Riporto dalla Treccani: 1. La migliore in una serie di opere di un artista, di uno scrittore o di un’età, di una scuola, ecc. 2. Opera eccellente in genere.
Sono le definizioni del termine
capolavoro.
Forse una delle parole più (ab)usate nelle recensioni musicali (e
non solo). Spesso la usiamo con leggerezza, enfatizzando la qualità di un’opera
che, nella maggior parte dei casi, ha un valore fortemente soggettivo, perché
inevitabilmente filtrata attraverso la nostra sensibilità e il nostro gusto.
E’ un termine in realtà da usare
con moderazione e attenzione, soprattutto se usato all’interno di uno scritto
che magari va a finire su una rivista specializzata o su un sito internet.
Perché può essere fuorviante, ingannevole. Personalmente, nell’ambito degli
ascolti metallici della mia vita, ho cercato e cerco di adoperarlo proprio seguendo
le definizioni che vengono date dalla Treccani. Cioè correlandolo ad un’opera
musicale all’interno di “una serie di opere” di un artista (in questo caso il
capolavoro è relativo a quell’artista), oppure nell’alveo “di una corrente, di
una scuola” (qui invece il capolavoro è relativo a un genere o sottogenere); o,
infine, valutando l’eccellenza in sé, in modo “assoluto” (un capolavoro bello e fatto, fine a
se stesso, senza che debba necessariamente essere correlato ad altre opere/movimenti/generi).
Elucubrazioni queste che mi sono tornate in superficie nell’ottavo anniversario della
morte del singer Andrew “Mac” McDermott (avvenuta il 03 agosto 2011 per
insufficienza renale). E allora, oggi, ci piace parlare di un capolavoro inteso nella seconda accezione del termine ("Opera eccellente in genere"). E cioè di “Critical Mass” (2002) dei Threshold,
band di cui, colpevolmente (e di ciò ci cospargiamo il capo di cenere) in
questi 4 anni e rotti di Metal Mirror non abbiamo mai parlato.
La band inglese, originaria del
Surrey e attiva da oltre un trentennio, ha sempre avuto discreti problemi di
line-up, ma la costanza e la perseveranza del talentuoso chitarrista Karl Groom, unico membro fisso del
gruppo, ha fatto sì che il combo riuscisse a pubblicare dischi in modo costante
e, cosa più importante, qualitativamente validissimi. Il periodo di maggior difficoltà, e quindi di
stasi, fu proprio il 2007, anno in cui Mac dovette abbandonare per i suoi
problemi di salute, lasciando il “timone” al grande Damian Wilson (di cui abbiamo sul nostro blog tessuto le lodi più
volte in relazione alle sue collaborazioni con Arjen Lucassen) e che aveva già
ricoperto il ruolo di cantante dei Threshold in due brevi occasioni
precedenti.
Premesso che di cagate i
Nostri non ne hanno mai pubblicate e che il decennio con McDermott dietro al microfono, da
“Clone” (1998) a “Hypothetical” (2007) è quello che preferisco, oggi ci
soffermiamo come detto su “Critical Mass”, questo disco dimenticato che, per
chi scrive, è appunto un autentico capolavoro. Un’ora di grande, grandissimo prog metal basato
sull’intreccio calibrato di rocciosi riff (anche molto compressi, di stampo groove),
ariose aperture tastieristiche e un lavoro chitarristico molto fine e i cui
assoli rimandano direttamente all’heavy classico di stampo britannico, ma
rielaborato modernamente. In questo insieme si innesta la splendida voce di
McDermott, non troppo potente ed estesa
ma decisamente funzionale, sia nei momenti più aggressivi che in quelli più
distesi.
Se l’accoppiata “Choises” –
“Falling away” (quest’ultima, per chi scrive, la top song dell’album) sono
l’esempio perfetto di quanto detto, i Threshold dimostrano che, se c’è da menar
duro, tra riffoni power/groove e doppia cassa lanciata, non si tirano indietro
(vedasi l’opener “Phenomenon” o la mutevole “Fragmantation”). Il loro metal è infatti massiccio e delicato assieme, tecnico ma mai pedante o
“sborone”, sempre improntato a dar maggior risalto alla componente
melodico-emotiva rispetto a quella tecnico-strumentale. La loro “progressività”
non è mai dispersiva (vedasi la sensazionale “Echoes of life”, dove 9’ vanno
via che è un piacere) e, anzi, fortemente legata alla forma-canzone. Unica
eccezione, in tal senso, la lunga title-track finale: una perla di 13’,
compendio del Threshold-sound in cui tecnica, melodia e parti acustiche ricche di
pathos esprimono appieno la classe infinita dei Nostri.
Ma non finisce qui: assieme ad una costante
sensibilità (dettata da linee melodiche azzeccatissime e soluzioni armoniche
malinconiche), ciò che rende “Critical Mass” diverso è una continua tensione oscura che sottende il disco, una cupezza che
sottilmente si incunea sottopelle e ti lascia una sensazione di pacata e dolce
tristezza.
Quindi, soprattutto ai nostri
lettori più giovani, consigliamo caldamente di scoprire questa superba band che
ha ottenuto troppo poco a livello di fama e responso commerciale rispetto al
suo valore.
Varcate la Soglia senza indugio…
A cura di Morningrise