8 set 2016

RECENSIONE: AN ABSTRACT ILLUSION "ILLUMINATE THE PATH"


Una illusione astratta: così diventa la vita fragile e frastornata quando non la vivi, ma la subisci. La musica tocca nervi scoperti: quello che sembrava certo non lo è più e quello che sembrava abbandonato, ritorna. Ascoltando questa ultima fatica degli svedesi An Abstract Illusion, mi vengono questi pensieri ad illuminare il sentiero.

Non vi nascondo che in alcuni momenti mi sembra di aver messo un disco dei Dimmu Borgir o degli Arcturus, ma dopo un'ora mi accorgo che c'è di più in questi ragazzi sconosciuti dalla Svezia. Almeno a me sconosciuti, ma li apprezzo perché sanno aver pazienza, è solo il secondo album dal 2007, ma si giocano le loro carte in modo interessante.
Death e Black metal si alternano a momenti progressivi o atmosferici, riprendendo i succitati capisaldi norvegesi, ma anche la lezione di Dan Swano, degli Opeth o degli ultimi Enslaved esce alla distanza.

La perizia tecnica non è male, miriadi di note tutte uguali e tutte diverse invadono la stanza e se vado a correre nel bosco, perché non portarmi questo disco?
Ad onor del vero non c'era bisogno di questo album nel panorama musicale, perché ne abbiamo ascoltati tanti così, perché nei boschi ci abbiamo già corso, sgozzato animali, fatto sedute spiritiche, evocato fantasmi medievali, stretto un patto con la natura e chi più ne ha più ne metta, però io adesso sento di doverci tornare nella foresta.
Sento che è il momento di provare a respirare ancora l'odore dell'erba, da tanto tempo non provavo ad avventurarmi con animo romantico tra gli alberi e questo sentiero illuminato mi aiuta.

Sonorità che conosco a memoria, potrei scrivere io i testi, melodie alternate a sfuriate, a volte anticipo il growl rispetto al cantato pulito e sorrido della mia competenza, ma mi rattristo per la prevedibilità.

Non c'è niente di nuovo in queste note, ma sono messe bene una dopo l'altra e posseggono quel gusto dolce che hanno alcune tracce degli Anathema o degli Agalloch. C'è qualcosa di romantico e bucolico che entra tra queste canzoni e riesce a far breccia nel mio cuore fragile, a ritagliarsi un posto al sole tra l'ombra dei rami.
Come se dietro a questi cespugli trovassi i miei amici di infanzia a fare un barbecue, come se vedessi i miei parenti radunati tutti insieme a parlare con lo zio che urla, il nonno che gracchia, la cugina che strilla e la mamma che mette tutto a posto, mentre la famiglia si accinge a riposare dopo il pasto conviviale.
Ci sono anche io in questa scena, ma vedo tutto da fuori, distaccato come in un sogno, mi commuovo per quello che sono stato, per quello che queste note hanno significato nella mia vita e torno dentro a queste atmosfere come nella placenta.

Non vedevate novità di grido per questo 2016 metallico, vi sentite sempre sul ciglio tra noia e ritorno alle origini? Date una chance ai paesaggi di questi ragazzi svedesi, non troverete gli Ulver della prima ora o la grandezza dei Dimmu Borgir dei tempi migliori, però vi strapperanno un sorriso di compiacimento. Le emozioni non vanno cestinate, sanno di vita, inebriano anche se talvolta superficiali e qui ne arrivano tante.

Non sarà il disco dell'anno, ma non avevo trovato ancora qualcosa che mi spingesse a stare da solo senza vedere i draghi nella mia testa. Forse mi dimenticherò di loro, forse sono solo una illusione astratta, ma questo sentiero illuminato io lo seguo a occhi chiusi.

Voto: 7/8
Canzone top: "Skeletons Of Light" 
Momento top: la melodia di "Vakuum" 
Canzone flop: "Talvatis"
9 canzoni, 70 minuti
Anno 2016
Etichetta: Distrosong