18 set 2017

MAGNUM, A.O.R. IN SALSA FANTASY



I 10 MIGLIORI ALBUM A.O.R.

CAPITOLO 7: MAGNUM - "ON A STORYTELLER'S NIGHT" (1985)


I metallari under 30, cresciuti nel revival power/symphonic metal, probabilmente lo conoscono solo come uno dei tanti guest singer del progetto Avantasia. Del resto il buon Sammet l’ha imbarcato fin dagli albori della pluridecorata "Metal Opera" (2001-02). E a vederlo poi anche dal vivo con la band tedesca, al Wacken o al Masters of Rock, potrebbero aver pensato: ma chi cazzo è quel piccolo nonnetto incanutito, alto un metro e una banana, senza neppure questa gran voce, che ripete alla nausea sempre gli stessi gesti con le mani manco avesse il Parkinson?

Ebbene, cari giovinotti, quel signore è uno dei più grandi cantanti rock britannici di sempre: Mr. Bob Catley!

Certo, vederlo adesso che ha 70 anni tondi tondi e non più l’ugola dei tempi d’oro può creare qualche perplessità, ma sicuramente Catley non è passato alla storia per qualche discreta canzone cantata per gli Avantasia. Alla storia del Rock ci passerà per le prestazioni superbe coi Magnum.

E così, come avevo anticipato nella nostra Anteprima, dopo ben 6 capitoli in cui abbiamo cercato di scandagliare diverse tipologie di sonorità AOR sul suolo statunitense, attraversiamo l’Oceano e andiamo in Inghilterra.

Fondati a inizio anni settanta da Catley con il fido chitarrista Tony Clarkin, i Magnum hanno avuto il loro periodo di massimo fulgore più o meno tra il 1982 e il 1988. E noi ci soffermiamo proprio a metà di questo periodo, nel 1985 anno di quello che considero il loro album migliore, il qui trattato "On A Storyteller's Night". 

Ammetetelo: a una prima occhiata, e senza focalizzarsi sul monicker, la copertina vi sarà parsa come quella di un potenziale disco a caso, passato o futuro, dei Blind Guardian. E invece correva l’anno 1985 (il Guardiano Cieco non aveva pubblicato neppure un disco) e l’accoppiata Catley-Clarkin incantava con sonorità che riprendevano la tradizione rock inglese per corroborarle con arrangiamenti maestosi e sfumature fantasy/folk. Risultato? Musica di grande respiro con atmosfere fatate, tanto da farci sostenere, con un paragone non troppo azzardato, che i Magnum stanno all’AOR come i Blind Guardian stanno al Metal.

Si parte alla grandissima e se rimarrete indifferenti all’accoppiata iniziale “How far Jerusalem” e “Just like an arrow” allora vorrà dire che il vostro cuore è di ghiaccio…due brani che saranno, anche nella dimensione live, il marchio indelebile della band da lì in avanti.
Le composizioni filano via una dietro l’altra senza che l’attenzione dell’ascoltatore si perda per un solo secondo, supportate da azzeccatissime linee melodiche, tra epici mid-tempo (da brividi la title track e l’epicissima “Le morts dansants”) e ritmiche più sostenute come “Before first light” e “Two hearts”. L’accoppiata finale “All England’s eyes” e “The last dance” suggellano quello che è senza dubbio uno dei picchi qualitativi dei Magnum.

Vero è che Clarkin è l’autore di tutti i brani, ma, al di là del prezioso apporto di Mark Stanway alle tastiere, il traguardo non sarebbe stato raggiunto senza la prestazione da urlo di Catley, le cui corde vocali donano ad ognuno dei dieci brani un’espressività sempre diversa: ora fatata, ora malinconica, ora aggressiva.

La band britannica saprà ripetersi anche con i successivi “Vigilante” (1986) e “Wings of heaven” (1988). Anzi, per molta critica quest’ultimo è persino superiore a “On a storyteller’s night”, forse perché godette di una produzione più scintillante (e anche più patinata, aggiungerei…). Personalmente preferisco OASN, proprio perchè più genuinamente rock e maggiormente epico, in relazione al genere ovviamente.

Di certo possiamo dire che questo trittico di dischi rappresenterà l’apice di un certo rock inglese, quel rock pomposo, che senza dubbia era album e radio oriented, ma non disdegnava una complessità di songwriting data dalle potenti sfumature fantasy e magiche.

Dagli inizi anni novanta in poi i Magnum si daranno a sonorità di stampo americano, sicuramente meno adatte alle corde compositive del gruppo e all’ugola di Catley, tanto da portare di li a breve a un temporaneo scioglimento della band.

Poco male comunque: il lascito per il rock degli anni ottanta era stato ormai depositato e Catley si era già imposto come un punto di riferimento per tutti i cantanti rock a venire.

Si, care giovani generazioni…proprio lui…proprio quel nonnetto che avete visto sul palco a fare la comparsa accanto al giovane Sammet…

A cura di Morningrise