anziché purificarsi, con l'effetto di indebolirsi e
finire in un cul-de-sac spirituale. Questo è esattamente quello che Blackie ha fatto fino a qualche
tempo fa, ossia scrivere testi sul sesso: non altro che uno sfogo per la rabbia di
sentirsi abbandonato da Dio (sfogo che Gesù stesso ebbe in punto di morte, a
testimoniare il suo essere “uomo”). L'uomo che non ha il coraggio di raggiungere
la fede si perde nella trasgressione e nell'opposizione a Dio perché non sa
coglierne l'amore, e quindi gli si rivolge con astio. Blackie dice che
“si vergogna un po'” di parte della sua storia artistica: adesso, invece, è la testimonianza vivente di come si possa abbracciare il cristianesimo partendo
da lontano.
Ed è questo il
tradimento di sé di cui parlavo. Non c'entra il genere, la continuità
stilistica, ma la coerenza interna. L'idea che ti porta a rinnegare la tua idea
precedente potrebbe benissimo non valere una cicca. Almeno la
musica non ne risentisse...e invece...
...ecco che ci ritroviamo con degli W.A.S.P. in versione
Bon Jovi (il quale almeno cianciava d'amore con il fine ultimo di trombare e non di
glorificare se stesso nascondendosi sotto lo straccio di un penitente
presuntuoso). Non possiamo essere d'accordo con Blackie quando dice di
vergognarsi di ciò che gli W.A.S.P. sono stati, ed anzi ricordiamo la gloriosa
battaglia dei gruppi ottantiani contro il movimento religioso del PMRC (Parental Music Resource Center) che
oscurava copertine o appiccicava insulsi bollini di avviso alle famiglie sul
contenuto “esplicito” dei testi. Esplicito, sì, perché nel bigottismo religioso
si può pensare sporco, ma non parlare sporco, e questo è il massimo che
qualunque predicatore, o messaggero che dir si voglia, abbia mai offerto
all'umanità. Con buona pace degli acquirenti soddisfatti e dei recensori
entusiasti, io mi fermo al piano precedente.
A cura del Dottore