Possono
esserci tanti motivi per non avere successo. Uno di questi potrebbe essere
non saper suonare, cosa che però nel metal non ha mai costituto un fattore
discriminante, dato che negli anni si sono imposte tantissime band che, pur non
sapendo suonare una mazza, sono riuscite a ritagliarsi il proprio posto nella
storia del genere. Ed altre ipertecniche che invece hanno visto ben magri
raccolti.
La
mancanza di tecnica non era certo il problema degli inglesi Xentrix, thrash
metal band fuori tempo massimo: meteora piccola ed oscura (perché nessuno
si è accorto del suo passaggio) che solcò il cielo stellato del metal fra la
fine degli anni ottanta e l’inizio dei novanta. Abbiamo una rubrica dedicata
agli album dimenticati, ma “Kin” va oltre ogni criterio di dimenticanza,
tanto che ci domandiamo se, pur nell'era dell'iper-informazione, sia lecito
parlarne ancora. Non siamo infatti di fronte ad una band di culto che ha avuto
sfortuna e che poi ha riscosso un successo postumo o è stata oggetto di una
tardiva rivalutazione. Né di artisti ingiustamente snobbati dal grande pubblico,
ma apprezzati da nicchie intelligenti di mercato. No, gli Xentrix valevano ben
poco e dunque il riconoscimento, di critica e pubblico, non se lo sono giustamente
meritato. Vediamo le ragioni di questo insuccesso.
Partiamo
da una domanda fondamentale: cosa cazzo ci faccio io con un cd degli Xentrix?
Errori di gioventù: solo in questa maniera si può giustificare l’acquisto
di un prodotto di tal fattispecie. Eppure ogni rara volta che lo sguardo mi cade
su quel cd polveroso riposto nelle zone finali della mia collezione, non mi sono
ritrovato a roteare il pugno in aria dall'indignazione. Semmai è con indifferenza
che guardo a “Kin”, acquistato nel 1992,
in un'epoca della mia vita in cui mi potevo permettere
di comprare non più di un cd al mese. Strana la vita, no? Più le scelte sono
oculate e più i risultati possono essere disastrosi.
E vi
dirò: riguardando oggi la mia collezione, quasi con rammarico noto la scarsità
di album come “Kin”, album dimenticati dal tempo stesso, chiamati a rappresentare
un sottobosco di band ed artisti snobbati dalla storia ufficiale. Un po' perché
(modestia a parte) il più delle volte ci ho visto giusto, nel senso che molte
band su cui ho puntato in tempi non sospetti, sono poi divenute popolari. Un
po' perché (siano benedette le fiere del disco usato!) nel tempo ho avuto modo
di ripulire la mia collezione dai prodotti non proprio graditi. Peccato, dico
oggi, perché su certi cd venduti per mezzo euro avrei oggi buttato volentieri
un orecchio, almeno per curiosità.
Ma
vediamo cosa c'è che non va negli Xentrix. Non giriamoci attorno, gli Xentrix
pagano lo scotto della scarsa originalità, essendosi messi a copiare di punto
in bianco i Metallica del Black Album, dopo dei trascorsi
onestamente settati su un thrash metal diretto e violento. Una svolta
stilistica che può ricordare i Testament di “The Ritual”,
peraltro uscito nel medesimo anno. Ecco dunque “Kin”: nove brani di
thrash moscettone con tanto di power-ballatona posta in quarta
posizione. Dei Four Horsemen i nostri ricalcavano anche la formazione a
quattro con cantante/chitarrista (Chris Astley), chitarrista solista (Kristian
Havard), bassista (Paul MacKenzie) e batterista (Dennis Gasser).
Differenze
rispetto ai Metallica: un tocco ancora più melodico, soprattutto a livello
di chitarra solista, che a tratti ammicca alle scale neoclassiche, senza
comunque ambire a particolari virtuosismi. Sarà perché gli Xentrix sono inglesi
ed hanno un’accezione romantica del thrash (si è mai vista una thrash
metal band inglese?), ma io a tratti ci sento quel tocco sdolcinato che
avranno molti anni dopo gli Anathema passati alla causa del rock
progressivo. Un effetto reso anche dall’uso (misurato) delle tastiere (cosa
insolita, in effetti, nel mondo del thrash metal). Sprazzi qua e là, per l’amordiddio,
e non so dire se alla fine sia un pregio o un difetto. Forse un pregio, anche
se i suoni in stile album degli anni ottanta di Luca Carboni non giovano
alla causa complessiva.
Già,
i suoni. Problema numero uno: la produzione. Come si diceva i Nostri
saprebbero anche suonare e la produzione nitida, forse eccessivamente morbida,
valorizza i diversi strumenti, ma toglie quella potenza, quello spessore,
quell’impatto che deve necessariamente avere un album thrash metal. Batteria e
basso secchi, chitarre spente, una voce anonima.
Già
la voce. Problema numero due: Chris Astley. Ugola roca ma non troppo, egli
vorrebbe emulare senza troppi sotterfugi Hetfield (yeh yeah!), ma
non riesce a coinvolgere nemmeno per un istante. Il suo è un rantolo che
(complice la produzione piatta) non costituisce un valore aggiunto al prodotto:
poca grinta, poca personalità, poco versatilità considerate le velleità
melodiche. Strano, perché le tonalità da Umberto Tozzi espresse nella melensa
ballata “No More Time” palesano comunque delle capacità vocali da vero cantante
e non da semplice urlatore.
Il songwriting
piatto è un altro problema, ma non me la sento di dire che è quello
fondamentale, perché se la produzione fosse stata migliore, più corposa ed
energica, e la voce più carismatica, forse non avremmo più di tanto badato, per
esempio, ai ritornelli banali e poco incisivi: quanti album nel thrash, del
resto, non vantano ritornelli memorabili? E quanti, infine, vivono di sole
attitudine e produzione?
Giungo
dunque alle conclusioni, visto che mi sto annoiando da solo. No, non c’era
bisogno di rispolverare gli Xentrix, i quali, giusto per stare ancora meno
simpatici, qualche anno più tardi passeranno alla causa del thrash
panteriano! Nel successivo “Scourge”, infatti, essi si
dimenticheranno di quanto fatto in “Kin” per esprimere un sound più
massiccio e grondante groove, ma, ahimè per loro, sarà ancora un buco
nell’acqua, visto che il loro album del riscatto uscirà nel 1996, anch’esso
in ritardo con i tempi, visto che i Pantera la loro rivoluzione la
fecero fra il 1990 e il 1994! Da lì a poco la band si scioglierà nel più
assoluto anonimato.
Chiudo
con una nota autobiografica: ascolti di questo tipo, se hanno un valore,
ce l’hanno solo per motivi soggettivi. Per questo riascoltare per voi gli
Xentrix mi ha più che altro riportato alla gola ricordi rimossi risalenti a
circa venticinque anni fa. Estate 1992, casa di mia nonna, nella quale
eravamo soliti trascorrere la stagione estiva. Mi rivedo annoiato, supino sul
letto in una stanza settecentesca nemmeno mi trovassi nella sequenza finale di
“2001: Odissea nello Spazio”, ad ascoltare gli Xentrix, peraltro non
convinto neppure all’epoca della loro bontà. Il canto ritmico delle cicale ad
animare il caldissimo primo pomeriggio, le persiane chiuse da cui filtravano gli
spessi raggi di sole. Ma più che altro, che cazzo ci facevo in piena estate,
nel fior fiore della mia gioventù, chiuso in casa ad ascoltare gli Xentrix?
Invece di essere al mare?
Ripenso
dunque alle fissazioni, alle abitudini incrollabili, dogmatiche che spesso i
genitori riversano inconsapevolmente sui figli. Per i miei genitori, per
esempio, è sempre stata inconcepibile la giornata intera al mare (cosa che
invece sperimenterò più avanti con gli amici): si partiva saggiamente la
mattina presto per godere delle ore più fresche ed altrettanto saggiamente si
tornava a pranzo a casa per mangiare senza affanno (risparmiando) comodamente seduti a tavola. Si riposava dunque nelle ore più afose, per poi eventualmente ritornare
in spiaggia nel pomeriggio oramai inoltrato, quando però l’estate sembrava aver
perso le sue attrattive, le sue lusinghe (ovviamente all’epoca ero troppo
piccolo per uscire la sera da solo). Mi rende irrequieto quest’idea di gestione
perfetta ed equilibrata della vita da parte della mia famiglia (“quando fa
troppo caldo si sta male al mare”, “si mangia comodamente a casa, al fresco”,
non si può fare il bagno prima di almeno quattro ore da quando si è mangiato
per evitare la congestione” ecc.): tutto ordinato, calcolato, ma soprattutto
precostituito ed immodificabile perché basato su incrollabili certezze.
L’unica
consolazione è associare queste sensazioni ad un album come “Kin” e non a titoli
leggendari come “Fear of the Dark” degli Iron Maiden e “Vulgar
Display of Power” dei Pantera che acquistai qualche mese prima, ai
quali invece si legano ricordi ben migliori: quei momenti ruggenti che
coincidono generalmente con l’esplosione della primavera e con lo scorcio
finale dell’anno scolastico che giunge finalmente a termine…