Purtroppo
s'invecchia, ce ne accorgiamo sempre tardi e quando succede non lo vogliamo
accettare. E' difficile invecchiare
per un metallaro: per anni ti aggiorni costantemente, leggi riviste,
compri dischi come se te lo ordinasse il dottore, come se fosse un dovere
morale conoscere anche il più remoto ed insignificante anfratto del Reame del Metallo. Poi però con il
trascorrere del tempo inizi a perdere interesse per le nuove uscite, a diradare
gli acquisti, a disertare i festival estivi.
Ed un giorno ti rendi conto che ascolti le stesse band da vent'anni e che
ragioni con categorie di pensiero vecchie di venti anni.
Per
questo di tanto in tanto è necessario immergersi nel "Nuovo": io l'ho fatto con i Wintersun
e la loro ultima fatica discografica "The Forest Seasons".
"Nuovi"
per modo di dire, visto che i finlandesi sono a giro dal 2004 e che con
"The Forest Seasons" approdano al terzo appuntamento discografico
con uno zoccolo di ammiratori oggi assai nutrito. Ma è indubbio che essi siano
portatori di una freschezza
che è tipica di chi odora di ultima
generazione. Per comprendere di cosa parlo andrebbe riletta
l'introduzione delle rubrica "Legno": capiremmo così quanto
effettivamente non siano di legno i
Wintersun.
Parto
da un aneddoto che reputo illuminante. Tempo fa è stata assunta nella mia
azienda una ragazza finlandese (classe 1991): classica vitellona del nord che tende a vestirsi di nero sebbene non sia
necessariamente una patita di gothic metal. Però uno ci prova sempre, quindi il
metallaro setta puntualmente il "Google
Maps della geografia metallica" alla ricerca di argomenti (sbagliando a
priori perché basterebbe esordire dicendo che non esistono più le mezze stagioni).
Ahimè, quando si parla di Finlandia si parte sempre con gli Impaled
Nazarene, gruppo storico di quell'area, anche se è chiaro che parlare di nazareni impalati non è il miglior modo
per approcciarsi ad una "signora". Tagliando corto, come prevedibile,
nonostante le apparenze, la tizia non era una metallara, ma come ogni giovane
di oggi, a suon di YouTube, Spotify e playlist,
anch'essa aveva delle nozioni sull'argomento, fra cui Nightwish (ma certo! Come non averci pensato subito?!?)
e...Wintersun!
Si,
i Wintersun. E qui capiamo che la band, nata come side-project di Jari Mäenpää degli Ensiferum (dai
quali successivamente si sarebbe scollegato per dedicarsi a tempo pieno a
questo suo nuovo progetto), è ben più di una delle tante realtà che popolano il
sottobosco del metal estremo odierno. I Wintersun sono semplicemente cool e sanno come bucare lo schermo, conquistare il cuore di un
vasto panorama di metal kid e di “anziani”
ancora vogliosi di confrontarsi con sonorità estreme all’ultimo grido.
Gli
hanno appiccicato addosso l'etichetta di "melodic death metal",
e certo la continuità con la band madre è evidente, ma basta dare un ascolto
alla loro musica per rendersi conto che il mondo dei Wintersun è qualcosa di
più ampio e composito. I finlandesi infatti si pongono come punto di
arrivo di un tradizione "metallica estrema scandinava" lunga
almeno venti anni.
Si
parte ovviamente dalla Svezia e dai primi Dark Tranquillity ed In
Flames, rintracciabili nello screaming,
nelle melodie delle chitarre, nell'amore per l'heavy metal
classico e negli umori "boschivi" e folkish. Ma
anche i defunti Dissection emergono come un punto di riferimento
evidente, visto che il black metal melodico non è una componente
secondaria per i Nostri (sebbene esso venga irrorato di umori epic-fantasy che ne mitigano il gelo e le
asperità). Non a caso è presentissimo il filone viking nell'uso copioso
dei cori e in certe estrinsecazioni di sensibilità nordica. Al tempo stesso non
si disdegna la forza d'urto di band più death metal come gli Amon
Amarth. Della Norvegia, invece, i Nostri scippano l'eleganza e il piglio
sinfonico dei vari Emperor, Arcturus e Dimmu Borgir. Della
loro terra natia, infine, possiamo rintracciare l'eredità dei Children of
Bodom (con quel fare un po' lezioso che è tipico di certe realtà meno
affossanti della Finlandia), ma soprattutto le baldorie sonore di Finntroll
e di Ensiferum, che alla fine della fiera rimangono il riferimento
principale. Come se non vi fosse abbastanza carne al fuoco, nel calderone
troviamo anche epic metal, power metal e prog metal nei
passaggi più elaborati.
Ispirazione,
freschezza ed energie creative colate in uno stampo di quattro lunghe tracce
che vanno a rappresentare inevitabilmente le quattro stagioni (o
"mezze stagioni").
Senza
scendere nei dettagli, potremmo aggiungere che non si tratta di "quattro
papponi" in cui "succede di tutto" indistintamente. Forse questa
caratteristica è propria delle prime due tracce, le ottime "Awaken from
the Dark Slumber (Spring)" e "The Forest that Weeps (Summer)”:
vivaci, dinamiche, a tratti persino solari, scandite da fieri tempi medi e che
in modo fluido permettono agli eccelsi musicisti ed alla voce versatile di
Mäenpää (fra screaming, growl, vocalità pulite e suggestive
narrazioni) di esprimersi liberamente dispensando emozioni a profusione e senza
mai indugiare in passaggi superflui o di inutile collegamento.
Le
cose cambiano con la seconda metà dell'album, dove ci imbattiamo nella
ferocissima "Eternal Darkness (Autumn)", decisamente prossima
a territori black metal, fra blast-beat
persistente e un gusto melodico sopraffino che non viene mai meno.
L'interruzione brusca ed improvvisa del brano, dopo un quarto d'ora di grande
tensione, si consegna alle nostre orecchie e ai nostri cuori come l'apice
emotivo dell'intera opera. Dal "silenzio stordente" emergono le note
glaciali della conclusiva "Loneliness (Winter)": un incipit di
pura poesia che costituisce un altro highlight
del disco e che conduce al brano più intenso del lotto, pervaso da umori
decadenti e voci pulite.
Quello
che tuttavia è importante sottolineare è che i Nostri con "The Forest
Seasons" confezionano il disco perfetto di questi anni. Scrivere
brani così lunghi e non annoiare un istante non è semplice e nemmeno agli Opeth (Sua Maestà Akerfeldt
non me ne voglia) questo riesce così bene. Gli Opeth, del resto, appartengono
alla generazione precedente, che giocoforza deve pagare dazio alle
farraginosità della vecchia scuola (i fangosi Morbid Angel su tutti). I
Wintersun invece fanno un ulteriore passetto avanti, non inventando, non
contaminando, ma rimuovendo sul nascere tutte le minacce di
prolissità e cercando di rendere ogni singolo istante eccitante e l'insieme
estremamente scorrevole.
In
altre parole, i Wintersun portano a compimento un processo che investe
il metal da innumerevoli anni. Le nostre due rassegne sul metal degli anni
novanta esemplificano questo processo, che si è avviato a partire dalla crisi
dei cliché del metal classico. Da un
lato quel pugno di band che sconvolsero il metal, ossia che lo salvarono
contaminandolo con sonorità "altre" e conducendolo verso nuovi
orizzonti; dall'altro coloro che compirono i loro esperimenti all'interno del metal, introducendo nuovi stilemi senza scardinare i vecchi schemi. I
Wintersun appartengono sicuramente a questo secondo filone: band che hanno
perseguito una via evolutiva che non ha comportato strappi violenti con il
passato.
I
Wintersun, davvero, hanno le carte per piacere a tutti, belli & brutti. Tagliato fuori da questo coro di consensi, semmai, è
chi proprio non riesce a digerire il growl
e le sonorità estreme (ma ancora si ragionerà con queste categorie? - io non
credo), o chi non è amante della perfezione: ossia chi nel metal cerca disagio
vero, sgraziati guizzi "autoriali", istanze sociologiche. Chi, in definitiva, rifugge maschere, pose, sentimenti
artefatti o atmosfere non aderenti alla realtà.
Il
mondo è cambiato, per certi aspetti imbruttito, ma questi giovani che ci sono
nati hanno anche gli anticorpi per sconfiggerle, queste brutture. Noi delle
generazioni precedenti che siamo nati e cresciuti nell'opulenza e nelle
sicurezze, con un sogno di benessere e stabilità, potevamo permetterci di
distrarci con le battaglie per borghesi
annoiati di Sepultura e Rage Against the Machine. I giovani
d'oggi, che nella crisi si muovono decisamente meglio di noi, almeno sul piano
dell'intrattenimento vogliono sognare. Ed allora lasciamoli sognare. E già che
ci siamo sogniamo anche noi con "The Forest Seasons": quello che si
candida ad essere non solo il miglior album di metal estremo dell'anno,
ma anche il punto di arrivo di un metal che difficilmente può esprimere una
maturità ed una consapevolezza maggiormente compiute.
Chapeau