3 nov 2017

LEGNO VII: MISCREANT


Stoccolma VS Goteborg. Est contro ovest. Death contro melo-death. Spesso il sensazionale fenomeno dello swedish death metal viene ridotto a una differenza di stile e approccio delle band appartenenti alle due città più grandi della Svezia.

La realtà della scena death svedese in realtà è stata molto più complessa. E a breve, sulle "pagine" di Metal Mirror ne avrete un quadro esaustivo, con una completa retrospettiva che la coprirà dalla genesi fino al suo zenit.

Chi conosce a fondo il movimento death svedese, appunto, sa che esso ha avuto fondamentali diramazioni anche in tantissime altre città, cittadine e persino piccoli paesi della Svezia. Solo per rimanere nella zona orientale del paese, quella della capitale, ne possiamo citare almeno cinque: Uppsala, Nykoping, Fagersta, Eskilstuna. E Vasteras. Da quest’ultima provenivano i Miscreant

Uscito nel 1994, “Dreaming Ice”, debut e unico full lenght della loro carriera, sembrava avere tutto per sfondare e offrire un futuro radioso ai 5 kids di Vasteras: titolo suggestivo, copertina affascinante, ottima tecnica di base, un cantante non fenomenale ma molto versatile come Johnny Wranning. E, elemento fondamentale, l’appoggio di un’etichetta, la Wrong Again Rec., che seppur nata da pochissimo, vantava un rooster di formazioni svedesi notevolissime e dal potenziale enorme (tra gli altri, Eucharist, i primi In Flames e gli Spiritual Beggars di Michael Amott).

Io conobbi i Miscreant come al solito tramite Metal Hammer che a questo “Dreaming Ice” dava il massimo dei voti. E siccome all’epoca fagocitavo ogni uscita di death svedese, pensavo di andare in contro all’ennesimo disco da consumare  nel lettore cd.

Si sentiva subito, alla prima passata: i Miscreant non erano uguali a nessuno dei gruppi che stavano emergendo dal calderone death svedese. Ma erano…diciamo così…un po’ di tutto. E di tutti, un po’. Senza scopiazzature beninteso. Ma, come abbiamo già espresso nella nostra illuminante anteprima, tali da farti dire senza ombra di dubbio: questi qua sono legnosi!

Il dischetto lo consumai comunque, quello sì. Cercavo di auto-convicermi di essere di fronte a un cazzo di capolavoro. Di farmi stregare a prescindere dall’elaboratissimo sound dei Nostri. E di poter inserire i Miscreant nel novero delle top band del genere (del resto avevo appena speso il mio budget mensile per i CD per comprarmi “Dreaming Ice”!!).

E invece no. Dalle prime note di “Ashes” qualcosa non mi ha convinto. Ero pervaso da una strisciante sensazione di tedio. Di legnosità, appunto.  Eppure il songwriting dei Miscreant è, sulla “carta”, tutto fuorchè legnoso: miriadi di cambi di tempo, parti tiratissime e momenti cadenzati, aperture melodiche e struggenti arpeggi in clean. Basta così? Nient'affatto: contrappunti di tastiera (ad opera dell’ottimo bassista Magnus Ek), strani tribalismi percussionistici (“Naked”) fino a piacevoli reminiscenze celticfrostiane. Il tutto filtrato attraverso una propensione, e un modus operandi, tipicamente progressive. E poi Wranning che passava quasi senza soluzione di continuità da un growl cavernoso a strilli acutissimi fino a pulite recitazioni.

Ma forse è proprio questo il punto: troppa carne al fuoco. E troppa dispersività. L’album, che sfiora i 55’, lascia disorientati. Ed estenuati. E, diciamolo, qualche sbadiglio non può non scappare. Sensazioni finali tipiche di una band legnosa. Almeno i Dismember (altro gruppo death svedese che potrebbe star tranquillamente dentro la nostra Rubrica) all’epoca sfornavano dischi di poco oltre la mezz’ora…

Sarà che nei momenti di maggior ispirazione, dove davvero il sound dei Miscreant riesce a “bucare” testa, cuore e pancia dell’ascoltatore, il brano di turno giustappone senza un senso una parte legnosissima. Vedasi tracks come “Forever not to be”, “Inside the sadness – part II” o la conclusiva, bellissima, “Without grace”. In ognuna di queste ci sono momenti di meraviglioso e originale melo-death, infiacchito e rovinato subito dopo da canoniche partiture death che non c'azzeccano ‘na mazza. Andando a rovinare quanto di buono fatto pochi secondi prima.

Rimane l’amaro in bocca di non aver avuto un seguito per "Dreaming Ice". Un secondo album che, probabilmente, potendo contare sulla maggiore esperienza, gli sarebbe stato superiore e avrebbe potuto evidenziare una proposta più centrata, e quindi più fruibile. I Miscreant scomparsero nel nulla. Del talentuoso Peter Kim, chitarrista e principale compositore, si persero le tracce. Wranning passò ai vichinghi Manegarm (limitandosi però a cantare solamente su un loro demo). E gli altri tentarono maggior fortuna saltando sul carro della rinascita power fondando gli scialbi Axenstar…aggiungendo di fatto legno ad altro legno...

Del resto siamo pur sempre in Svezia...patria dell'Ikea...

A cura di Morningrise