Ottava
puntata: Orplid
Parlando dei Fire & Ice abbiamo anticipato che
con il nuovo millennio, dopo tre lustri di strapotere inglese, le aree del
centro e del nord Europa sarebbero divenute terreno fertile per il folk apocalittico.
Il genere, infatti, da un lato stava perdendo la forza
propulsiva degli esponenti della Vecchia Scuola, dall'altro prometteva
di germogliare in nuove forme grazie ad un fisiologico ricambio generazionale.
Abbiamo già saggiato questo fenomeno con gli :Of The Wand & The Moon:,
dalla Danimarca, ma è indubbiamente la Germania l'area geografica che ha
rappresentato il laboratorio più fecondo per i "nuovi esperimenti
apocalittici".
Un folk, quello di matrice teutonica, che conserva sì gli
umori marziali e i proverbiali squarci di musica industriale che sono caratteristici
del genere, ma che guarda principalmente al folclore popolare, dove le chitarre
acustiche si intrecciano con flauti e violini, e grevi voci maschili, spesso scartavetrando
parole in lingua madre, duettano con quelle femminili, a metà strada fra il lied
schubertiano e il rito pagano.
Forseti, Sonne Hagal, Darkwood, Orplid
sono un poker di assi che ben rappresenta le potenzialità offerte dalle fredde
lande tedesche.
I Forseti si formavano a Jena nel 1997 per mano di Andreas
Ritter, che deve la propria fama al fatto di aver suonato la fisarmonica in
"All Pigs Must Die" dei Death in June. Douglas P.
ricambierà il favore comparendo in "Black Jena", brano conclusivo
dell'album di debutto dei Forseti "Windzeit", del 2001. Come
molte altre compagini tedesche, il suono dei Forseti è più vicino al folclore
che al folk apocalittico in senso stretto: l'idea è quella di una
ricongiunzione panica fra Uomo e Natura, fra Uomo e Tradizione.
Punto di riferimento per le ballate paganeggianti di Forseti è la musica dei
Fire + Ice, e non a caso nel successivo ed altrettanto bello "Erde"
(2004) l'ospite d'onore sarà niente meno che Ian Read. Purtroppo un
ictus fulminante interromperà tragicamente nel 2005 la promettente carriera di
Ritter.
I Sonne Hagal, che sono un gruppo vero e proprio,
possono essere definiti come i "cugini" dei Forseti, visto che le due
formazioni si assomigliano e hanno avuto occasione di collaborare spesso. Nella
loro discografia, fra Ep e lavori minori, vi si trovano anche lavori che
sperimentano in direzione industriale, ma è nel loro full-lenght di
debutto "Helfahrt" (2002) ed in misura ancora maggiore nel
successivo "Jordanfrost" (2008) che scoviamo la loro essenza
più intima e profonda: un folk bucolico tanto semplice nella forma quanto
dotato di spessore per quanto riguarda le capacità descrittive e di suscitare
intense emozioni in chi ascolta. Nel secondo album citato,
"Jordanfrost", la loro musica diviene corale, prevedendo l'album il
coinvolgimento di svariati artisti della scena tedesca, alla stregua di un
"Swastikas for Noddis" versione 2.0.
Colui che invece sta dietro ai Darkwood è un solo
individuo e risponde al nome di Henryk Vogel: uno che scriveva musica
per diletto personale e che solo in seguito ha deciso di diffonderla, fondando
persino una sua etichetta incaricata di promuovere i suoi album. La nostra
preferenza ricade indubbiamente su "Notwendfeuer" (del 2006),
la prima opera dei Darkwood costruita interamente con strumenti acustici, i
quali finalmente andavano a sostituire tastiere e sintetizzatori, restituendo
autenticità alle ballate austere di Vogel. La sua voce ferma e decisa, la sua
musica solida e fiera, pur in un contesto di mestizia assoluta, sono un'altra
importante sfumatura del variegato panorama dei progetti tedeschi avviati fra
la fine del novecento e l'inizio del nuovo millennio.
La lista dei nomi da fare è infatti lunga e il tema
meriterebbe una rassegna a parte: Werkraum con "Unsere Feuer
Brennen!" (2004) e Falkenstein con "Heiliger Wald"
(2008) offrono altri due begli esempi di "cantautorato nordico e
paganeggiante", venato di oscuri richiami marziali; Leger Des Heils
con "Memoria" (2008), invece, alla strumentazione acustica affianca
synth, drum machine ed imponenti orchestrazioni; infine gli Sturmpercht
(che tiriamo dentro, ma sono della vicina Austria) con "Shattenlieder"
(2009) si fanno promotori della riscoperta del folclore dell'area alpina.
Tutti questi sono ulteriori tasselli che vanno ad arricchire
un composito e variegato mosaico, un mosaico che noi decidiamo di rappresentare
(essendo la nostra, per ovvi motivi di spazio, una scelta obbligata) con una
sola opera: "Nachtliche Junger" degli Orplid, anno 2002.
Gli Orplid sono un duo composto da Uwe Nolte e Frank
Machau. Non sono proprio dei bei ragazzi, ma del neo-folk essi danno
un'interpretazione estremamente personale che si svincola da riferimenti palesi
ai maestri del genere: la voce baritonale e certi fraseggi di chitarra possono
ricordare i Death in June, mentre la potenza cristallina e l'eleganza con cui
sono rivestiti i brani evocano i Current 93 dell'era Cashmore, ma
si parla di analogie molto sui generis: l'Orplid-sound è qualcosa di
grandioso, monumentale ed annette al suo interno sia elementi folk che industrial.
In entrambi i casi, al cuore di queste forme plastiche e formalmente perfette,
si percepisce una forte tensione verso l'Assoluto, la volontà di
trascendere il Reale per lanciarsi verso la dimensione dell'Ideale.
Nella musica degli Orplid, più che altrove, risplende il più
autentico spirito tedesco, romantico e razionale, austero e passionale, ardente
e rigoroso al tempo stesso. Goethe, Hegel, Nietzsche, Schiller,
Wagner e tanti altri, il loro impeto totalizzante, universalizzante,
rivivono in queste note.
Per carpire di che pasta sono fatti gli Orplid, consigliamo
di dare un ascolto a "Erzengel Michael", brano di apertura che
irrompe dopo una breve introduzione. Parliamo di una poderosa ballata che parte
sorniona con una chitarra arpeggiata e il suono magico dello xilofono. L'oscura
voce tenorile ricorda quella di Pearce, ma il ritornello evocativo, venato di
un'asprezza tipicamente teutonica, è già una avvisaglia del fatto che non ci
troviamo di fronte ad una delle tante band-clone della Morte in Giugno.
A confermarci l'impressione arriverà un clamoroso cambio di passo a metà del
brano, dove archi e fiati esploderanno in una travolgente cavalcata che sembra
voler mimare, fra le nuvole e il vento, il volo spericolato delle Valchirie. Epocale,
universale, eterno: questi i termini atti a descrivere visioni di una
intensità davvero rara, dove le chitarre epiche, le orchestrazioni tragiche, il
fruscio dei piatti, il rimbombare delle percussioni scandiscono il trascorrere
di epoche intere, e dove la voce metallica e tonante ci sgrida dall'alto della
volta celeste. Le orchestre collassano, la voce si stempera in un grido
deformato che sembra precipitare dalle stelle, risuona nel vuoto il suono dello
xilofono. Silenzio.
Quanto appena descritto è quello che sono in grado di fare
Nolte e Machau, ma il segreto del loro "successo" sta nel
confezionare un lavoro equilibrato, ottimamente bilanciato nelle sue componenti
e con trovate e soluzioni ben collocate, al fine di rendere l'ascolto
coinvolgente e pieno di sorprese.
Citiamo altri episodi per tratteggiare ulteriori sfumature
del composito sound degli Orplid. "Spater Tag" si apre
con fraseggi elettrici che accompagnano l'imperante chitarra acustica ed
irrobustiscono il folk dei Nostri, alzandone di non poco il tasso di epicità: a
venirci in mente è un altro campione del Nord, l'indimenticato Quorton.
La title-track, invece, ci mostra il volto più oscuro degli
Orplid: un crescendo per percussioni ed organo, con tanto di soprano che emerge
imperioso ed un fosco ed appassionato recitato a fare da solenne didascalia. Il
canto è pregno di pathos e rischia continuamente di scivolare nel grottesco,
per questo risulteranno provvidenziali le incursioni "mitigatrici" di
una controparte femminile. Questo accade, per esempio, in "Das Madchen
aus der Fremde", che configura il versante più poetico dei Nostri:
l'angelica voce di Nadine Spindler, chiamata a recitare i versi
immortali di Friedrich Schiller ed accompagnata da un malinconico
pianoforte, apre uno squarcio di sogno fra le ballate severe degli Orplid.
Ballate che ora evocano un'arcadia persa nella notte dei
tempi, ora si ammantano di una pomposità che a tratti raggiunge un'intensità morriconiana,
ora precipitano in incubi che esprimono una ruvidità ed un impeto marziale che
fa da contraltare ai momenti di intimo raccoglimento.
È questo il corposo armamentario a disposizione degli
Orplid, che con il tempo dimostreranno di avere molte altre frecce nella
propria faretra: essi non si accontenteranno dunque di ripetere l'eccellenza
espressa in questa opera della maturità, ma decideranno presto di virare subito
verso nuovi ambiziosi orizzonti. Il verbo folk, ahimè, andrà progressivamente
ad essere accantonato lungo il loro ardito percorso artistico: in parte nel
successivo "Sterbender Satyr" (2006), che affonda un piede
nella dimensione acustica ed uno in quella elettronica, e definitivamente in
"Greifenherz" (2008), nel quale la chitarra verrà (salvo
momenti sporadici) riposta nella custodia per lasciare spazio ad un martial-industrial
che non snaturerà lo spirito peculiare dei Nostri.
E' tuttavia con le quattordici gemme di
"Nachtliche Junger", straboccante di una ispirazione che con il tempo
andrà scemando, che gli Orplid trovavano il loro insuperabile capolavoro.
Discografia
essenziale:
Forseti: "Windzeit" (2001)
Forseti: "Erde" (2004)
Sonne Hagal: "Helfahrt" (2002)
Sonne Hagal: "Jordanfrost" (2008)
Darkwood: "Notwendfeuer" (2006)
Orplid: "Nachtliche Junger" (2002)
Orplid: "Sterbender Satyr" (2006)
Werkraum: "Unsere Feuer Brennen! (2004)
Falkenstein: "Heiliger Wald" (2008)
Leger Des
Heils:
"Memoria" (2008)
Sturmpercht: "Shattenlieder" (2009)