CLASSIFICA DEI 10 MIGLIORI ALBUM DEATH METAL USCITI NEL 1991
3° CLASSIFICATO: "NECROTICISM - Descanting the Insalubrious" (CARCASS)
42; 38; 46; 39; 36; 43; 37; 32;
39.
E 48.
No, non sto dando i numeri. Le
cifre elencate nella prima riga si riferiscono ai minuti di durata di tutti gli
album che, fino ad ora, hanno fatto parte della nostra Rassegna sul
venticinquennale del Death.
Mentre 48 sono i minuti
dell’album dei Carcass in oggetto.
A cura di Morningrise
Come possiamo notare, “Necroticism” (e, vi posso anticipare, anche
rispetto ai dischi che occuperanno le prime due posizioni della nostra
classifica), si presenta con questa caratteristica: avere circa il 25% in più di total running time rispetto ai coevi platter esaminati.
Quasi 50 minuti quindi rispetto a
una media di 39 (e meno male che c’è stato di mezzo "War Master" dei Bolt
Thrower coi suoi 46 primi sennò la media sarebbe stata ancora più bassa!)
Mi si potrebbe giustamente
chiedere: e con ciò??? Cosa si vuole dire/dimostrare con questo dato?
Beh, a parere del sottoscritto
parlare di circa un quarto della durata
in più (il 23%, per la precisione!) di un album di death metal rispetto ai
più importanti full lenght dello stesso genere e periodo, non è banale. E questo
per una delle caratteristiche intrinseche del Death stesso, cioè quella che il
nostro Memento Mori, nella sua splendida Anteprima, ha descritto con queste
illuminanti parole: “un genere serio, rigoroso, proprio perché non ha molte
possibilità di espressione […] con margini di movimento veramente angusti”.
E vediamo allora come
Walker&co. si mossero in questi margini angusti e come “utilizzarono”
questo spazio “in più”.
Innanzitutto, va sottolineato
come l’opera fu la prima per la band inglese a presentare una line-up con 4 elementi, invece dei tre delle prime due release.
Abbandonati gli eccessi propriamente grind di “Reek of Putrefaction” (1988), i
Carcass andarono a completare in modo mirabile l’evoluzione che già si era vista
con “Symphonies of Sickness” (1989) dove le brutalità grind avevano già
lasciato spazio agli stilemi più propriamente death. E il risultato fu
sorprendente: cioè questo disco abnorme, cui contribuì, sia da un punto di
vista compositivo che tecnico, il funambolico Michael Amott, new entry "aggiuntiva" appunto per la band di Liverpool.
Fatte queste dovute premesse,
partirei con questa traduzione/citazione:
Un cadavere è trasportato in una
camera mortuaria. Ogni vittima di una morte improvvisa o inaspettata viene
portata qui per l’autopsia, svolta da un patologo; il suo lavoro è di stabilire la
causa del decesso.
Ma a volte il corpo è irriconoscibile. E’ fondamentale perciò, specialmente se c’è il sospetto di un omicidio, stabilirne l’identità…
Ma a volte il corpo è irriconoscibile. E’ fondamentale perciò, specialmente se c’è il sospetto di un omicidio, stabilirne l’identità…
Ora ditemi voi quale altro
gruppo, se non i Carcass, potevano usare questo incipit parlato per un album
musicale! Da come si può evincere già da questa bizzarra trovata, nonchè dal
geniale titolo del platter, i Nostri vogliono intrattenerci disquisendo sul
malsano/l’insalubre (cosa buffa: il termine inglese per “necrosi” è
“necrosis”. Mentre qui abbiamo il suffisso –ism, quasi a indicarci una vera e
propria “filosofia di vita”). E quindi sono l’anatomia e la patologia medica i
temi che rimangono al centro dell’ironico mondo carcassiano. Rispetto al
passato però vengono messe leggermente da parte gli aspetti più propriamente
gore di questo universo per metterne invece in evidenza quelli più grotteschi,
gli elementi ridicolmente macabri della morte, dei cadaveri e dei processi di
decomposizione. Un approccio già evidenziato dai titoli (e dai testi malati,
tutti opera di Jeff Walker) delle otto tracks, alcuni dei quali davvero
esilaranti. Su tutti si erge “Lavaging Expectorate of Lysergide Composition”
che non oso neppure tradurre…
Metal Mirror aveva già approfonditamente
trattato il c.d. “metal autoptico”, parlando ad esempio dei Vulvectomy, e non
sarei in grado di dire di più e di meglio del nostro grande Dottore che, già
prima della Classifica sui gruppi più repellenti del Metal, seppe trattare
splendidamente l’argomento della necromania
in relazione al Death Metal.
Per questo preferisco spostarmi
sul versante musicale, dove però risulta assolutamente impossibile far emergere
un brano rispetto a un altro: ognuno è una sorta di lovecraftiana architettura metallica, in cui i pilastri e i muri
portanti che le sorreggono sono gli abnormi riff spaccaossa generati da Amott e Bill Steer, taglienti e precisi
come un bisturi (termine che uso non a caso…), mentre la struttura “interna” e
i dettagli di contorno sono dati dagli incroci
di chitarra vorticosi e dagli incredibili
arrangiamenti sfoggiati da tutti e quattro i membri della band, autori di
una prova tecnica mostruosa; arrangiamenti solcati dalla voce abrasiva ma molto espressiva
di Walker (l’opener “Inpropagation”, con i suoi oltre 7 minuti, può essere
presa ad esempio di quanto detto).
Ma è in ogni traccia che si
miscelano sapientemente furia cieca,
sprazzi di melodia negli assoli e ritmi complessi, molto vari e comunque
sempre ricercati. La potenza espressa è
devastante, ma al contempo calibrata, dosata in ogni passaggio, strutturata
in modo scientificamente maniacale. Si riesce con scioltezza a passare da mid-tempos dal sapore classico a
sfuriate death/grind da stendere al tappeto un dinosauro (vedasi ad esempio
“Carneous Cacoffiny”).
A tratti i Carcass riescono
persino a rendere molto fruibile un sottogenere che è
probabilmente il meno accessibile di tutto il mondo Metal. Esemplificativa la
meravigliosa “Corporal Jigsore Quandary”, il cui riff iniziale è quasi
“ballabile” (almeno per me che non posso fare a meno di dimenare le chiappe ogni qualvolta la ascolti!), così come quello d’apertura
della già citata “Lavaging…”; mentre massicce
dosi di melodia le ritroveremo sparse costantemente qua e là (basti pensare
all’inizio strumentale di “Pedigree Butchery”, dove è presente addirittura un
accenno di chitarra non distorta; o ancora ai solos e alle partiture di
raccordo usate in “Incarnated Solvent Abuse”).
Sono risultati, evidentemente, non
da tutti. Inventiva e capacità tecniche stavano alla base della riuscita di
un’operazione del genere. E l'originalità dei
Carcass consiste, a mio modo di vedere, nel risultare “classici”, aderenti ai canoni del genere,
ma al contempo riuscire ad ampliare quei canoni, a dargli nuove soluzioni, in questo caso
in chiave technical.
Dimostrando che allargare quei confini (ed ecco spiegati il minutaggio più esteso rispetto alla media!), dargli un respiro
più ampio, era possibile.
Quelle nuove forme di espressione
di cui il Death aveva bisogno come il pane già in quel fatidico 1991, trovarono
quindi la loro estrinsecazione con questa band straordinaria, in questo album, imprescindibile per la ricostruzione della Storia del Metallo tutto.
Un podio in definitiva ampiamente meritato!