16 lug 2016

CONFRONTI IMPOSSIBILI: MARADONA E AXL ROSE





Non essendo un esperto di calcio, di Maradona posso dare un giudizio più che altro psicologico. Non so dire neanche se giocasse particolarmente bene, ma quello che invece mi ha sempre colpito è l’atteggiamento. Funzionava solo in attacco, non solo in ambito calcistico. Faceva di tutto per non essere fermato, e quando è accaduto è andato in tilt. 

Retrocedere, calmarsi, ridimensionarsi non è possibile per alcune persone. Non è tanto che non lo concepiscono, non riescono a farlo. O sono spente, o su di giri, oppure – Dio ce ne scampi – si tengono su di giri con risultati sconclusionati.


Soprattutto però, ci sono persone che al di là della loro euforia suscitano intorno a sé un’isteria euforica che è una specie di dannazione, raccontata molto bene nel concept “The idol” degli Wasp. Il personaggio esuberante, quando esplode, non è soltanto bombardato dal successo oggettivo, ma anche dall’immagine che gli altri costruiscono, e di quell’immagine resta vittima, perché si abitua a concepirsi a livelli di popolarità massimi, inarrivabili, per cui ogni passo successivo rischia di essere una “diminutio”.
Così fu per Maradona, ed anche per Axl Rose. Quando ero liceale detestavo due cose: l’entusiasmo nazionalpopolare per il calcio, che mi pareva una falla spirituale, e per il glam metal, che ritenevo un fraintendimento doloso del vero spirito del metal. Fatto sta che invece a quell’epoca Axl impazzava, era l’idolo delle mie coetanee metallare, uno dei primi veri idoli, perché metallari fighi e contemporaneamente popolari non ce n’erano praticamente stati. Ed era anche bravo, per cui era sostanzialmente inattaccabile. Oltretutto i Guns 'n' Roses non erano un gruppo che pretendeva di crescere col pubblico metal, per cui erano anche onesti nella loro proposta artistica: un gruppo hard rock.
Anche Maradona iniziò così. Bravo, eccezionale, e spontaneo. Non umile forse, ma l’umiltà è nei fatti: chi ti offre emozioni, preoccupandosi di fare, in realtà ha la giusta dose di umiltà di fondo.
Peccato che il successo abbia investito entrambi al di là delle loro intenzioni. A 300 all’ora non resiste nessuno, e i guai iniziano molto prima di quando trovi l’auto sfracellata contro un muro: cominciano quando uno ha iniziato ad accelerare in prossimità di una curva anziché rallentare, con tutti che però lo applaudivano, accecati dal proprio stesso idolo (cioè l’immagine che si erano creati di una persona).
Maradona ad un certo punto perse la bussola. Va bene la festa nella piscina coi capoclan, ma rischiare la carriera per l’antidoping si spiega in due modi: o non calcoli proprio i rischi, perché conti sulle tue forze di sfondamento per proseguire sempre e comunque; oppure non ne puoi fare a meno, e allora hai un problema diverso. Come reagì il nostro eroe del pallone dopo la squalifica? Sproloqui vari (peraltro arguti) sui massimi sistemi e i mille problemi del mondo, ma francamente le urine positive alle droghe restano quelle. Sarà una legge stupida, e probabilmente vale la battuta di Luttazzi sul doping: “alle prossime olimpiadi doping obbligatorio: così sapremo veramente in quanti secondi un essere umano può fare i 100 metri”. Perché proprio lui, come agnello sacrificale del doping? Secondo me per un motivo preciso, lo stesso che potrei applicare a Pantani. Perché ormai aveva preso una china, e il miglior guadagno che si poteva ottenere era gestire la sua squalifica. 

Lo stesso vale per Axl. Gli amanti dei Guns per un attimo facciano mente locale su "Use your Illusion": disco maturo, forse sì, ma neanche l’ombra di quell’approccio diretto e vincente di "Appetite for Destruction". Avevano appetito nel 1988; qualche anno dopo non più, e si sente. I brani hanno qualcosa di artefatto, anche belli ma non mordono.
In Appetite i Guns erano come Maradona, in fondo l’unico calcio che mi dà soddisfazione. Prendevano palla da un qualsiasi punto, e di lì fino in rete, altrimenti non ha senso. I pezzi di Appetite sono così, iniziano di punto in bianco e fanno gol, come se non si preoccupassero d’altro e vedessero già da prima la meta da toccare. Insomma, Axl raggiunge l’ebbrezza della popolarità, e anche lui si perde. All’inizio non si nota forse, ma invece di interpretare nuovi pezzi passa anni a gorgheggiare alla cazzo di cane cover dei Beatles. Lì veramente lo odiai, non l’odio geloso degli anni prima, stavolta un fastidio fisico ogni volta che sentivo il ritornello di "Live and let die" o "Knockin' on Heaven's door", un gracidio che spingeva sempre più sul parossismo per mascherare un vuoto di idee.
Poi, per tutti e due, il silenzio creativo. Apparizioni sporadiche, abbastanza pietose. Litigano tutti e due coi giornalisti, si vocifera di problemi mentali, con le droghe. Non si sa capisce mai quando siano disintossicati e quando gonfi, ma la china è discendente. Ti rivedo un giorno Maradona in un campionato di calcio nel gabbiotto, cioè praticamente un calcetto da spiaggia. Agghiacciante. 
In quegli anni invece Axl sta incidendo, probabilmente sull’isola di Chthulhu che è momentaneamente sommersa, il successore di "Use Your Illusion".
Come tutti i campioni che strafanno e poi si ingolfano, invece di darci anticipazioni succose, ci dice già il titolo del disco, con quindici anni di anticipo, “Chinese Democracy”. Nel frattempo i Guns provano a temporeggiare con un album di cover, poi perdono pezzi. "Chinese democracy" esce, ma i vecchi fans si convincono di averlo già comprato e che sia un capolavoro.
Dalle grandi arene i Guns probabilmente ricominciano a suonare in piccoli posti, tipo la pista di liscio di un bagno “miramare” qualsiasi, nel cui campetto da calcio Maradona vince un torneo (primo premio fritto misto e vino della casa). Si ritrovano, parlano, si confrontano. Basta coca, basta alcol. Da dove si ricomincia ? Dal Napoli e dai Guns non ha più senso. Partiamo dalle cose essenziali: dov’è che sappiamo stare? Inizia tu, Diego. “Beh, io stavo su un campo di calcio”. “Ok, io stavo su un palco”. Dobbiamo semplicemente esserci, ma evitare accuratamente di fare quello che facevamo prima.
“L’allenatore!”  -  intuisce Maradona. E da qui, inizia una seconda vita. Giacca e cravatta, un pezzo di stomaco in meno, ma è sempre lui. E non ha ancora capito perché lo hanno squalificato quando giocava nel Napoli, è sempre convinto che lui poteva permetterselo. Vive in una dimensione – rispettabile – di coscienza collettiva: se lo adoravano, che cazzo c’entra fargli i controlli antidoping? Devo dire che è ragionevole, dopo tutto.
Axl invece ci pensa un po’ di più, nel frattempo lascia uscire invano "Chinese Democracy". Poi capisce, rivende i cd invenduti ad una ditta di fresbee, e si siede ad aspettare il momento propizio. Gli AC/DC hanno bisogno di uno che gracchi. Ce ne sono centomila in giro, ma qui viene il bello, uno che domini il palco, dopo di che deve anche gracchiare. Axl fa di necessità virtù, e calca il palco. In sedia a rotelle per giunta. Non importa, è il Maradona della situazione. Applausi, euforia: funziona.
A questi tipi non gli devi offrire una seconda chance, li devi mettere sul palco. Con quello che gli è rimasto. Il carisma forse, se qualcuno sa cosa sia. La faccia, forse. Perché non aver mai detto “forse ho sbagliato” ha la sua presa sul pubblico. E alla lunga, se la sorte ti concede l’occasione, ti togli la soddisfazione di riprenderti la popolarità lì dove l’avevi lasciata.

A cura del Dottore