Il 07 aprile del 1997 veniva pubblicato “Enter”, disco d’esordio dei Within
Temptation.
Sono personalmente legatissimo a
quest’opera; la reputo tra le migliori (se non la migliore) in ambito goth/dark metal sinfonico. Fu peraltro il primo e ultimo dei WT con la tecnica vocale c.d.
beauty and the beast, portata alla ribalta due anni prima dai seminali Theatre of Tragedy.
Già dal successivo, l’ottimo “Mother earth” (2000), il mastermind
della band, Robert Westerholt (futuro marito di Sharon den Adel e per questo
da me molto invidiato) decise di mettere da parte il proprio growling e lasciare interamente le parti
vocali all’ugola della futura consorte; mossa, questa, che si rivelò
lungimirante da un punto di vista del marketing, viste le doti straordinarie
della vocalist olandese.
L’ho letteralmente consumato
“Enter” e non avrò mai abbastanza parole per ringraziare chi scrisse la
recensione su Metal Hammer, dandogli giustamente il massimo dei voti e
spingendomi così al suo acquisto.
Ma oggi lo vogliamo ricordare non
tanto (o non solo) per il suo 20° compleanno, quanto per consolarci: un amarcord di
come i WT erano all’inizio della loro carriera, ed ora, da tempo, non sono più.
Se “Mother Earth” presentava ancora una band tirata a lucido, con volontà di
progredire e sperimentare (riuscitissime le contaminazioni folk-celtiche
sull’impianto gothic-dark), dal successivo “The Silent Force” (2004) le cose
presero una virata in senso nettamente commerciale. Le buone idee c’erano ancora ma
sempre meno originali e il manieristico “compitino” per larghi tratti prendeva
il sopravvento rispetto ai veri guizzi d’inventiva artistica.
A questo aggiungiamoci che quelli
erano gli anni del boom-Evanescence e tutti ricorderete come non si potesse
accendere radio o tv senza ascoltare/vedere il tormentone “Bring me to life”
con Amy Lee, frontwoman del gruppo, a camminare in veste da notte sui
cornicioni di un grattacielo.
Non vorrei pensar male ma anche a
causa di quel successo della band americana, il sound dei WT virò verso uno
stile più accessibile, per fortuna senza le influenze à-la-Linkin’ Park degli
Evanescence. Lo potremmo definire un heavy-rock dalle tinte gotiche, ma di quel
gotico un pò "danzereccio", artificioso, di plastica, lontano parente di quello
sentitamente romantico e tragico riscontrabile nelle splendide composizioni
dell’album d’esordio (da “Restless” a “Pearls of light”; da “Grace” a “Candles” solo per citarne alcune).
Nonostante ciò, và riconosciuto
come i WT riuscirono ancora a sfornare un paio di dischi più che discreti (il
citato “The Silent Force” e il successivo “The Heart Of Everything”) che però,
seppur catturando subito l’attenzione per le melodie di facile presa e per la
voce magnetica della sempre più sensuale Sharon, non mantengono la distanza d’ascolto.
Del resto hit come “Jillian”, “Stand my ground” o “What have you done” attirano
subito per immediatezza e mood darkeggiante ma non reggono alla lunga, almeno all’orecchio
scafato di un vecchio metalhead.
Ma il peggio doveva ancora
venire: se TSF e THOE alla fin fine rimangono episodi secondari ma piacevoli,
la noia la fa da padrona coi successivi “The unforgiving” (2011) e “Hydra”
(2014). Quasi due ore di musica di una noia mortale, uguale a se stessa:
chitarre che macinano sempre gli stessi riff, tastiere sinfoneggianti a coprire
il tutto come una densa melassa, ritornelli da asilo nido, songwriting piatto
come una sogliola, e la voce di Sharon che prova a tenere desta l’attenzione, cercando
di coprire il vuoto d’idee sottostante.
Se “The Unforgiving” dovrebbe avere una sua originalità attraverso il legame concettuale (peraltro non direttamente collegato al sound) col mondo dei fumetti in stile-Marvel (sic!), “Hydra” si "distingue" per l’escamotage delle comparsate, ospiti più o meno
conosciuti provenienti dagli ambienti più diversi (opera, rock, rap,
metal-core) che però, come nel caso della conclusiva “Whole world is watching”
(come ospite troviamo un Dave Pirner caduto in disgrazia coi suoi Soul Asylum),
porta a risultati davvero pietosi: una song che più leccata non si può con un ritornello che è l’apoteosi della
banalità e del già-sentito.
Eppure qualche sito specializzato
si spella ancora le mani, tesse le lodi circa la continua trasformazione del
sound della band, li definisce addirittura “irrefrenabili” (sic!) giustificando
quindi, anche nei contenuti, il successo planetario delle vendite. Buon per i WT
che a noi però ci paiono concentrati, più che a comporre buona musica metal, a
scattare foto in posizioni ridicole, con i maschietti a mostrare i bicipiti e i tatuaggi (chi invece non ha il physique du rôle rimane un po’ più indietro, con la giacca di pelle e
lo sguardo da "duro"), e la bella Sharon adornata con improbabili vestiti che
spaziano da aderentissime tute di pelle a vaporose gonne colorate, con tanto di
folcloristico corpetto, che richiamano l’ottocentesco immaginario stokeriano.
Foto promozionali che sembrano riprese con la copia-carbone da quelle proprio
degli Evanescence.
Il che è alquanto coerente con la
musica, visto che proprio di evanescenza si tratta…
Noi, ci scuserà la bella Sharon, ci andiamo
a riascoltare “Enter”, ancora così fresco, potente e goticamente struggente a
20 anni di distanza.
A cura di Morningrise