18 mar 2019

DIARY OF DREAMS




È la verità! Questi anni scorrono veloci e in fretta, tanto da non rendersi conto di quante cose ci passano di fronte. Quanti dischi analizzati, ascoltati e apprezzati più tardi, quanti compagni di viaggio; oggi guardo il mare con uno strano sapore di amaro in bocca perchè mi rendo conto che mi dispiace non aver tenuto un diario che accompagnasse la mia vita

Nel 1992 ero in un grande giardino a correre e ad ascoltare i Deicide, mentre iniziavo a farmi slacciare le cinture dalle ragazze senza pudore. Ascoltavo i Manowar al pomeriggio e in bicicletta urlavo come Eric Adams; poi sono inciampato in un sasso e finito in un fosso pieno d’acqua gialla e così passai ai Deicide.

Nel 1995 telefonai ad un mio amico per capire quanto erano stronze le ragazze, non volle sapere di quel discorso perché era innamorato e così chiusi quella conversazione: “Scusami sono troppo depresso per parlare!”. Approfondii il doom, già ne ero stato rapito, ma con “The Angel and the dark River” dei My Dying Bride la mia stanza divenne silenziosa. Le pareti erano malleabili come il mio cuore pulsante, ero diventato romantico: mentre tutti erano sbracati per terra a fumare le canne, io sognavo e toccavo tette. 

Nel 1996 passai un ultimo dell’anno tristissimo, senza avere una corretta rappresentazione di me. 

Poi tutto cambiò: “Suddenly life has new meaning” in una camera assolata grazie a “Filosofem” che fece irruzione nella mia vita gracchiante. Ricordo che mi divertivo molto con i Therion, mi appassionavo alla musica sinfonica e alle more. Saggio una volta tanto, facevo foto e documentavo tutto. Scrivevo dentro un ufficio, da solo cercavo il profugo nella mia anima. 

Nel 1997 andai a una festa dove tutti bevevano troppa vodka in troppo poco tempo, ballavano e tentavano di palpeggiarsi ascoltando i Soundgarden. Vidi vomitare solo una persona: la mia ragazza sui suoi pantaloni bianchi. Sulla tendina della camera da letto dove mi appartai con lei e il suo puzzo di vomito, mi sembrava di vedere delle ombre oltre le tendine che assomigliavano ad Abbath. Arrivando a casa mi addormentai con persone che si dissolvevano nel sonno,  apprezzando “At the Heart of Winter”. 

Nel 2001 sentii un gran rumore mentre rientravo a casa, andai a pisciare dietro un albero e mi accorsi che il rumore era la mia macchina distrutta, mentre cantavo i Rammstein. In quella estate finii tanti litri di gin lemon chiuso in una macchina sotto un ponte prima di andare a spingermi in un locale dove chiedevo sempre le stesse canzoni al Dj, ma il giorno dormivo malaticcio su un lettino in spiaggia con le orecchie che ronzavano i System of a Dawn

Nel 2005 restai a casa a leggere la Bibbia. Non è vero, ma andavo al cinema e conoscevo le persone, leggevo i libri ascoltando “Octavarium”, che non apprezzavo per niente. 
Pensavo di avere un tumore, lo percepivo dentro me, magari lo avrò ma in quel momento rappresentavo ansie fuori di me. Le ragazze avevano deciso che avevo l’alito cattivo, ma non mi mancavano i contatti fisici e più volte sono restato nudo con i Tiamat

Se qualcuno aveva i miei stessi gusti musicali era necessariamente gobba e con la faccia cadaverica o allungata, perciò potevo raccontare pagine di letteratura a chiunque senza curarmi della loro veridicità.

Nel 2007 correvo a sposarmi in ritardo; poi lessi “Viaggio al termine della notte” e mi colpì quello che scriveva Louis-Ferdinand Céline: “Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario: ecco la sua forza, va dalla vita alla morte. Uomini, bestie, città e cose: è tutto inventato”.

Forse solo adesso a quarant’anni ne ho capito il senso più profondo.