5 apr 2017

MAYHEM PLAY "DE MYSTERIIS DOM SATHANAS": LIVE AT ELECTRIC BALLROOM, LONDON - 29/03/2017



 
 
Intanto chiariamo subito il fatto che volevo vedere dal vivo "De Mysteriis dom Sathanas" e non i Mayhem, che non esistono più. E non da ieri…

Ci sono andato perché sapevo che non vi sarebbe stato “un” chitarrista (Blasphemer, Ciccio Ingrassia o chi cazzo volete), ma una anonima coppia di meri esecutori senza ambizioni (tali Teloch e Ghul...) chiamati non tanto a sostituire chi è insostituibile, ma a suonare quel tanto di chitarra che serve per riempire gli spazi vuoti lasciati dalla batteria di Hellhammer. Già, perché prima di morire, volevo anche vedere Hellhammer dal vivo. E poi c'è Attila Csihar, che in fin dei conti c'aveva cantato su quell'album, Attila che non è Maniac, la cui presenza non avrei tollerato. E sebbene si registri la presenza di un altro membro storico come Necrobutcher, si ha avuto infine il buon gusto, nei manifesti, di non aggiungere la parolina "True" sul logo della band. Ed io, coerentemente, mi limiterò a scrivere Mayhem con la emme finale minuscola…

La portata dell'evento mi impone di liquidare distrattamente i due gruppi spalla, che io (incolpevolmente  o meno - ma penso incolpevolmente…) ignoravo nel modo più assoluto. Mentre sono in fila per fare il biglietto sento rimbombare da fuori le note degli Inconcessus Lux Lucis, e son lieto di respirare già aria di roba underground e vecchia scuola, come se fosse il 92. E' però solo una vacua illusione, perché una volta entrato mi renderò conto che i Nostri non sono altro che un trio assai insulso dedito a quello che oggi potremmo definire "blackened death metal" e la cui "pocaggine" mi spinge a “risparmiare le orecchie” nella zona bar.

Per quanto riguarda i Dragged into Sunlight, l'allestimento del palco con delle belle corna di cervo ai lati (saranno come gli Agalloch?) ed un candelabro gigante al centro (saranno come i Behemoth?) mi aveva fatto ben sperare. Peccato però che poi il tutto si riduca ad una miscela sparatissima di death, black e grind con qualche stronzata cyber/industriale disseminata fra un pezzo e l'altro. Con l'aggravante, per giunta, che i musicisti, completamente al buio, suonano di spalle: insomma, l'ennesimo gruppo inutile che non risolleva le mie nefaste opinioni sul metal odierno.

Due sono i pensieri che mi ronzano in testa mentre tracanno l'ennesima pinta di birra. Uno è che non vale più la pena ascoltare nuove band che non presentino idee originali. Due è che dal vivo bisogna necessariamente adottare delle accortezze sceniche, soprattutto in ambito black, perché il black dal vivo non è nel suo habitat naturale. E c'è da dare atto a Darkthrone e Burzum di averlo capito fin da subito…

Ma torniamo a noi. I Mayhem stanno per entrare in scena, pertanto molto intelligentemente mi dirigo verso il palco, guadagnando le posizioni di coloro che sono stati fino ad adesso a perdere tempo con i due gruppi spalla: bravi, andate a pisciare che il vostro posto ve lo prende zio, che i Mayhem li ascoltava quando voi eravate alle elementari!

Non mi dilungo sul pubblico perché si parla del classico campionario di brutalità assortite e casi umani che è lecito e doveroso trovare in eventi di questo tipo. C'è però da dire che siamo in tanti, veramente in tanti: tenete conto che l'Electric Ballroom è un locale storico di Camden Town in cui hanno suonato formazioni leggendarie come Joy Division, Gang of Four, Nick Cave & The Bad Seeds, The Smiths, Death in June ecc. quando erano ancora in erba. E stasera, il medesimo locale che ha accolto sul proprio palco Ian Curtis (altro grande “morto-non-in-circostanze-ordinarie” del rock!), ha l'onore di ospitare i fantasmi di Euronymous e Dead, rievocati per la celebrazione di “De Mysteriis dom Sathanas”, questo album seminale (lo ricordiamo ai più distratti: usciva postumo nel 1994, con brani scritti già nel 1990, quando Dead era già in formazione - si consideri al riguardo "Live in Leipzig") che ha fatto la storia della musica estrema.

Detto per inciso, allo stand è in vendita "De Mysteriis dom Sathanas Alive", live-album uscito nello scorcio finale dell'anno scorso, chiamato ad anticipare il tour celebrativo a cui stiamo presenziando. Che tutta l'operazione abbia intenti speculativi è ovvio, ma il culto per questa opera è troppo forte per poter dare retta alle insinuazioni della ragione: siamo, in fondo, dei sentimentali…

Il palco viene addobbato con dei pannelli che evocano un immaginario gotico. La batteria di Hellhammer sovrasta tutto dall'alto: talmente imponente da essere seconda solo a quella di Portnoy. Terminato il sound-check, ecco che si spengono le luci, zaffate di fumo vengono sparate sul palco ed entrano in scena due coglioni incappucciati e dal pesante trucco mortifero: ma chi cazzo sono questi?, ti viene da sbottare all'ingresso dei due chitarristi. E già il sentore di pagliacciata ti prende alla gola.

Attacca "Funeral Fog" e tiro un sospiro di sollievo perché non avrei tollerato nulla al di fuori di "De Mysteriis Dom Sathanas": persino una "Deathcrush" mi sarebbe sembrata di troppo, figuriamoci le troiate fatte dopo la morte di Euronymous. Si va dunque dritti al sodo, senza cazzate e contorni indigesti: bene così. Il pogo molesto mi rende difficile fruire del brano in tutta la sua bellezza, ma va bene uguale: non vedevo pogare così selvaggiamente da una vita ad un concerto metal, e forse ci volevano proprio i più cattivi di tutti a scuotere gli animi di vecchi, donne e bambini. I suoni sono portentosi e l'esecuzione impeccabile, tanto che se ci fosse stato Euronymous la differenza non si sarebbe sentita. Attila poi è più in forma che mai, offrendo una prestazione ancora più potente che su disco (che in effetti, a tratti, era penalizzata da un mixaggio che dava maggiore rilievo a batteria e chitarra).

Anche Attila è incappucciato e truccato, e possiamo fin da subito dire che sarà lui il vero mattatore della serata. Ci si rende conto che Attila sta ai Mayhem come Robbie Williams sta ai Take That: è quello che ha fatto carriera, è quello che stasera plasmerà la band come se fosse cosa sua. Il fumo, le luci blu e rosse, le tuniche sembrano scippate all'esperienza vissuta in seno ai SunnO))), che fra l'altro erano qua a Londra la settimana scorsa. E mi viene il dubbio che le due date così ravvicinate siano state dettate dagli impegni in agenda dello stesso Attila, che magari ne ha approfittato per farsi una vacanzetta in terra albionica (fra l'altro vedere a Londra la stessa persona per due volte in un mese in circostanze diverse è una cosa assai rara, e quindi posso dire di aver "frequentato" Attila a marzo 2017, avendolo visto per ben due volte...). E sua, di sicuro, è l'idea di infarcire l'esibizione, fra un brano e l’altro, con intermezzi ambientali dal mesto sapore rituale, dove poter sfoggiare il suo “armamentario vocale”, fra rigurgiti gregoriani e sospironi fantasmatici. Lo stesso Hellhammer amerà insinuarsi in queste pause atmosferiche con fugaci giochi di piatti per dare sfogo a quelle pulsioni progressive che ha avuto modo di esprimere altrove (negli Arcturus, per esempio).

Calano nuovamente le tenebre e da una cripta sembra provenire la celebre invocazione "When it's cold, and when it's dark, the freezing moon can obsess youuuuu". E proprio così parte la leggendaria "Freezing Moon", forse il pezzo più bello dei Mayhem, con quella sua parte iniziale doomica che farà scuola. Tutta la band dà il meglio di sé, con un Attila declamatorio più che mai. Ma il vero momento di gloria se lo ritaglierà il buon Necrobutcher (una mezzasega per davvero): tutte le luci saranno su di lui (viso scoperto, niente trucco, colletto della camicia da cassiere di Media World che spunta fuori dal saio) durante quelle tre note di basso che sono state quanto di meglio ha saputo tirare fuori il bassista in trent'anni di carriera (già, lui non c'era in "De Mysteriis dom Sathanas", scappato a gambe levate un momento prima per evitare guai giudiziari, ma almeno c'è da riconoscere che aveva in precedenza partecipato alla stesura di molti brani in esso contenuti, fra cui appunto la stessa “Freezing Moon”).

E' il turno di "Cursed in Eternity" e "Pagan Fears" che godono dello status di brani leggendari, forti di momenti anthemici (“THE PAST IS ALIIIIIVE”) che le mille voci del pubblico recitano a memoria, ricalcando fedelmente i versacci di Attila. Un altro aspetto che mi stupisce di questo concerto è l'esecuzione estremamente fedele dei brani originali, in particolare per quanto riguarda Attila stesso, cosa che doppiamente mi stupisce: quelli che, immortalati nella registrazione, potevano essere vocalizzi alla cazzo da parte di un interprete approssimativo ed improvvisatore come è Attila, nel tempo sono divenuti Leggenda, scolpiti nella pietra della Storia del Metal Estremo e nella memoria dei fan. Ed evidentemente, in seguito, al Nostro è toccato impararseli a memoria per poterli poi replicare dal vivo. Quanto a Hellhammer, la sua è pura poesia: occultato dal fumo, ma soprattutto dalle diramazioni mostruose del suo strumento, non lo vedremo mai durante tutta l'esibizione, ma lo sentiremo, eccome se lo sentiremo. Il suo è un tocco incredibilmente potente e preciso anche dal vivo (il fatto che i piatti e le altre componenti della batteria si protendano verso di lui come a volerlo abbracciare, ci dà spiegazioni sulla velocità esecutiva del musicista, in rullate e giochi di piatti che in effetti sono perfettamente gestibili in quanto tutto è decisamente a portata di mano). Ma anche in questo caso è l'aderenza alle partiture originali che stupisce: una performance certosina che esplica, fra l'altro, l'amore, se non la devozione, per i brani che compongono l'opera che vale una vita.

Del resto, la forza dei brani di "De Mysteriis..." è di muoversi in quella zona selvaggia dove il black metal copulava ancora con il thrash cattivo degli anni ottanta. Sebbene vi siano in quell'album ben più che intuizioni, bensì stilemi veri e propri che costituiranno le basi del genere, si capisce oggi, nella dimensione live più che mai, che i Mayhem non erano ancora una band black metal vera e propria, come per esempio lo sarebbero presto state realtà come Darkthrone e Burzum. Troppo "massimalisti" li definirei, sia a livello di scrittura (incredibilmente varia e dinamica) che attitudinale (teatrale ed aderente ancora a molti cliché gotico/orrorifici che erano appannaggio del metal estremo della decade ottantiana).

Finito il "lato A" dell'album, i Nostri escono di scena e di corsa viene allestito un altare addobbato con tanto di candelabri e teschi umani (mi auguro finti). Del resto il brodo doveva essere allungato in qualche modo (quaranta minuti non sono tanti), ma certo non ci lamentiamo, visto che a noi queste cazzate piacciono. Attacca sparatissima "Life Eternal", falsa partenza che ci conduce invece al brano più atmosferico e cadenzato dell'album. Attila (nella prima parte ancora dietro all'altare ad aggeggiare con i suoi trabiccoli) e Hellhammer (che ci inonda di cambi di tempo come se piovessero) dominano su tutti gli altri. I quasi sette minuti di cui si compone il pezzo sono infatti il terreno ideale per le evoluzioni dei due carismatici reduci: Attila non risparmia le sue corde vocali, Hellhammer dà invece sfoggio delle sue immense capacità, fra smitragliate di blast-beat e passaggi più complessi.

Seguono "From the Dark Past" e "Buried by Time and Dust", l'accoppiata di missili che forse si radicano più degli altri brani al retroterra thrash e speed metal degli anni ottanta. Ma anche in questa circostanza la band offre una prestazione professionale, mentre la pulizia dei suoni rende intelligibile la più piccola delle sfumature.

L'attesa però è già tutta per la mitica title-track, apice di un climax morboso che ha percorso tutti e sette i brani che l'hanno preceduta. Velocemente vengono rimossi i pannelli dal palco, i quali, scopriamo adesso, celavano degli scheletri mummificati di monaci che devono aver flirtato male con il Male. Nello sfondo sono proiettati i tre volti degli "allora Mayhem" così come campeggiano nei booklet di CD e vinile. Fosche luci blu tornano ad ottenebrare il tutto, evocando la lugubre copertina dell’album. La band rientra in scena, con un Attila finalmente privo del suo saio e vestito da prete maledetto (mantellina rossa e volto insanguinato) a dare sfogo a tutta la sua indole teatrale, sia a livello vocale che scenico. Come è noto, infatti, il pezzo presenta anche dei momenti di voce pulita, e il malato canto baritonale del Nostro (sorta di gemiti gregoriani da occultista pazzo ed invasato) si materializza forte e limpida fra scomposti latrati putrefatti, consegnandoci quella versatilità vocale su cui di fatto il cantante imposterà la sua carriera successiva. Ma anche a livello scenico non si scherza: Attila, intrattenitore ormai scafato, sa sicuramente come gestire il suo pubblico, prima dietro all'altare armeggiando con incenso e teschi, poi in prima linea, continuando a "dialogare" con un teschio alla stregua di un Amleto riemerso dall'Oltretomba. Il pezzo non sembra finire mai: nella sua violenza e velocità esso è il sottofondo ideale per l'istrionismo di Attila, che regala perle di carisma al pubblico estasiato. Hellhammer picchia come se non ci fosse un domani, la band nel complesso mantiene nel caos precisione e pulizia: ogni istante viene assaporato avidamente e il tempo, come dilatato, amplierà le sue spire conducendoci ad uno stato di estasi collettiva e di grande scambio energetico fa band e pubblico. Poi ovviamente, come tutte le cose belle, il brano giunge al suo termine: i musicanti abbandonano il palco, salvo Attila che, accompagnato da un mesto organo di chiesa, da "bravo prete", una volta officiata la messa, raccoglie ordinatamente i suoi oggetti dall'altare.

Fra gli applausi del pubblico fa una fugace comparsata Hellhammer, che si rivela al pubblico per la prima volta, giusto il tempo di lanciare le due bacchette ed un sorriso ed andarsene. Significativo, a mio parere, il fatto che l'unico componente costante della band, che (colpevolmente o meno - ma penso colpevolmente...) ha portato la baracca avanti fra mille vicissitudini e cambi di formazione, si sia manifestato in solitaria per farsi il suo meritato bagno di folla. Quanto però è poco black metal, aggiungo io, questo signore barbuto in bandana ed orecchini (l'unico non conciato come un pagliaccio: è ci mancherebbe altro!, Hellhammer è una persona seria!), che potrebbe figurare senza problemi nel cast de "I Pirati dei Caraibi"!

Dunque niente bis, niente "Deathcrush", "Necrolust", "Carnage", "Pure Fucking Armageddon" e sozzerie varie: forse quello snob di Attila si è rifiutato, almeno in questa circostanza, di interpretare canzoni cantate originariamente da altri; forse la band stessa ha semplicemente deciso di ottenere il massimo con il minimo, non sbattendosi più di tanto. Ma secondo il sottoscritto è stato meglio così: il "flusso magico" di un'opera mitica come "Dom Mysteriis dom Sathanas", anzi, di un rito collettivo che stasera ha assunto contorni "sacrali", non poteva in nessuna maniera essere interrotto, nemmeno con i classici dei (True) MayheM!