19 mar 2018

I MIGLIORI 10 ALBUM LIVE DEL METAL - "NO SLEEP 'TIL HAMMERSMITH" (MOTORHEAD)



Capitolo 2: "NO SLEEP 'TIL HAMMERSMITH" (1981)

Se il metal industriale non è iniziato con l’era “elettronica”, quello operaio dell'era siderurgica inizia molto prima. Protagonista di quest'era è la risonanza metallica, volutamente esasperata dai gruppi metal come cifra di distinzione dal panorama rock generico, quale elemento di voluto disturbo acustico. Le chitarre fanno il verso alle segherie, ai motori dei camion, al clangore delle catene che issano o calano dei pesi, alle presse, al treno che stride contro le rotaie.

"Black metal" dei Venom, contemporaneo, inizia proprio con uno di questi suoni. Quasi un avvertimento cacofonico per respingere le orecchie abituate alla patina del pop. A rendere metal il suono grezzo sono due elementi, che lo collocano fuori dal punk: la marzialità e la corposità.

L'epoca siderurgica del metal finirà più o meno quando prevarrà il gusto per la distorsione tipo wha wha, che è come la differenza tra l'olio ferrigno e l'olio piccante.

I Motorhead fanno del rock grezzo e metallizzato: per questo all’epoca da alcuni erano classificati addirittura come thrash-metal. La struttura dei brani era tuttavia minimale, la vivacità era quella del rock, i temi lirici pure. Il rock dei Motorhead è giocato sui tempi medi, quasi doomeggiante a tratti. Il sentimento che pervade il disco è di pessimismo, di fierezza e di sconfitta, come emblematicamente indicato dal motto “Born to lose – live to win”, di derivazione motociclistica.

Liricamente parlando, i Motorhead sembrano una presa per il culo a Salvatore Quasimodo, quando puntava il dito contro la degenerazione dell’uomo moderno, alla guida delle sue macchine di morte. Quasimodo dice all’uomo: Ti ho visto uomo del mio tempo: eri nella carlinga, ovvero la pancia dell’aereo che ospita l’abitacolo. I Motorhead piazzano lo scheletro del bombadiere a protezione e benedizione del loro palco, celebrando l’uomo macchina e la sua prorompenza. Un'attitudine anti-progressista, anti-pacifista, un sentimento da veterano degenerato, come appunto spesso erano i primi motociclisti fuorilegge.

L’elemento metallico industriale si arricchisce di quello bellico. Metallo di bombe, di carcasse di aerei e tank, di proiettili. L’era dell’acciaio e delle metropoli che issano monumenti a se stesse, tutti uguali, per rincorrere sogni di altezza. Un incubo da cui il motociclista fugge alla ricerca invece dello spazio vitale intorno a se. E scegliendo di dominare l’acciaio da sopra la sella, e non di esserne dominato in gabbie di soffitti, piloni e binari.
La scenografia di Hammersmith proponeva la riproduzione di uno scheletro di bombadiere su cui era montato un impianto-luci, e che era in grado di muoversi, un po' come un dispositivo da giostra di luna park. All'epoca queste trovate andavano, come anche per esempio la batteria rotante di Tommy Lee dei Motley Crue. Le scenografie e le copertine dei Motorhead continuarono a richiamare totem metallici: la ferraglia che ricopre la faccia da cinghiale Snaggletooth, il treno di "Orgasmatron", Il pugno di ferro.

"No Sleep 'til Hammersmith" si colloca come ideale punto di mezzo tra due altri live. Uno, "Blitzkrieg on Birmingham 77", copertina con foto della stessa scenografia. Registrato coi piedi da un microfono che sembra dietro al palco, contiene però brani simpatici che non compaiono spesso nelle raccolte, come "Vibrator". Penso che il proprietario del negozio di dischi dove lo comprai, per 18,000 lire dell'epoca, abbia passato serate a raccontare agli amici che se ne era sbarazzato. All'epoca (1988) era uscito “No Sleep at All”, il live successivo ad Hammersmith (1981), liquidato con un voto di sufficienza sulle riviste specializzate, e indicato come perdente al confronto con l'altro. Per questo scelsi di prendere il live dell'81, e solo anni dopo ebbi il coraggio di verificare se quello dell'88 era effettivamente più scarso. Lo era, peccato per alcuni brani veramente tronfi e pesanti, che però pur con una registrazione anche più curata, non rendevano in termini di dinamismo.

L'alternanza di brani lenti e cadenzati come "Iron Horse" e altri spediti. Ci si riposa senza fermarsi, si trova tempo per una filosofia di strada che unisce la libertà della velocità (la moto) e la goffa pesantezza della vita che ci si porta dietro (sempre la moto, metaforicamente). Il cavallo di ferro si trasfigura a tratti in un tank, e a tratti in un missile, proprio come in quei cartoni animali di robot componibili, tipo Gundam, che poteva cambiare conformazione a seconda delle esigenze della lotta (Gun-Cannon, Gun-Tank etc).

Funziona l'idea di interpolare brani corali, con altri ipnotici, che sono forse il punto di contatto stilistico maggiore tra i Motorhead e il metal classico, come "Capricorn" e "Metropolis".

Ci sono due classici nati per stare lì dove sono piazzati: "Ace of spades" in apertura, e "Bomber" in coda. In origine anche "Overkill" era l'apertura del lato B, effetto psicologico perduto nell'era post-vinile. Unico neo, è che ogni gruppo ha una sua canzone-feticcio, che non sempre è irresistibile, ma non viene risparmiata in sede live. Nel caso specifico è “Motorhead”. Ho comprato diverse raccolte dei Motorhead, senza mai aver la soddisfazione di non trovarla in scaletta. Ritornello veramente insulso “Motorhead, remember me now Motorhead, alright”. Eppure, vuoi perché è il primo pezzo in assoluto nella loro storia, è preferito ad altri come bis di chiusura.

E' curioso come questo disco, e questa era dei Motorhead, sia comunque quella di un gruppo giovane, giustamente arrogante, che chiedeva al pubblico di “memorizzare” il proprio nome (Ora ricordaci, siamo i Motorhead). Con sempre maggiore malinconia di fondo, la frase di saluto di Lemmy diverrà del tempo: Siamo i Motorhead – non ci dimenticate.

A cura del Dottore

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