IT per me era l'essenza del Face Paint. Il face paint del black metal fu un importante stilema estetico, che faceva capire cosa fosse questa evoluzione rispetto al death, al thrash brutale e all'horror metal. Le maschere horror non erano una novità: ricordiamo i Death SS che addirittura buttarono via lo spazio di un lp apribile (con disco non doppio) solo per farci vedere le fasi del trucco dei membri che registrarono "Heavy Demons" (1991). Questi stessi, così come King Diamond, avevano basato parte della loro poetica sulla creazione di una maschera, o più maschere, che fossero lo stereotipo degli stereotipi, insieme grottesco, perché ridondante, ed essenziale.
Pauroso o ridicolo, a seconda dei punti di vista certo, questo tipo di maschere erano sempre sospese tra l'idea di riassumere tutto l'horror in un sol colpo, e quella di ammucchiare tutto l'horror in una sola maschera. Ridondanti ed essenziali, appunto.
King aveva il face paint,
che poteva richiamare il pipistrello o lo sfigurato, a volte anche
con del rosso sangue; si presentava con mantello da vampiro e una
croce di ossa sopra il microfono, e così via. I Death SS si erano
divisi le maschere, con riferimento agli stereotipi del cinema e
della letteratura horror, alcuni dei quali oggi desueti (la mummia e
il lupo mannaro).
Già questo tipo di
maschere era una cosa diversa da quelle a-la Kiss, carnevalesche e se
mai in bilico tra l'horror, il travestitismo e suggestioni spaziali.
Non erano una cosa seria, insomma.
Con le maschere anni '80
si passa dai fenomeni da baraccone al tunnel dell'orrore: un passo in
avanti.
Con il face paint horror si spengono le luci. Il face paint è la forma latitante, è il prender forma prima che questa forma divenga inoffensiva come “già noto”.
Con il face paint horror si spengono le luci. Il face paint è la forma latitante, è il prender forma prima che questa forma divenga inoffensiva come “già noto”.
Il face paint del black
ridusse la maschera ad un'impressione, un contrasto di bianco e nero
che suggerisce un volto grottesco: minaccioso (spesso per
l'espressione imbronciata), o inespressivo (e per questo
inquietante), e privo di sguardo. Un passo più indietro, ed è buio,
un passo più avanti e viene fuori la faccia vera di una persona, che
al massimo quindi è quella di uno Steve Sylvester o di un King
Diamond.
IT volle forse ribadire
questo concetto scegliendosi anche un nome indeterminato: genere
neutro, oggetto non identificato. Indicare se stessi come soggetto
neutro è per definizione impossibile: non “I” che è il massimo
dell'individuazione (io, che sono qui, come tu mi vedi) , né He/She,
che sono individuazioni vaghe di terze persone, ma “IT”, cioè
“Io, quella cosa”. Danzig aveva utilizzato He (who cannot be
named) per evocare terrori ancestrali, e She per dipingere una
misteriosa figura di male al femminile. Gli ...and Oceans dissacrarono
tutto ciò anni dopo chiamando la loro mascotte, un clown, YOU e
accreditandolo come cantante.
In mezzo a tutto questo,
una pletora di gente che si sceglie i nomi più misteriosi e
minacciosi, costeggiando il ridicolo. IT voleva arrivare all'essenza,
e ci riuscì nel percorso che univa la complessità e le
articolazioni infinite degli Ophthalamia al silenzio degli Abruptum.
Tolse il volto, l'identità, e poi anche il suono. Dopo di che ci
mise dentro tutto, anche il ridicolo forse.
Per vederlo alla giusta
distanza che corrisponde al suo face paint (né troppo definito, né
a distanza di sicurezza) servono forse i due album degli Abruptum.
Sperimentazione in senso lato, tra l'ambient e il rumorismo, e
l'avanguardia inclassificabile.
Va detto che questi
progetti sono sempre più suggestivi a scatola chiusa. Facendo
riferimento a quel periodo però mi sento di dire che furono
produzioni non furbesche, ma autentiche, come quelle di Mortiis.
Erano una ricerca sonora per sottrazione, e del resto il black tende
in generale al minimalismo, se si eccettua la parentesi del
sinfonico. Perfino il suono “impastato” degli Emperor, che
abbiamo discusso su queste pagine, tendeva alla fine ad un flusso
sonoro unico e a tratti amorfo più che polifonico.
I titoli dei dischi degli
Abruptum valgono da soli il tempo speso per ascoltare il disco – se
valgano da soli l'acquisto del disco è fatto già più controverso.
Io mi sono tenuto i titoli e i dischi li rivendetti. Me li sono
ascoltati per intero probabilmente solo adesso, o meglio è difficile
ricordare. La musica degli Abruptum dà l'idea di essere il fluido
amorfo da cui la “legione” della musica nera prendeva le sue
varie sembianze: chiassosa, mistica, nebulosa, maestosa, sporca,
rugginosa, disperata....ecco sì, questo elemento dello scream
disperato, già abbozzato anche da Dead, compare in maniera insistita
su “In umbra...” (1994). anticipando davvero il filone depressive-suicidal. Mentre nei primi Mayhem lo screaming è su un
tappeto di thrash sgraziato e minimale, qui è su un incedere funereo
da black doom.
In quegli anni il Black
procede su due binari. Uno, individualista, consacra nella loro fase
felice autori ispirati che optano solitamente per un sottogenere più
maestoso, pomposo, estroverso. Ne nascono capolavori così come
critiche, da parte di chi non concepisce un black metal carnevalesco
o comunque di gran respiro sinfonico. Potremmo definire questo filone
“massimalista”.
L'altro filone, "minimalista", cerca di conservare quello spirito iconoclasta,
indigesto e di masochistico del black degli esordi, che distrugge
volutamente ogni anelito di compiutezza ed eleganza in favore di una
essenzialità emotiva, di una scarnificazione emotiva per dir meglio.
Rispetto all'artista, questa creatività non ammetteva la
celebrazione dell'individualità: l'artista era IT, una non-persona,
una maschera della natura.
Gli Abruptum proseguivano
una ricerca in questo senso, proprio nel periodo di esplosione del
black massimalista. Mentre i giganti norvegesi volavano ad ali
spiegate con i loro capolavori magniloquenti, il “nano svedese”
(così lo appellava Vikernes) frugava dentro la neve e le foglie
morte per trovare degli spunti.
IT non è solo Abruptum,
anzi è soprattutto altro (Ophthalamia). Abruptum invece è un
progetto che apre una porta sul black metal, e offre un campionario
sonoro su quello che era già stato, e che sarebbe stato dopo.
Come una grande discarica vivente di dissonanze senza tempo. Una fogna in cui scorrono i liquami di ciò che si è disintegrato, che magari andranno a formare il fango vitale di una nuova creatura.
A cura del Dottore