2 mar 2019

I MIGLIORI EP DEL METAL - HELLHAMMER: "APOCALYPTIC RAIDS" (1984)



Ho sempre avuto il debole per i precursori. In particolare se si parla di Estremo: sono da sempre attratto in maniera morbosa da coloro che hanno saputo precorrere i tempi, aprendo nuove strade, alzando l’asticella di quello che è consentito fare secondo il comune sentire. 

Quanto ad oscurità, il black metal è il genere oscuro per eccellenza, e fra le preferenze di coloro che faranno grande il movimento (Darkthrone in primis) ricorre spesso il nome degli Hellhammer. Un’eredità, quella dell'ensamble elvetico, scaturita da una produzione discografica davvero risicata: tre demo e l’EP “Apocalyptic Raids”, dopo il quale la band, vessata dalle critiche negative, si sarebbe sciolta. 

E' storia nota: dalle ceneri degli Hellhammer sarebbero scaturiti gli altrettanto seminali Celtic Frost, progetto ben più fortunato e che avrebbe permesso al genio artistico di Thomas Gabriel Fischer (in arte Tom G. Warrior) di continuare ad esprimersi. 

C’è una continuità evidente fra il materiale rilasciato sotto il nome Hellhammer e le primissime pubblicazioni dei Celtic Frost, come se in realtà il buon Fisher e il sodale Martin E. Ain, più che cambiare direzione artistica, avessero voluto lasciarsi alle spalle la cattiva nomea associata al progetto precedente. Certo i Nostri non brillavano per le capacità tecniche (vennero definiti la band più inascoltabile del mondo), ma la missione artistica c’era ed era chiara: suonare il metal più estremo possibile. E come spesso capita alle band seminali che giocano in forte anticipo rispetto agli altri, gli Hellhammer non sarebbero stati capiti, per poi essere rivalutati in seguito alla stregua di una autentica band di culto. 

Spiace sempre ricordarlo, ma determinante fu l'influenza dei pessimi Venom. Furono infatti le gesta del trio di Newcastle a folgorare sulla via di Damasco il buon Fisher, il quale decise di allontanarsi definitivamente dall’heavy metal di stampo britannico (iniziale fonte di ispirazione) per sposare definitivamente i lidi dell’Estremo. Il contributo di Warrior, coadiuvato da Ain (che si intendeva di filosofia ed occultismo), fu di scorporare e gettare alle ortiche la componente goliardica insita nel cazzeggio rumoroso dei Venom, rendendo le loro intuizioni davvero inquietanti, ancora prima dei maestri Bathory, che avrebbero debuttato poco dopo il rilascio di “Apocalyptic Raids”, avvenuto nel 1984. 

In anni in cui gli Slayer non avevano ancora definito in modo compiuto il linguaggio del metal estremo, dando di fatto il la al death metal, gli Hellhammer in quei quattro brani gettavano semi di cruciale importanza per quello che sarebbe divenuto il black metal per come oggi lo conosciamo. Non mi riferisco tanto a brani come “Third of the Storms (Evoked Damnation)”, “Massacra” e “Horus/Aggressor” (rispettivamente prima, seconda e quarta traccia dell’EP): esse sono speed-song che estremizzavano gli stilemi del neo-nascente thrash metal con riff ossessivi ripetuti con sadica ostinazione e le vocalità efferate di Warrior (ai limiti del growl). Certo, un bel cazzotto nello stomaco ancora oggi, ma quello che più ci sconvolge sono i nove minuti e mezzo della terza traccia: la terrificante “Triumph of Death”. 

"Triumph of Death" era stata una delle prime composizioni concepite dalla band (a dimostrazione di come il germe della rivoluzione venisse da lontano) ed era tenuta in alta considerazione dai Nostri, tanto che aveva dato il titolo al secondo demo della band, il quale, per intenderci, aveva la seguente copertina:


L’incipit sabbathiano (un susseguirsi di riff funerei che si sovrappongono senza accompagnamento ritmico) è già di per sé raggelante, ma niente a confronto con le grida lancinanti di Warrior, che per l’occasione abbandona il growl per gettarsi in vocalizzi disarticolati mai sentiti in precedenza. In questa prima fase troviamo, con anni in anticipo, non solo lo stesso marciume del seminale "A Blaze in the Northern Sky" dei Darkthrone, ma anche il disagio invertebrato che diverrà tipico del depressive black metal.  

La "suite" proseguirà all'insegna di un oscuro heavy metal che riteniamo essere la vera pietra dello scandalo: è infatti proprio in questa commissione di tempi medi, riff sabbathiani ed urla belluine che si fa ancora più palese il carattere grottesco e parossistico di questa musica che intende superarsi esasperando  stilemi già esistenti, piuttosto che inventarne nuovi di sana pianta. 

Al di là dell’indubbio potenziale avanguardistico del brano, “Triumph of Death” descrive, anzi certifica, un paradosso: lo spirito autentico del black metal è rinvenibile in un passato che precede gli album dei Venom e l’appena successiva rivoluzione del thrash metal, a cui sia gli Hellhammer che i Celtic Frost sono riconducibili fino ad un certo punto. In altre parole, prima che un "Reign in Blood" coniasse e divulgasse un nuovo linguaggio (dal quale appunto originerà il death metal), il black metal aveva già preso la sua strada autonoma, intercettando l'approccio low fi dei Venom, certo, ma abbeverandosi delle energie negative già insite nelle lezioni dei Black Sabbath, ovviamente spurgate dagli ultimi rigurgiti blues. 

I seminali Hellhammer, in conclusione, non hanno grandi innovazioni stilistiche da offrire, ma un’attitudine che avrebbe fatto scuola. Quel che insegnarono gli Hellhammer, lo trovate nei nemmeno venti minuti di “Apocalyptic Raids”, a dimostrazione di come anche un EP ed una manciata di demo possono cambiare il mondo…