28 ott 2017

WINTERSUN: LA NON-RECENSIONE DI "THE FOREST SEASONS"



Purtroppo s'invecchia, ce ne accorgiamo sempre tardi e quando succede non lo vogliamo accettare. E' difficile invecchiare per un metallaro: per anni ti aggiorni costantemente, leggi riviste, compri dischi come se te lo ordinasse il dottore, come se fosse un dovere morale conoscere anche il più remoto ed insignificante anfratto del Reame del Metallo. Poi però con il trascorrere del tempo inizi a perdere interesse per le nuove uscite, a diradare gli acquisti, a disertare i festival estivi. Ed un giorno ti rendi conto che ascolti le stesse band da vent'anni e che ragioni con categorie di pensiero vecchie di venti anni.

Per questo di tanto in tanto è necessario  immergersi nel "Nuovo": io l'ho fatto con i Wintersun e la loro ultima fatica discografica "The Forest Seasons".


"Nuovi" per modo di dire, visto che i finlandesi sono a giro dal 2004 e che con "The Forest Seasons" approdano al terzo appuntamento discografico con uno zoccolo di ammiratori oggi assai nutrito. Ma è indubbio che essi siano portatori di una freschezza che è tipica di chi odora di ultima generazione. Per comprendere di cosa parlo andrebbe  riletta l'introduzione delle rubrica "Legno": capiremmo così quanto effettivamente non siano di legno i Wintersun.

Parto da un aneddoto che reputo illuminante. Tempo fa è stata assunta nella mia azienda una ragazza finlandese (classe 1991): classica vitellona del nord che tende a vestirsi di nero sebbene non sia necessariamente una patita di gothic metal. Però uno ci prova sempre, quindi il metallaro setta puntualmente il "Google Maps della geografia metallica" alla ricerca di argomenti (sbagliando a priori perché basterebbe esordire dicendo che non esistono più le mezze stagioni). Ahimè, quando si parla di Finlandia si parte sempre con gli Impaled Nazarene, gruppo storico di quell'area, anche se è chiaro che parlare di nazareni impalati non è il miglior modo per approcciarsi ad una "signora". Tagliando corto, come prevedibile, nonostante le apparenze, la tizia non era una metallara, ma come ogni giovane di oggi, a suon di YouTube, Spotify e playlist, anch'essa aveva delle nozioni sull'argomento, fra cui Nightwish (ma certo! Come non averci pensato subito?!?) e...Wintersun!

Si, i Wintersun. E qui capiamo che la band, nata come side-project di Jari Mäenpää degli Ensiferum (dai quali successivamente si sarebbe scollegato per dedicarsi a tempo pieno a questo suo nuovo progetto), è ben più di una delle tante realtà che popolano il sottobosco del metal estremo odierno. I Wintersun sono semplicemente cool e sanno come bucare lo schermo, conquistare il cuore di un vasto panorama di metal kid e di “anziani” ancora vogliosi di confrontarsi con sonorità estreme all’ultimo grido.

Gli hanno appiccicato addosso l'etichetta di "melodic death metal", e certo la continuità con la band madre è evidente, ma basta dare un ascolto alla loro musica per rendersi conto che il mondo dei Wintersun è qualcosa di più ampio e composito. I finlandesi infatti si pongono come punto di arrivo di un tradizione "metallica estrema scandinava" lunga almeno venti anni.

Si parte ovviamente dalla Svezia e dai primi Dark Tranquillity ed In Flames, rintracciabili nello screaming, nelle melodie delle chitarre, nell'amore per l'heavy metal classico e negli umori "boschivi" e folkish. Ma anche i defunti Dissection emergono come un punto di riferimento evidente, visto che il black metal melodico non è una componente secondaria per i Nostri (sebbene esso venga irrorato di umori epic-fantasy che ne mitigano il gelo e le asperità). Non a caso è presentissimo il filone viking nell'uso copioso dei cori e in certe estrinsecazioni di sensibilità nordica. Al tempo stesso non si disdegna la forza d'urto di band più death metal come gli Amon Amarth. Della Norvegia, invece, i Nostri scippano l'eleganza e il piglio sinfonico dei vari Emperor, Arcturus e Dimmu Borgir. Della loro terra natia, infine, possiamo rintracciare l'eredità dei Children of Bodom (con quel fare un po' lezioso che è tipico di certe realtà meno affossanti della Finlandia), ma soprattutto le baldorie sonore di Finntroll e di Ensiferum, che alla fine della fiera rimangono il riferimento principale. Come se non vi fosse abbastanza carne al fuoco, nel calderone troviamo anche epic metal, power metal e prog metal nei passaggi più elaborati.

Ispirazione, freschezza ed energie creative colate in uno stampo di quattro lunghe tracce che vanno a rappresentare inevitabilmente le quattro stagioni (o "mezze stagioni").

Senza scendere nei dettagli, potremmo aggiungere che non si tratta di "quattro papponi" in cui "succede di tutto" indistintamente. Forse questa caratteristica è propria delle prime due tracce, le ottime "Awaken from the Dark Slumber (Spring)" e "The Forest that Weeps (Summer)”: vivaci, dinamiche, a tratti persino solari, scandite da fieri tempi medi e che in modo fluido permettono agli eccelsi musicisti ed alla voce versatile di Mäenpää (fra screaming, growl, vocalità pulite e suggestive narrazioni) di esprimersi liberamente dispensando emozioni a profusione e senza mai indugiare in passaggi superflui o di inutile collegamento.

Le cose cambiano con la seconda metà dell'album, dove ci imbattiamo nella ferocissima "Eternal Darkness (Autumn)", decisamente prossima a territori black metal, fra blast-beat persistente e un gusto melodico sopraffino che non viene mai meno. L'interruzione brusca ed improvvisa del brano, dopo un quarto d'ora di grande tensione, si consegna alle nostre orecchie e ai nostri cuori come l'apice emotivo dell'intera opera. Dal "silenzio stordente" emergono le note glaciali della conclusiva "Loneliness (Winter)": un incipit di pura poesia che costituisce un altro highlight del disco e che conduce al brano più intenso del lotto, pervaso da umori decadenti e voci pulite.

Quello che tuttavia è importante sottolineare è che i Nostri con "The Forest Seasons" confezionano il disco perfetto di questi anni. Scrivere brani così lunghi e non annoiare un istante non è semplice e nemmeno agli Opeth (Sua Maestà Akerfeldt non me ne voglia) questo riesce così bene. Gli Opeth, del resto, appartengono alla generazione precedente, che giocoforza deve pagare dazio alle farraginosità della vecchia scuola (i fangosi Morbid Angel su tutti). I Wintersun invece fanno un ulteriore passetto avanti, non inventando, non contaminando, ma rimuovendo sul nascere tutte le minacce di prolissità e cercando di rendere ogni singolo istante eccitante e l'insieme estremamente scorrevole.

In altre parole, i Wintersun portano a compimento un processo che investe il metal da innumerevoli anni. Le nostre due rassegne sul metal degli anni novanta esemplificano questo processo, che si è avviato a partire dalla crisi dei cliché del metal classico. Da un lato quel pugno di band che sconvolsero il metal, ossia che lo salvarono contaminandolo con sonorità "altre" e conducendolo verso nuovi orizzonti; dall'altro coloro che compirono i loro esperimenti all'interno del metal, introducendo nuovi stilemi senza scardinare i vecchi schemi. I Wintersun appartengono sicuramente a questo secondo filone: band che hanno perseguito una via evolutiva che non ha comportato strappi violenti con il passato.

I Wintersun, davvero, hanno le carte per piacere a tutti, belli & brutti. Tagliato fuori da questo coro di consensi, semmai, è chi proprio non riesce a digerire il growl e le sonorità estreme (ma ancora si ragionerà con queste categorie? - io non credo), o chi non è amante della perfezione: ossia chi nel metal cerca disagio vero, sgraziati guizzi "autoriali", istanze sociologiche. Chi, in definitiva, rifugge maschere, pose, sentimenti artefatti o atmosfere non aderenti alla realtà.

Il mondo è cambiato, per certi aspetti imbruttito, ma questi giovani che ci sono nati hanno anche gli anticorpi per sconfiggerle, queste brutture. Noi delle generazioni precedenti che siamo nati e cresciuti nell'opulenza e nelle sicurezze, con un sogno di benessere e stabilità, potevamo permetterci di distrarci con le battaglie per borghesi annoiati di Sepultura e Rage Against the Machine. I giovani d'oggi, che nella crisi si muovono decisamente meglio di noi, almeno sul piano dell'intrattenimento vogliono sognare. Ed allora lasciamoli sognare. E già che ci siamo sogniamo anche noi con "The Forest Seasons": quello che si candida ad essere non solo il miglior album di metal estremo dell'anno, ma anche il punto di arrivo di un metal che difficilmente può esprimere una maturità ed una consapevolezza maggiormente compiute.

Chapeau