15 mag 2019

I MIGLIORI EP DEL METAL - HELLOWEEN: "S/T"



Nella nostra Classifica sui migliori EP del metal ci siamo soffermati parecchio su quei dischi teutonici che marcarono a fuoco la scena thrash europea. Oggi rimaniamo in Germania ma geograficamente, rispetto al famigerato Bacino della Ruhr, ci spostiamo a nord, nella ricca Amburgo, città natale degli Helloween, per trattare un EP che sicuramente è nel cuore di molti defenders.


L’esordio degli Helloween merita di comparire nella nostra retrospettiva perché fu un momento di passaggio e al contempo di definizione di un (sotto) genere che spopolò in Europa per oltre un decennio, con un successo commerciale planetario.

Helloween” infatti, nei suoi 26’ che ne fanno di certo un qualcosa di più che un semplice EP (tant’è che è anche conosciuto come The Mini LP) non è ancora power metal ma al contempo, decisamente, non è più thrash, nella sua c.d. versione speed.

Certo, le differenze sono sottili e la musica di questi 4 baldi giovanotti non era a compartimenti stagni. Anzi, la potremmo definire un riuscitissimo ibrido di quegli stilemi che andarono, e stavano ancora andando, per la maggiore al di là e al di qua dell’Atlantico. Infatti le neonate Zucche di Amburgo riuscirono, nonostante l’inesperienza, a frullare in modo personale tre tendenze: lo speed/thrash americano (“Kill’em all” era uscito da oltre un anno e mezzo quando i tedeschi entrarono in sala di registrazione), il succitato thrash metal che si andava a definire nel loro paese natio; e infine gli stilemi immancabili della N.W.O.B.H.M. 

In particolare, il songwriting dei primi Iron Maiden è qui piuttosto saccheggiato non soltanto a livello musicale ma anche lirico ed atmosferico. Quasi a voler fare di Amburgo una piccola Londra nel quale ambientare le proprie storie, gli Helloween ci parlano di assassini in fuga dalla legge, reietti dei bassifondi in cerca di riscatto, tossicodipendenti soldati mandati al macello guidati da Grandi Burattinai senza scrupoli (da "Warrior": You’re a small pawn in their game / Somewhere in the shelter sit the men / who hold your fate in his hands / And they don’t realize / a war without survivors is a fight that’s never won…so die!). Se vogliamo, parole semplici e ingenue queste, ma sicuramente sentite e soprattutto espressione di una sensibilità socio-politica che nel metal si stava diffondendo sempre più (certi temi verranno sviscerati in maniera perfetta l’anno successivo in “Master of Puppets”).

Tornando a bomba sulla musica: con Grosskopf e Ingo appena 19enni, le redini del songwriting sono saldamente nelle mani di Kai Hansen, con un Weikath che dà il suo contributo, seppur in forma ancora limitata. Al netto di tutti i limiti vocali, tecnici e di estensione, di Kai (che danno alla produzione anche quel sano senso di raw dal fascino unico), quello che impressiona è la qualità dei brani, tutti di pregevole fattura. E questo grazie a linee melodiche azzeccatissime, una sezione ritmica caracollante ma anche tecnica ed articolata, solos al fulmicotone mai banali e a un guitar-work trascinante e caratterizzato dai duetti tra i due axe-man.

Se “Starlight” e “Murderer” rappresentano un’accoppiata iniziale in cui sono la velocità e una struttura basica della forma-canzone a risaltare, è con “Warrior” che i Nostri personalizzano la proposta, componendo una canzone-tipo che, con le ovvie varianti sul tema, ritroveremo numerose volte infuturo, soprattutto nella discografia dei Gamma Ray.

Ma il sale sta nella coda del disco: “Victim of fate” presenta probabilmente uno dei chorus più trascinanti dell’intera carriera delle Zucche e un riffing che farebbe invidia persino all’accoppiata Downing/Tipton. Il rallentamento al minuto 2’ poi è un chiaro rimando alle analoghe soluzioni che Iron e Judas avevano già proposto nei loro capolavori di inizio decade. Ma con in più l’inserimento di un recitato di Hansen davvero suggestivo e maligno.

Infine la sofferta “Cry for freedom”, introdotta da un suggestivo intro arpeggiato per poi partire all’attacco nella seconda parte, corroborata da cori epici che ben calzano col tema della canzone: le frustate sulla schiena degli schiavi chiamano direttamente in causa i rappresentanti del Potere politico ed economico (le cui anime sono attese da Satana in persona); ma la voglia di libertà dei ceti più deboli porterà a compimento una rivoluzione in cui rivalsa e vendetta non si faranno attendere…(Freedom…the cry of all slaves will be heard / The tyrants will now feel the steel of the sword / The chains will be broken by all slaves on earth!).

Insomma classicismo ed innovazione, capacità di sintesi delle influenze e al contempo visione di una personale proposta. Che su quei ragazzi bisognasse investire non c'erano dubbi. E se questi 26’ non li avevano del tutto fugati, ci pensò il mitico debut “Walls of Jericho” (uscito di lì a 7 mesi, sempre nel 1985) a dimostrare l’immenso valore di una band, che ben presto sarebbe diventata (e lo è tutt’oggi) iconica per il Metal mondiale.

Per chi pensa che gli Helloween nascano con i due “Keeper of the seven keys”, prego…ricredersi.

Il Metal Europeo passa (anche) da questo EP.

A cura di Morningrise