11 lug 2017

PAOLO VILLAGGIO E IL METAL ESTREMO: IL DEATH METAL FANTOZZIANO DEGLI OBITUARY




Inevitabilmente, con la morte di Paolo Villaggio, ci siamo chiesti chi fosse, nel metal, la figura più fantozziana. Potremmo risolverla sul piano biografico: il più sfigato, quello col destino più ingrato; ma coglieremmo solo uno dei significati del termine “fantozziano”.
Fantozzi, specie nei suoi primi capitoli, costruisce un mondo che ha due caratteristiche: è feroce e disperato.

Fantozzi è la prima distopia comica, rappresentazione di un mondo in cui l'essere umano è libero, eppure schiavo; non fatica, ma neanche può aspirare ad avere di più; ha dei diritti, ma deve prostituirsi per vederli rispettati.

Emblematica è la scena della partita di biliardo con il capoufficio, in cui ufficiosamente l'impiegato deve saper giocare e perdere apposta, per crescere nella gerarchia dei sottoposti. O anche quella del casinò, in cui l'impiegato accompagna il direttore a giocare, fungendo da portafortuna, con la prospettiva di promozioni in caso di vittoria, e degradazione in caso di sconfitta.
La voce di Fantozzi è arrochita, stralunata, strascicata, quella di chi soffre, non si capacita ed è sopraffatto. Nel metal c'è una voce del genere, ed è quella di John Tardy.

Gli Obituary segnano, nella storia del metal estremo, il passaggio dal death aggressivo e diretto a quello più riflessivo e decadente. Fino ad un certo punto il death si definisce come la corrente più brutale e minimalista del thrash, quindi veloce, cavernoso e dai testi sanguinolenti. Con gli Obituary il death rallenta, e questo rallentamento è esistenziale, è la perdita dell'interesse a raggiungere una meta. Musica è urlare il dolore che governa il mondo. La vita è un macello, le relazioni dei colpi di mannaia, il destino è essere tagliato a pezzi. Proprio come Fantozzi, che precipita in mare, per essere recuperato dalla moglie al mercato dove è stato messo in vendita come cernia gigante, con tanto di limone ficcato in bocca. Analoghe sono le immagini del Fantozzi che è reintegrato nel personale della ditta con il ruolo di parafulmine umano, o quella ancor più famosa del Fantozzi inserito nell'acquario dei dipendenti, dove gli impiegati nuotano come pesci al di là di un vetro nella stanza del megadirettore.

C'è in Fantozzi l'elemento della ripugnanza inevitabile, lo squallore personale e di chi ti circonda che non ti offre via di scampo. L'uomo è affiliato alla ripugnanza (la moglie Pina e la figlia Mariangela), è nutrito da un sistema moralmente ripugnante (quello del lavoro), e quando prova a ribellarsi può al massimo divenire cibo per i ricchi cannibali. La disgustosa scena di Fantozzi che è servito a tavola durante il pranzo della Contessa immerso nella colata di polenta e salsicce è più vicina all'immaginario death di qualsiasi horror.

Del resto la comicità di Fantozzi è proprio comicità propriamente detta. Certamente c'è una vena satirica, ma le soluzioni sono chiaramente eccessive, iperboliche, paradossali, e quindi l'elemento che poi si ricorda è quello della comicità di base, quello crudele: l'uomo a cui succedono disgrazie o incidenti. In alcuni momenti Fantozzi diventa metacinematografico: ad un certo punto il comico non c'è più, rimane solo la crudeltà, e allora Fantozzi diviene attore drammatico, solo per pochi secondi, ma lasciando una scia di disagio nello spettatore.
Allo stesso modo, nell'orgia di immagini orride, ad un certo punto l'ascoltatore degli Obituary si ferma a contemplare la crudezza della scena. Come quando tua madre passa mentre guardi un horror e ti dice: ma come fa a piacerti questo schifo?

Che tu abbia deformato la realtà in senso comico od orrorifico, sono solo esorcismi per vedere il meno possibile la crudezza e la crudeltà reali che stanno sotto. A livello sonoro, questo elemento coincide con l'introduzione dello schema velocità/rallentamento, il death-doom, ovvero l'introduzione nel death della parte riflessiva, alienante.

Il terzo elemento che caratterizza gli Obituary, in parallelo con Fantozzi, è la soggettività. Un conto è descrivere la storia di un povero Cristo, altro è l'identificazione col personaggio e la centralità del personaggio. Fantozzi non è l'emblema dello sfruttato, il prototipo della vittima di classe, poiché è angariato anche dai suoi pari. Egli sta peggio perché ha la coscienza individuale, anche se non ha la forza di ribellarsi. A differenza di un Don Abbondio dei Promessi Sposi, che è vigliacco dentro, e a differenza di un geometra Filini o Calboni, che sono aggressivi coi più deboli, e quindi accettano il sistema, Fantozzi lo vive male. Distopicamente, appunto. Per questo tutto il sistema delle disgrazie e delle umiliazioni lo affligge in maniera particolare, a volte quasi esclusiva. Lui è il perno su cui si regge l'intero sistema, il gradino più basso nella scala dell'umiliazione. Non in quanto proletario, ma in quanto più buono. E' quindi l'unico tra i personaggi che davvero può esprimere amarezza verso il mondo, che può lamentarsi in prima persona del dolore perché è un dolore “suo”, ancor prima di essere un dolore umano. Come fare quindi a non pensare a Paolo Villaggio quando attaccano le prime note di “I'm in pain”, inizio di “The end complete”? Quando uscì quel disco gli Obituary, già famosi per "Cause of Death", colpirono proprio con questa scelta di esaltare la prospettiva soggettiva del dolore. Non descrizione dell'orrore, ma espressione del proprio dolore. E pessimismo, desolazione sia del presente che del futuro, perché non ci sono evoluzioni, solo nuovi giri di giostra, come in un girone infernale, o in un supplizio mitologico.

L'ultimo vero capitolo della saga “cronologica”, cioè il “Fantozzi va in pensione” (1988), si chiude con una scena geniale. Non trovando più alcun senso alla propria vita se non quello del suo “personaggio”, il Fantozzi pensionato finisce per farsi assumere di nuovo, ma in maniera clandestina, per scoprire così che tutti i suoi colleghi hanno fatto lo stesso. Segretamente essi lavorano in sotterranei “danteschi” svolgendo il loro solito lavoro, stavolta però addirittura sono loro che pagano per poter lavorare, e allontanare lo spettro della morte. Con la benedizione del megadirettore, ormai decrepito e somigliante a John Tardy.

Infatti, questa forse è l'unica nota positiva che il death lascia: la possibilità che ci sia sempre un nuovo disco, perché se l'orrore è forte, la sua celebrazione lo è ancora di più, e la sua celebrazione è vita. Finché il death non muore, la morte non vince.

Così come il megadirettore, che non muore mai finché può nutrirsi della vita degli altri.

A cura del Dottore