Pop
e metal: due mondi inconciliabili, due concetti antitetici.
Vi
sono stati tuttavia dei punti di collisione. Un esempio su tutti, "Nothing
Else Matters": singolone di gran successo e video
ruffianissimo che hanno avvicinato ai Four Horsemen “figuri” che fino ad
un momento prima non sapevano nemmeno chi fossero i Metallica e pensavano che il metal fosse solo "rumore". Ma a parte questi casi sporadici, il metal non solo non ha a niente a
che fare con il pop, ma lo odia con tutto il cuore, tanto che in questa
contrapposizione il metal trova una ragion d'essere.
Sebbene
il metal, per certi aspetti ed in termini tecnici, sia commerciale (nel
senso di "commerciabile", visto che il metallaro ancora compra dischi
e cd, ancora va ai concerti, ancora indossa le magliette, facendo sì che il
metal rimanga per l’industria discografica una gallina dalle uova d'oro anche in
tempi di “crisi”), da un punto di vista delle sonorità rifugge le masse. E di
questo fatto di non-essere-orecchiabile, canticchiabile,
gradevole a tutti i palati, si compiace assai.
Nel
metal il giovane trova identità, comunione con i suoi simili, contrapponendosi
al "truzzo" che va in discoteca, al frescone che ascolta Gigi
D'Alessio, al cerebroleso che abbocca all'ultima esca lanciata da MTV,
la “sempre verde” vecchietta bigotta vicina di casa che batte la scopa contro
il soffitto quando il volume dello stereo si fa troppo alto. Questa
contrapposizione al mondo "fatato", ma anche ipocrita, della "bella
gente dai sorrisi a trentadue denti" è motivo per cui nel Reame del
Metallo trovino rifugio anche tanti disadattati ed emarginati sociali (un
po’ come avviene nelle tifoserie del calcio: fede, comunione con i “simili” e
contrapposizione ad un “altro” da "combattere" con abnegazione).
L'odio
nei confronti del pop (alla stregua, appunto, della ferocia degli ultrà
contro la tifoseria della squadra avversaria) è tale che esso viene esteso
persino a certe frange del metal stesso: a band ed artisti che vengono additati
come traditori perché ad un certo punto della loro carriera decidono di
ammorbidire il sound. Le accuse di essere "dei venduti" che
vengono rivolte ai Cradle of Filth, per esempio, le posso anche capire
(in effetti quel loro mix furbetto di atmosfere romantiche, sonorità soft
ed iconografia fetish ha saputo conquistare un pubblico vasto e nutrito pure
di quelle strane “cose” che sono le ragazze), però queste critiche io non le
condivido: i Cradle of Filth, piacciano o meno, non sono commerciali, essi
bensì sono dei professionisti seri, la loro proposta è complessa ed articolata,
e le loro sonorità rimangono comunque estreme (cazzo, suonano pur sempre black
metal!). Ma succede anche di peggio: si prenda l'attacco feroce che la Deathlike
Silence Productions (l'etichetta di Euronymous) mosse contro Scott
Burns (il produttore di Death, Obituary, Deicide, Cannibal
Corpse, Suffocation ecc.), tacciato di aver "corrotto" il
metal estremo (ma per piacere!), tanto che la DSP aveva come logo
il simbolo del divieto con dentro la foto del volto sorridente del produttore. Roba
da matti.
Eppure
il pop non è un genere da disdegnare per partito preso. Senza scomodare nobili
estrinsecazioni del pop d’antan come "Enjoy the Silence" dei Depeche
Mode o "Shout" dei Tears for Fears (brani ed
artisti che niente hanno da invidiare, per intelligenza, preparazione e
creatività, ai rinomati esponenti della "musica colta"), c'è da
riconoscere a questo genere una sua dignità, laddove le sonorità degne
dell'alta classifica si sposano con una ricerca autoriale. C'è infatti da
essere onesti intellettualmente e capire che non bisogna essere necessariamente
ostici per essere intelligenti: c'è chi per la melodia orecchiabile ha un
talento innato (altro esempio illustre: il guru Brian Eno, che aveva iniziato
la sua carriera con i Roxy Music all'insegna di sonorità easy listening
ed accattivanti).
È un
po' come dire, per partito preso, che tutte le commedie sono da buttare. Non
esattamente: sebbene la maggior parte di esse siano spazzatura in quanto
operazioni calibrate unicamente per sbancare i botteghini, ve ne sono alcune
che hanno letteralmente fatto la storia del cinema (si guardi a registi come Billy
Wilder o Frank Capra). Di contro, non è detto che ogni film
drammatico o impegnato sia un buon film (anzi...).
Abbiamo
fatto questa premessa solo per mettere in chiaro che ci muoveremo con
obiettività e senso della misura, e non solo con il cieco odio: procediamo dunque con la demolizione
del pop odierno.
L'idea
di affrontare questo argomento nasce dal fatto che al momento (non
mi chiedete il perché) mi ritrovo, quotidianamente e per diverse ore al giorno, a contatto
con la programmazione di una fetida emittente radiofonica che non dimostra di
avere particolari ambizioni nella selezione dei brani da trasmettere. Detto in
altre parole: io che da anni non possiedo neppure il televisore, e che quindi
nemmeno per sbaglio rischio di incorrere in musica molesta (manco negli spot
pubblicitari, tanto per intenderci), mi ritrovo di colpo e senza pietà
investito da una valanga di "merda-pop" fumante. Il mio orecchio ha
provato a ignorare certe nefandezze, ma con il trascorrere dei giorni la
reiterazione sistematica ed incessante dei medesimi brani ha fatto sì che certi
di essi siano riusciti ad aprirsi un varco nella mia sfera cosciente. E ho notato che,
salvo qualche inevitabile differenza (anche il pop, come tutto, ha i suoi
sotto-generi e le sue sfumature), gli ingredienti di cui si compone la ricetta della canzone
pop sono sempre gli stessi.
Prima
di procedere con l’analisi di questa “ricetta”, vorrei concludere l’anteprima
con un'osservazione di carattere generale: nella mia ingenuità ed ignoranza, pensavo che il "tormentone
estivo" non esistesse più, che con “Chihuahua” (Dj BoBo,
correva l’anno 2008) si fosse toccato il fondo e che tale "modalità
espressiva" dell'industria musicale fosse stata archiviata per sempre. Ed
invece mi rendo conto che l'idea di trasmettere in continuazione lo stesso
brano (per quanto abbia potuto osservare io, almeno tre volte nell'arco di
cinque/sei ore) continua a trovare una sistematica applicazione. E ne arrivo a
capire anche il senso: laddove vi è un brano inconsistente (insulso, insapore,
privo di mordente) la sua ripetizione porta inevitabilmente ad un effetto
lobotomizzante (non sto scherzando).
Immergiamoci
un attimo nella labile mente di un teenager, o di una persona di bassa
cultura, o che comunque non dà molto peso alla musica che ascolta. Già il fatto
di sentire trasmesso continuamente il brano dalle più popolari emittenti
radiofoniche è di per sé rassicurante, dà un senso di legittimità, dà una
ragione d'essere al brano: una ragion d'essere che non ha niente a che fare con
il valore intrinseco, con la sfera artistica. Finisce che dopo un tal lavaggio
del cervello quella canzone la sera la fischietti, ti si è incrostata nel
cervello e il giorno dopo quasi la riconosci con piacere quando viene
nuovamente trasmessa.
Il
fatto che questi brani siano innocui, scorrano bene, non impegnino la mente,
non disturbino e possano essere riproposti in continuazione fra l'indifferenza
generale, aiuta questa azione subdola che ha nel mirino le coscienze più
deboli ed indifese: quelle che, per ignoranza o disinteresse, non dispongono di
utili riferimenti per confrontare e capire il reale orrore di certe aberranti manifestazioni dell'umano essere (ahimè).