24 feb 2017

UN COCCODRILLO PER IT - GLI ABRUPTUM, BOTOLA SENZA TEMPO SULLE FOGNE DEL BLACK



IT per me era l'essenza del Face Paint. Il face paint del black metal fu un importante stilema estetico, che faceva capire cosa fosse questa evoluzione rispetto al death, al thrash brutale e all'horror metal. Le maschere horror non erano una novità: ricordiamo i Death SS che addirittura buttarono via lo spazio di un lp apribile (con disco non doppio) solo per farci vedere le fasi del trucco dei membri che registrarono "Heavy Demons" (1991). Questi stessi, così come King Diamond, avevano basato parte della loro poetica sulla creazione di una maschera, o più maschere, che fossero lo stereotipo degli stereotipi, insieme grottesco, perché ridondante, ed essenziale.

Pauroso o ridicolo, a seconda dei punti di vista certo, questo tipo di maschere erano sempre sospese tra l'idea di riassumere tutto l'horror in un sol colpo, e quella di ammucchiare tutto l'horror in una sola maschera. Ridondanti ed essenziali, appunto.

King aveva il face paint, che poteva richiamare il pipistrello o lo sfigurato, a volte anche con del rosso sangue; si presentava con mantello da vampiro e una croce di ossa sopra il microfono, e così via. I Death SS si erano divisi le maschere, con riferimento agli stereotipi del cinema e della letteratura horror, alcuni dei quali oggi desueti (la mummia e il lupo mannaro).
Già questo tipo di maschere era una cosa diversa da quelle a-la Kiss, carnevalesche e se mai in bilico tra l'horror, il travestitismo e suggestioni spaziali. Non erano una cosa seria, insomma.

Con le maschere anni '80 si passa dai fenomeni da baraccone al tunnel dell'orrore: un passo in avanti.
Con il face paint horror si spengono le luci. Il face paint è la forma latitante, è il prender forma prima che questa forma divenga inoffensiva come “già noto”.

Il face paint del black ridusse la maschera ad un'impressione, un contrasto di bianco e nero che suggerisce un volto grottesco: minaccioso (spesso per l'espressione imbronciata), o inespressivo (e per questo inquietante), e privo di sguardo. Un passo più indietro, ed è buio, un passo più avanti e viene fuori la faccia vera di una persona, che al massimo quindi è quella di uno Steve Sylvester o di un King Diamond.

IT volle forse ribadire questo concetto scegliendosi anche un nome indeterminato: genere neutro, oggetto non identificato. Indicare se stessi come soggetto neutro è per definizione impossibile: non “I” che è il massimo dell'individuazione (io, che sono qui, come tu mi vedi) , né He/She, che sono individuazioni vaghe di terze persone, ma “IT”, cioè “Io, quella cosa”. Danzig aveva utilizzato He (who cannot be named) per evocare terrori ancestrali, e She per dipingere una misteriosa figura di male al femminile. Gli ...and Oceans dissacrarono tutto ciò anni dopo chiamando la loro mascotte, un clown, YOU e accreditandolo come cantante.

In mezzo a tutto questo, una pletora di gente che si sceglie i nomi più misteriosi e minacciosi, costeggiando il ridicolo. IT voleva arrivare all'essenza, e ci riuscì nel percorso che univa la complessità e le articolazioni infinite degli Ophthalamia al silenzio degli Abruptum. Tolse il volto, l'identità, e poi anche il suono. Dopo di che ci mise dentro tutto, anche il ridicolo forse.
Per vederlo alla giusta distanza che corrisponde al suo face paint (né troppo definito, né a distanza di sicurezza) servono forse i due album degli Abruptum. Sperimentazione in senso lato, tra l'ambient e il rumorismo, e l'avanguardia inclassificabile.
Va detto che questi progetti sono sempre più suggestivi a scatola chiusa. Facendo riferimento a quel periodo però mi sento di dire che furono produzioni non furbesche, ma autentiche, come quelle di Mortiis. Erano una ricerca sonora per sottrazione, e del resto il black tende in generale al minimalismo, se si eccettua la parentesi del sinfonico. Perfino il suono “impastato” degli Emperor, che abbiamo discusso su queste pagine, tendeva alla fine ad un flusso sonoro unico e a tratti amorfo più che polifonico.
I titoli dei dischi degli Abruptum valgono da soli il tempo speso per ascoltare il disco – se valgano da soli l'acquisto del disco è fatto già più controverso. Io mi sono tenuto i titoli e i dischi li rivendetti. Me li sono ascoltati per intero probabilmente solo adesso, o meglio è difficile ricordare. La musica degli Abruptum dà l'idea di essere il fluido amorfo da cui la “legione” della musica nera prendeva le sue varie sembianze: chiassosa, mistica, nebulosa, maestosa, sporca, rugginosa, disperata....ecco sì, questo elemento dello scream disperato, già abbozzato anche da Dead, compare in maniera insistita su “In umbra...” (1994). anticipando davvero il filone depressive-suicidal. Mentre nei primi Mayhem lo screaming è su un tappeto di thrash sgraziato e minimale, qui è su un incedere funereo da black doom.

In quegli anni il Black procede su due binari. Uno, individualista, consacra nella loro fase felice autori ispirati che optano solitamente per un sottogenere più maestoso, pomposo, estroverso. Ne nascono capolavori così come critiche, da parte di chi non concepisce un black metal carnevalesco o comunque di gran respiro sinfonico. Potremmo definire questo filone “massimalista”.

L'altro filone, "minimalista", cerca di conservare quello spirito iconoclasta, indigesto e di masochistico del black degli esordi, che distrugge volutamente ogni anelito di compiutezza ed eleganza in favore di una essenzialità emotiva, di una scarnificazione emotiva per dir meglio. Rispetto all'artista, questa creatività non ammetteva la celebrazione dell'individualità: l'artista era IT, una non-persona, una maschera della natura.

Gli Abruptum proseguivano una ricerca in questo senso, proprio nel periodo di esplosione del black massimalista. Mentre i giganti norvegesi volavano ad ali spiegate con i loro capolavori magniloquenti, il “nano svedese” (così lo appellava Vikernes) frugava dentro la neve e le foglie morte per trovare degli spunti.
IT non è solo Abruptum, anzi è soprattutto altro (Ophthalamia). Abruptum invece è un progetto che apre una porta sul black metal, e offre un campionario sonoro su quello che era già stato, e che sarebbe stato dopo. Come una grande discarica vivente di dissonanze senza tempo. Una fogna in cui scorrono i liquami di ciò che si è disintegrato, che magari andranno a formare il fango vitale di una nuova creatura

A cura del Dottore