30 mar 2016

XENTRIX: "IL SEGRETO DEL NOSTRO INSUCCESSO"



Possono esserci tanti motivi per non avere successo. Uno di questi potrebbe essere non saper suonare, cosa che però nel metal non ha mai costituto un fattore discriminante, dato che negli anni si sono imposte tantissime band che, pur non sapendo suonare una mazza, sono riuscite a ritagliarsi il proprio posto nella storia del genere. Ed altre ipertecniche che invece hanno visto ben magri raccolti.

La mancanza di tecnica non era certo il problema degli inglesi Xentrix, thrash metal band fuori tempo massimo: meteora piccola ed oscura (perché nessuno si è accorto del suo passaggio) che solcò il cielo stellato del metal fra la fine degli anni ottanta e l’inizio dei novanta. Abbiamo una rubrica dedicata agli album dimenticati, ma “Kin” va oltre ogni criterio di dimenticanza, tanto che ci domandiamo se, pur nell'era dell'iper-informazione, sia lecito parlarne ancora. Non siamo infatti di fronte ad una band di culto che ha avuto sfortuna e che poi ha riscosso un successo postumo o è stata oggetto di una tardiva rivalutazione. Né di artisti ingiustamente snobbati dal grande pubblico, ma apprezzati da nicchie intelligenti di mercato. No, gli Xentrix valevano ben poco e dunque il riconoscimento, di critica e pubblico, non se lo sono giustamente meritato. Vediamo le ragioni di questo insuccesso.

Partiamo da una domanda fondamentale: cosa cazzo ci faccio io con un cd degli Xentrix? Errori di gioventù: solo in questa maniera si può giustificare l’acquisto di un prodotto di tal fattispecie. Eppure ogni rara volta che lo sguardo mi cade su quel cd polveroso riposto nelle zone finali della mia collezione, non mi sono ritrovato a roteare il pugno in aria dall'indignazione. Semmai è con indifferenza che guardo a “Kin”, acquistato nel 1992, in un'epoca della mia vita in cui mi potevo permettere di comprare non più di un cd al mese. Strana la vita, no? Più le scelte sono oculate e più i risultati possono essere disastrosi.

E vi dirò: riguardando oggi la mia collezione, quasi con rammarico noto la scarsità di album come “Kin”, album dimenticati dal tempo stesso, chiamati a rappresentare un sottobosco di band ed artisti snobbati dalla storia ufficiale. Un po' perché (modestia a parte) il più delle volte ci ho visto giusto, nel senso che molte band su cui ho puntato in tempi non sospetti, sono poi divenute popolari. Un po' perché (siano benedette le fiere del disco usato!) nel tempo ho avuto modo di ripulire la mia collezione dai prodotti non proprio graditi. Peccato, dico oggi, perché su certi cd venduti per mezzo euro avrei oggi buttato volentieri un orecchio, almeno per curiosità.

Ma vediamo cosa c'è che non va negli Xentrix. Non giriamoci attorno, gli Xentrix pagano lo scotto della scarsa originalità, essendosi messi a copiare di punto in bianco i Metallica del Black Album, dopo dei trascorsi onestamente settati su un thrash metal diretto e violento. Una svolta stilistica che può ricordare i Testament di “The Ritual”, peraltro uscito nel medesimo anno. Ecco dunque “Kin”: nove brani di thrash moscettone con tanto di power-ballatona posta in quarta posizione. Dei Four Horsemen i nostri ricalcavano anche la formazione a quattro con cantante/chitarrista (Chris Astley), chitarrista solista (Kristian Havard), bassista (Paul MacKenzie) e batterista (Dennis Gasser).  

Differenze rispetto ai Metallica: un tocco ancora più melodico, soprattutto a livello di chitarra solista, che a tratti ammicca alle scale neoclassiche, senza comunque ambire a particolari virtuosismi. Sarà perché gli Xentrix sono inglesi ed hanno un’accezione romantica del thrash (si è mai vista una thrash metal band inglese?), ma io a tratti ci sento quel tocco sdolcinato che avranno molti anni dopo gli Anathema passati alla causa del rock progressivo. Un effetto reso anche dall’uso (misurato) delle tastiere (cosa insolita, in effetti, nel mondo del thrash metal). Sprazzi qua e là, per l’amordiddio, e non so dire se alla fine sia un pregio o un difetto. Forse un pregio, anche se i suoni in stile album degli anni ottanta di Luca Carboni non giovano alla causa complessiva.

Già, i suoni. Problema numero uno: la produzione. Come si diceva i Nostri saprebbero anche suonare e la produzione nitida, forse eccessivamente morbida, valorizza i diversi strumenti, ma toglie quella potenza, quello spessore, quell’impatto che deve necessariamente avere un album thrash metal. Batteria e basso secchi, chitarre spente, una voce anonima.

Già la voce. Problema numero due: Chris Astley. Ugola roca ma non troppo, egli vorrebbe emulare senza troppi sotterfugi Hetfield (yeh yeah!), ma non riesce a coinvolgere nemmeno per un istante. Il suo è un rantolo che (complice la produzione piatta) non costituisce un valore aggiunto al prodotto: poca grinta, poca personalità, poco versatilità considerate le velleità melodiche. Strano, perché le tonalità da Umberto Tozzi espresse nella melensa ballata “No More Time” palesano comunque delle capacità vocali da vero cantante e non da semplice urlatore.

Il songwriting piatto è un altro problema, ma non me la sento di dire che è quello fondamentale, perché se la produzione fosse stata migliore, più corposa ed energica, e la voce più carismatica, forse non avremmo più di tanto badato, per esempio, ai ritornelli banali e poco incisivi: quanti album nel thrash, del resto, non vantano ritornelli memorabili? E quanti, infine, vivono di sole attitudine e produzione?

Giungo dunque alle conclusioni, visto che mi sto annoiando da solo. No, non c’era bisogno di rispolverare gli Xentrix, i quali, giusto per stare ancora meno simpatici, qualche anno più tardi passeranno alla causa del thrash panteriano! Nel successivo “Scourge”, infatti, essi si dimenticheranno di quanto fatto in “Kin” per esprimere un sound più massiccio e grondante groove, ma, ahimè per loro, sarà ancora un buco nell’acqua, visto che il loro album del riscatto uscirà nel 1996, anch’esso in ritardo con i tempi, visto che i Pantera la loro rivoluzione la fecero fra il 1990 e il 1994! Da lì a poco la band si scioglierà nel più assoluto anonimato.

Chiudo con una nota autobiografica: ascolti di questo tipo, se hanno un valore, ce l’hanno solo per motivi soggettivi. Per questo riascoltare per voi gli Xentrix mi ha più che altro riportato alla gola ricordi rimossi risalenti a circa venticinque anni fa. Estate 1992, casa di mia nonna, nella quale eravamo soliti trascorrere la stagione estiva. Mi rivedo annoiato, supino sul letto in una stanza settecentesca nemmeno mi trovassi nella sequenza finale di “2001: Odissea nello Spazio”, ad ascoltare gli Xentrix, peraltro non convinto neppure all’epoca della loro bontà. Il canto ritmico delle cicale ad animare il caldissimo primo pomeriggio, le persiane chiuse da cui filtravano gli spessi raggi di sole. Ma più che altro, che cazzo ci facevo in piena estate, nel fior fiore della mia gioventù, chiuso in casa ad ascoltare gli Xentrix? Invece di essere al mare?

Ripenso dunque alle fissazioni, alle abitudini incrollabili, dogmatiche che spesso i genitori riversano inconsapevolmente sui figli. Per i miei genitori, per esempio, è sempre stata inconcepibile la giornata intera al mare (cosa che invece sperimenterò più avanti con gli amici): si partiva saggiamente la mattina presto per godere delle ore più fresche ed altrettanto saggiamente si tornava a pranzo a casa per mangiare senza affanno (risparmiando) comodamente seduti a tavola. Si riposava dunque nelle ore più afose, per poi eventualmente ritornare in spiaggia nel pomeriggio oramai inoltrato, quando però l’estate sembrava aver perso le sue attrattive, le sue lusinghe (ovviamente all’epoca ero troppo piccolo per uscire la sera da solo). Mi rende irrequieto quest’idea di gestione perfetta ed equilibrata della vita da parte della mia famiglia (“quando fa troppo caldo si sta male al mare”, “si mangia comodamente a casa, al fresco”, non si può fare il bagno prima di almeno quattro ore da quando si è mangiato per evitare la congestione” ecc.): tutto ordinato, calcolato, ma soprattutto precostituito ed immodificabile perché basato su incrollabili certezze.

L’unica consolazione è associare queste sensazioni ad un album come “Kin” e non a titoli leggendari come “Fear of the Dark” degli Iron Maiden e “Vulgar Display of Power” dei Pantera che acquistai qualche mese prima, ai quali invece si legano ricordi ben migliori: quei momenti ruggenti che coincidono generalmente con l’esplosione della primavera e con lo scorcio finale dell’anno scolastico che giunge finalmente a termine…