1 lug 2016

QUALE FUTURO PER IL METAL? LA "VIA" DEI BETWEEN THE BURIED AND ME


Non pensiate, cari lettori, che ai componenti della redazione di Metal Mirror interessi soprattutto fare retrospettive; analizzare, classificandolo, il trascorso del Genere; rievocare, con sguardo nostalgico e a volte malinconico, i begli anni andati (soprattutto le care e vecchie decadi ’80-’90 su cui tanto ci siamo soffermati e ancora ci soffermeremo).

No, a noi di MM interessa molto anche il Futuro del Metallo; capire dove va, o dove potrebbe andare, il nostro genere musicale preferito. E soprattutto quali potrebbero essere le strade evolutive da percorrere. E, infine, il “come” percorrerle.

A cura di Morningrise

A tal proposito, prendendo spunto dal bellissimo post del nostro Mementomori sugli Haken, c’è un gruppo, attivo ormai da 15 anni, che, passo dopo passo, può davvero rappresentare un punto di riferimento per il metallo di questa seconda decade del Terzo Millennio: i Between The Buried And Me.

Sono da parecchi anni convinto che la strada futura del metal debba passare, al di là degli stilemi personali che ogni gruppo legittimamente adotta, da un modus operandi progressivo, da uno “spirito” che deve animare i musicisti il più “aperto” possibile, privo di paraocchi e senza preclusioni verso sonorità magari anche molto diverse da quelle con cui si è cominciato a fare la propria musica.
Non è un caso che i parti più innovativi, e interessanti dell’ultimo decennio, siano venuti proprio da quegli artisti che hanno saputo incorporare nel proprio sound elementi diversissimi tra loro, sapendo muoversi a 360° non solo nel "recinto metallico" (un recinto di per sé molto ampio, in cui si può “pascolare” allegramente ingurgitando tanti “cibi” diversi) ma anche fuori di esso.

Se l’esempio che ritengo più avanguardistico, ma al contempo fruibile dai più, illuminato e riuscito è la carriera solista di Ihsahn (autore sul quale il nostro blog ha indugiato a più riprese), va detto che gli stessi Haken e BTBAM possono rappresentare, in relazione al quesito oggetto del nostro post, quel punto di riferimento di cui sopra (per citare il collega: "un bel terreno d'avanguardia da poter battere").

Non è ovviamente cosa per tutti: bisogna avere idee chiare, capacità tecniche e compositive non indifferenti e una personalità artistica che renda il tutto credibile. Questo perché il rischio di abbracciare tanti elementi, a tratti apparentemente inconciliabili tra loro, è quello di disorientare (e di “disorientarsi”!), di non riuscire a trovare un proprio “focus artistico”, disperdendo le energie in mille rivoli che non portano da nessuna parte.

L‘ultima fatica dei BTBAM, “Coma Ecliptic” del 2015, esemplifica in maniera plastica il rischio suddetto. La band della Carolina del Nord infatti, padrona ormai dei propri mezzi, tecnici e compositivi, si butta anima e corpo in quest’opera (secondo la più classica tradizione prog, un concept album con brani collegati, anche tematicamente, l'uno all'altro senza recisioni) che, agli orecchi di un ascoltatore distratto, o non troppo avvezzo ai prodotti progressive, può davvero assomigliare ad una sorta di marasma sonoro difficile da sbrogliare.

Arrivati già al settimo album in studio i BTBAM potenzialmente possono fare felici i fan dei sottogeneri più disparati perché in C.E. mettono assieme di tutto: Tommy G. Rogers & co. infatti decidono in fase di scrittura di passare di palo in frasca non solo da canzone a canzone ma anche più volte all’interno dello stesso brano, con l’effetto di sconvolgere in continuazione l’ascoltatore. Parti rilassate, distese, con accordi dilatati, si alternano senza soluzione di continuità a sfuriate prog-core ai limiti del death; così come la voce di Rogers, a tratti dolce e suadente, passa nel volgere di un batter di ciglia, senza che te lo aspetti, a un growl profondo e devastante, di grande espressività.
Come detto all’interno dei brani, tutti piuttosto lunghi (tra i 6 e i 9 minuti abbondanti), ad eccezione degli immancabili intro&outro (nel nostro caso “Node” & “Life in velvet” due brevi brani peraltro riuscitissimi), ci trovi dentro di tutto: parti di elettronica, qualche spruzzata di psichedelia, del metal-core, soluzioni jazzate, fraseggi di chitarra di heavy classico (a volte chiaramente “petrucciosi”, come in alcune parti di "Rapid calm" e "Memory palace"), rimandi al prog d’annata degli anni settanta (Rush su tutti), qualche spruzzatina di echi orientaleggianti…il tutto condito da una preparazione tecnica mostruosa e un’esecuzione impeccabile di tutta la band. 
Non nascondo che a tratti sia davvero seguire dove vogliano andare a parare i Nostri e il filo conduttore dell’opera, che c’è, tante volte lo perdi di vista, salvo poi riemergere facendotelo recuperare. E affascinandoti…

Si, perché, ascolta che ti riascolta, ti accorgi che il melting pot dei Nostri funziona, coinvolge, fa dimenare il culo in certe parti e commuovere in altre, ti fa esaltare e un attimo dopo, con decisi stacchi di umore, disorientare (sentite l'incipit di "The ectopic stroll" e ditemi se non vi sembra di essere finiti in un manicomio!), ma mai annoiare, visto che la tensione del tutto rimane sempre elevata (vedasi l’ottima “King redeem / Queen serene” per capire cosa intendo).

Un possibile difetto, in mezzo a tanti funambolismi prog, è che non sono moltissimi i momenti da brividi, quelli che ti fanno accapponare la pelle, pregni di quell’”epicità” commovente che un album di QUESTO tipo, a mio modo di vedere, dovrebbe avere. In questa sede, basterà citare come valido esempio la cavalcata finale di chitarra di “Famine wolf” (brano iper-camaleontico che dentro di sé ha praticamente non so quanti sottogeneri metal!), sessanta secondi circa che riascolterei in continuazione. 

Ma non mi interessa scrivere una recensione del disco, quanto riflettere se il contenuto dello stesso, per come è stato composto e proposto al pubblico, possa davvero rappresentare uno standard, o quantomeno, come accennato sopra, un modello, perfettibile e parziale, di strada di sviluppo e crescita per molte altre band alla ricerca di qualcosa di “nuovo” da dire (e ricordiamo che il Metallo è già alla sua quinta decade di vita…mica bruscolini!).

La risposta è, a parere di chi scrive, positiva, per quanto non ci troviamo davanti ad un capolavoro. Se i BTBAM sapranno in futuro mettere dentro la loro musica maggiore emotività, maggiore "anima" (comunque già adesso tutt'altro che assente) e focalizzare con più precisione la loro proposta, credo davvero che potranno diventare una delle band di punta del metallo futuro.

E allora provateci: buttate giù tutto intero, per 68 lunghi minuti, quest’album; “lunghi minuti” più che altro perché l’ascolto che richiedono i BTBAM è davvero di quelli “seri” e impegnati. C’è tanta di quella carne al fuoco da alzarsi da tavola, se si riesce ad arrivare alla fine del “pranzo", davvero ingolfati.

Ma, una volta preso il vostro tempo, e una buona dose di bicarbonato, la pietanza dei BTBAM vedrete che sarà digerita, e avrete voglia di riassaggiarla. Più e più volte.

Un altro piccolo, importante, passetto in avanti (e contemporaneamente di lato) del Metal...