23 lug 2019

UNA RIFLESSIONE SUL TERMINE "CAPOLAVORO" (e un caso concreto...)



Riporto dalla Treccani: 1. La migliore in una serie di opere di un artista, di uno scrittore o di un’età, di una scuola, ecc. 2. Opera eccellente in genere.

Sono le definizioni del termine capolavoro

Forse una delle parole più (ab)usate nelle recensioni musicali (e non solo). Spesso la usiamo con leggerezza, enfatizzando la qualità di un’opera che, nella maggior parte dei casi, ha un valore fortemente soggettivo, perché inevitabilmente filtrata attraverso la nostra sensibilità e il nostro gusto.

E’ un termine in realtà da usare con moderazione e attenzione, soprattutto se usato all’interno di uno scritto che magari va a finire su una rivista specializzata o su un sito internet. Perché può essere fuorviante, ingannevole. Personalmente, nell’ambito degli ascolti metallici della mia vita, ho cercato e cerco di adoperarlo proprio seguendo le definizioni che vengono date dalla Treccani. Cioè correlandolo ad un’opera musicale all’interno di “una serie di opere” di un artista (in questo caso il capolavoro è relativo a quell’artista), oppure nell’alveo “di una corrente, di una scuola” (qui invece il capolavoro è relativo a un genere o sottogenere); o, infine, valutando l’eccellenza in sé, in modo “assoluto” (un capolavoro bello e fatto, fine a se stesso, senza che debba necessariamente essere correlato ad altre opere/movimenti/generi).

Elucubrazioni queste che mi sono tornate in superficie nell’ottavo anniversario della morte del singer Andrew “Mac” McDermott (avvenuta il 03 agosto 2011 per insufficienza renale). E allora, oggi, ci piace parlare di un capolavoro inteso nella seconda accezione del termine ("Opera eccellente in genere"). E cioè di “Critical Mass” (2002) dei Threshold, band di cui, colpevolmente (e di ciò ci cospargiamo il capo di cenere) in questi 4 anni e rotti di Metal Mirror non abbiamo mai parlato.

La band inglese, originaria del Surrey e attiva da oltre un trentennio, ha sempre avuto discreti problemi di line-up, ma la costanza e la perseveranza del talentuoso chitarrista Karl Groom, unico membro fisso del gruppo, ha fatto sì che il combo riuscisse a pubblicare dischi in modo costante e, cosa più importante, qualitativamente validissimi. Il periodo di maggior difficoltà, e quindi di stasi, fu proprio il 2007, anno in cui Mac dovette abbandonare per i suoi problemi di salute, lasciando il “timone” al grande Damian Wilson (di cui abbiamo sul nostro blog tessuto le lodi più volte in relazione alle sue collaborazioni con Arjen Lucassen) e che aveva già ricoperto il ruolo di cantante dei Threshold in due brevi occasioni precedenti.

Premesso che di cagate i Nostri non ne hanno mai pubblicate e che il decennio con McDermott dietro al microfono, da “Clone” (1998) a “Hypothetical” (2007) è quello che preferisco, oggi ci soffermiamo come detto su “Critical Mass”, questo disco dimenticato che, per chi scrive, è appunto un autentico capolavoro. Un’ora di grande, grandissimo prog metal basato sull’intreccio calibrato di rocciosi riff (anche molto compressi, di stampo groove), ariose aperture tastieristiche e un lavoro chitarristico molto fine e i cui assoli rimandano direttamente all’heavy classico di stampo britannico, ma rielaborato modernamente. In questo insieme si innesta la splendida voce di McDermott, non troppo potente ed estesa ma decisamente funzionale, sia nei momenti più aggressivi che in quelli più distesi.

Se l’accoppiata “Choises” – “Falling away” (quest’ultima, per chi scrive, la top song dell’album) sono l’esempio perfetto di quanto detto, i Threshold dimostrano che, se c’è da menar duro, tra riffoni power/groove e doppia cassa lanciata, non si tirano indietro (vedasi l’opener “Phenomenon” o la mutevole “Fragmantation”). Il loro metal è infatti massiccio e delicato assieme, tecnico ma mai pedante o “sborone”, sempre improntato a dar maggior risalto alla componente melodico-emotiva rispetto a quella tecnico-strumentale. La loro “progressività” non è mai dispersiva (vedasi la sensazionale “Echoes of life”, dove 9’ vanno via che è un piacere) e, anzi, fortemente legata alla forma-canzone. Unica eccezione, in tal senso, la lunga title-track finale: una perla di 13’, compendio del Threshold-sound in cui tecnica, melodia e parti acustiche ricche di pathos esprimono appieno la classe infinita dei Nostri. 

Ma non finisce qui: assieme ad una costante sensibilità (dettata da linee melodiche azzeccatissime e soluzioni armoniche malinconiche), ciò che rende “Critical Mass” diverso è una continua tensione oscura che sottende il disco, una cupezza che sottilmente si incunea sottopelle e ti lascia una sensazione di pacata e dolce tristezza.

Quindi, soprattutto ai nostri lettori più giovani, consigliamo caldamente di scoprire questa superba band che ha ottenuto troppo poco a livello di fama e responso commerciale rispetto al suo valore. 

Varcate la Soglia senza indugio…

A cura di Morningrise