28 dic 2019

RECENSIONE: "CAST THE FIRST STONE" (HOUR OF PENANCE)


Per quanto mi riguarda è il momento dei romani Hour of Penance: sempre in mezzo a loro per questioni di vacanze, lavorative e musicali.

Trentaquattro minuti come si faceva una volta, trentaquattro minuti tecnici e brutali come se i Morbid Angel si fondessero con i Cannibal Corpse, mantenendo però qualche peculiarità melodica negli assoli che ricorda il compianto Ralph Santolla.


Ho sempre letto di questo gruppo, ma poca voglia di ascoltarli o farli entrare nella mia discografia, fin quando qualche mese fa mi è capitato di soffermarmi su alcuni loro live che hanno attirato la mia attenzione per l'aver previsto nella copertina di “Paradogma” alcuni immagini di Notre Dame in fiamme.

Evocano scenari di antiche guerre religiose, forse per questo mantengono in questo album qualcosa di epico che me li fa apprezzare. I romani si prendono la briga di mandar messaggi attraverso un death tecnico chirurgico, grazie alle prodezze chitarristiche di Giulio Moschino e Paolo Pieri, con un batterista incredibile come Davide Billa. Tutti i popoli vivono la propria verità, anche se saremo distanti a livello ideologico e il terrorismo non sarà facile da debellare sembrano voler dire, anche se non valutiamo la loro ideologia quanto la resa musicale di buon livello. A me non interessa l’orgoglio italiano che si legge in alcune recensioni, ma la sostanza di questo album di death metal tecnico che meriterebbe maggior risalto.

Si fa presto a dire “technical death metal”, ma talvolta questa definizione sembra una scusa per giustificare una carenza di idee associando una miriade di note in contesto di metal estremo. Poche volte però si ha la volontà di tornare ad ascoltare questo tipo di canzoni, per questo mi sono sorpreso a riprendere più volte gli Hour of Penance. E questo è indubbiamente un buon segno.

Voto: 7.5
Canzone top: “Cast the first stone”
Momento top: la partenza del disco
Canzone flop: “Burning bright”
9 canzoni, 34 minuti
2017
Prostethic Records