Ras! Aan boord! (da "Endless sea")
Nel ‘400 e nel ‘500 furono gli
spagnoli e i portoghesi. Dal ‘700 in poi i britannici.
Ma nel ‘600 furono loro i
dominatori del commercio mondiale: gli olandesi.
Affrancatisi dalla dominazione
spagnola attraverso la devastante Guerra degli ottant’anni, la Repubblica delle Sette Province
Unite (i futuri Paesi Bassi) si distinse nel XVII sec. per l'abilità dei suoi navigatori, il dinamismo commerciale e la conseguente ricchezza acquisita.
E la ricchezza, si sa, genera a
cascata benefici in ogni campo della società: dalla scienza alle arti, dalla
cultura al sorgere di una coscienza comune, decisiva per la costruzione di
una Nazione.
Fu questo il periodo in cui
passarono alla Storia diversi ingegni olandesi: il giurista Grozio, il
matematico Christiaan Huygens (inventore dell’orologio a pendolo) e soprattutto
i pittori Vermeer (autore del celebre quadro Ragazza col turbante) e
Rembrandt, che di certo non ha bisogno di presentazioni.
Ma Metal Mirror non vuole farvi
una lezione di Storia. E’ nostra intenzione invece trasportarvi nell’universo
musicale unico e magico creato dalla coppia artistica più famosa d’Olanda, la
divina Anneke e il menestrello Arjen, che hanno voluto celebrare, col
progetto The Gentle Storm e il disco “The diary” (2015), proprio questo Secolo
d’Oro olandese su descritto.
The Gentle Storm è un progetto particolare,
avvincente, rischioso. E quindi coraggioso. E’ il tentativo di trasporre in
musica, in una doppia veste sonora, la storia d’amore tra il marinaio Joseph e la moglie Susanne, coniugi dell’Amsterdam di metà XVII sec.
Sotto forma di epistole, verremo
trasportati in questo struggente racconto, di una coppia costretta a separarsi:
Joseph, per motivi commerciali, dovrà salpare verso le Indie orientali, in
cerca di ricchezza, mentre Susanne lo aspetterà, fremente e angosciata, in una
Amsterdam solare, ricca, dove principi e lords, abbracciano le case dei
mercanti nel Cuore di Amsterdam e dove gente fiera affolla i vicoli della
città, dove si respira la fresca e salata brezza marina ("Heart of Amsterdam").
Susanne, poco dopo la partenza del suo amato, scopre di essere incinta
(“The greatest love”); la gioia è infinita e va condivisa, sempre tramite
lettere, con il suo amore lontano.
Ma la tragedia è dietro l’angolo:
una viscida malattia comincia ad avvelenare il sangue della povera Susanne,
mentre la nave di Joseph, di ritorno dall’India, dovrà affrontare le onde in
tempesta dell’Oceano Indiano e doppiare il procelloso Capo di Buona Speranza
(“Cape of Storms”), dove in tanti della ciurma, a causa delle tempeste che infuriano in quei mari ("The storm"), perderanno la vita.
Joseph arriverà sano e salvo ad
Amsterdam, speranzoso di poter riabbracciare la sua dolce metà ("Brightest light") e il figlio appena nato, il piccolo Michiel (nome dato in onore di
un altro grande olandese del Secolo d’oro, l’Ammiraglio Michiel de Ruyter,
incubo della flotta inglese, allora in conflitto con quella orange).
Ma la preghiere di Susanne in “New
horizons” (I pray to see your shining eyes / before I reach for paradise /
heaven knows the skies will clear / I welcome eternity without fear) di
rivedere il marito non verranno ascoltate. Morirà prima del ritorno di
Joseph (“The final entry”) il quale, distrutto per la perdita dell’amata,
troverà conforto e prospettiva negli occhi del figlioletto: I see his
starry eyes / he heals my broken heart / through him you’ll always be by my
side.
Musicalmente che dire? Che
Lucassen, non si sa come cazzo faccia, non sbaglia mai. Ancora un colpo messo a
segno nella sua lunga sequenza di grandi album sotto diversi monicker (Star
One, Ambeon, Stream of Passion e ovviamente Ayreon). Anche la doppia veste con
cui ha ornato quest’opera, che a un primo fuggevole ascolto può sembrare
stucchevole, in realtà, col passare degli ascolti, acquista un senso compiuto e
coerente. Se la parte symphonic metal (la c.d. storm version), di per sé non
particolarmente innovativa ma sempre ispirata nelle soluzioni melodiche, è impreziosita dalle partiture di archi e fiati dei
“soliti” Ben Mathot e Jeroen Goossens, oltrechè dai pattern potenti e vari del
fidatissimo Ed Warby, è la parte unplugged/folk (la c.d. gentle version) che stupisce per raffinatezza e
gusto. Con essa veramente sembriamo essere trasportati dritti dritti ai tempi
di questo Rinascimento olandese, in balli di gala vorticosi, a braccetto con
raffinate dame ricoperte di pregiate stoffe e preziosi monili. Siamo di fronte
sicuramente a musica folk, ma in una forma lontana anni luce persino da quello che potrebbe venire immediatamente alla mente come termine di paragone,
cioè i Blackmore’s Night del capolavoro “Shadow of the moon” (1997). No, qua siamo davanti a qualcosa di diverso,
di più elegante e fine se vogliamo, per arrangiamenti e per la coerenza
stilistica dettata dal format concept scelto da Arjen.
E poi, con tutto il rispetto per la graziosa e validissima Candice Night, Anneke è un’altra cosa e in entrambe le versioni riesce a rendere magica ogni nota cantata, ogni passaggio in cui interviene la sua ugola. Come sempre, ogni cosa che tocca la trasforma in oro e più invecchia più è misurata e sotto le righe, segno di padronanza tecnica e maturità stilistica.
E poi, con tutto il rispetto per la graziosa e validissima Candice Night, Anneke è un’altra cosa e in entrambe le versioni riesce a rendere magica ogni nota cantata, ogni passaggio in cui interviene la sua ugola. Come sempre, ogni cosa che tocca la trasforma in oro e più invecchia più è misurata e sotto le righe, segno di padronanza tecnica e maturità stilistica.
Raffinata ricostruzione storica e passionale racconto privato. Omaggio al proprio Paese. Sfida artistica e potenziale colonna sonora. Tutto questo e di più è "The diary".
E allora Svelti! A bordo! Mollate gli ormeggi! Si parte con Anneke e Arjen...
Voto: 8
A cura di Morningrise