31 dic 2019

PATRICIDIO O SUBLIMAZIONE DEL METAL? UNA RIFLESSIONE SU "LEGACY OF THE DARK LANDS"



Tra le mura domestiche ho respirato, fin da bambino, la passione per la Musica Classica. Mio padre, negli anni, si è costituito una ricca collezione di vinili di Lirica, che ha tutt’ora. Sono cresciuto perciò sentendo dissertare, anche a tavola, di Verdi e Donizetti, Rossini e Bellini, Puccini e Mascagni. Per carità, da ragazzino l’Opera non mi esaltava di certo ma alcune arie, le più celebri, cantate dai Grandi Tenori che apparivano alla tv (allora star musicali quasi tanto quanto Madonna e Michael Jackson) devo dire che mi rapivano.

Il capolavoro di Milos Forman “Amadeus” (1984), la celebre pellicola sulla vita di Mozart, fu un altro tassello importante nel non far scemare il mio interesse verso quelle sonorità, interesse che portai avanti anche negli anni dei miei primi approcci verso il Verbo del Metallo. Mantenerlo vivo fu anche merito di quelle collane, economicamente abbordabili, che uscivano in edicola con i quotidiani. Fu infatti attraverso un’iniziativa de “La Repubblica” che mi creai la mia personale discografia di Classica, affianco a quella metallara anch’essa in divenire. Le uscite dell’iniziativa comprendevano i “Best of” dei compositori più celebri: Mozart, Beethoven, Paganini, Chopin, Rachmaninov, Bach, Strauss, Vivaldi. Giganti della Musica che ascoltavo di pari passo a Maiden, Priest e Big Four of Thrash.

Ben presto scoprii che, quella che mi pareva una bizzarria (cioè ascoltare in parallelo due Generi così apparentemente distanti), in realtà non era così desueto tra i metal fans, oltre al fatto che moltissime band si ispiravano, o asserivano di farlo, proprio alla Musica Classica; e a Wagner in primis (vero Mr. DeMaio?). Non solo: alcune riviste dei nineties avevano proprio una rubrica interna dove venivano consigliati dischi non-metal per metalheads, dove non di rado venivano suggeriti anche ascolti di Classica (fu attraverso Metal Hammer, ad esempio, che conobbi “The planets”, potentissima opera orchestrale dell’inglese Gustav Holst).

E, in quegli anni novanta, furono numerosi gli album che in maniera vincente fondevano disinvoltamente Metallo e Classica; platters che mi esaltarono non poco: da “Lingua Mortis” e “XIII” dei Rage ai capolavori dei Therion; per non parlare da un lato della pletora di band symphonic power fiorite negli ultimi 20 anni e dall’altro delle numerose collaborazioni, sia sporadiche che strutturali, di storiche metal band con orchestre, in studio e/o dal vivo.

Insomma, era sempre più chiaro che il Metal, da genere onnivoro qual è, aveva più di un minimo comun denominatore con la Musica Classica. Per il sottoscritto quel m.c.d. era rappresentato dalle sensazioni di potenza, epicità, magniloquente immaginazione evocativa comuni ai due Generi. E qui mi fermo.

Date queste premesse, non potevo che aspettare con fervore questo “Legacy of the Dark Lands”, ultimo parto discografico dei Blind Guardian. E parlarne, dopo numerosi ascolti, non è affatto facile. Come costume del nostro Blog, non ne faremo di certo una recensione, ma cercheremo di ragionare in modo più ampio, per accomiatarci degnamente da questo 2019.

Dopo tre full lenght più che buoni (“A twist in the myth”, “At the edge of time” e “Beyond the red mirror”) ma che “si limitavano”, seppur con classe e discreta ispirazione, a rimescolare le carte in tavola senza osare troppo, i Bardi di Krefeld tirano fuori senza dubbio l’opera più ambiziosa della loro 35ennale carriera, imboccando la perigliosissima strada del…non-metal! E lo fanno in modo drastico e definitivo. Recuperando l’approccio orchestral-sinfonico di “A night at the Opera” e dello stesso "Beyond the Red Mirror", Kursch e Olbrich compongono sì un album con il loro consueto stile, dal songwriting ormai riconoscibilissimo, ma decidono che i riff li macineranno i violini, gli assoli gli strumenti a fiato (o viceversa) e la sezione ritmica la comporranno tamburi e piatti. 

La struttura dell’album richiama in tutto e per tutto quella del capolavoro ineguagliabile "Nightfall in Middle-Earth": cioè concept fantasy e brani veri e proprio intervallati da intermezzi parlati, che realizzano formalmente l’unità sostanziale di 75’ di musica (artefizio necessario a immergerci in modo completo e credibile nell’epopea delle Terre Oscure). Se il risultato è inizialmente spiazzante, con il susseguirsi degli ascolti, si capisce una cosa: che "Legacy..." è un disco blindguardiano al 100%, dagli arrangiamenti curatissimi e dalla produzione pressocchè perfetta. E contenente alcuni dei brani migliori scritti negli ultimi 20 anni dal Guardiano Cieco: il primo quartetto (“War feeds war”, “Dark cloud’s rising”, “In the underworld” e “The great ordeal”) è da pianti…Le capacità compositive di Olbrich, e i miglioramenti vocali di Kursch, mai così pulito e tecnico come ora, a 53 anni suonati, si sposano perfettamente con la sapiente conduzione della Filarmonica di Praga (con la quale i BG già collaborarono 3 anni fa per "Beyond...") da parte di Adam Klemens.

Ma quello che ci preme veicolare, al di là dei gusti personali (sono certo che l’album avrà tanti acerrimi detrattori quanti estasiati sostenitori), è l’importanza di questo disco, che non può essere sottaciuta: il Metal, per mano di uno dei suoi alfieri più importanti, celebri e amati da pubblico e critica (partito, ricordiamo, da un grezzo thrash alquanto basico), arriva a negarsi, spogliandosi di estreme distorsioni, riverberi e assoli chitarristici, di batteria martellante e basso cavalcante, di anthems da urlare dal vivo a squarciagola. Ma rimanendo, nella sua essenza, se stesso, coerente

E che, come detto, i protagonisti di questa operazione siano proprio i Blind Guardian, capaci di passare in un trentennio dalle intransigenze di “Battalions of Fear” (1988) alla magniloquenza, peraltro mai pomposa o sbrodolona, di “Legacy…”, è davvero un bel segnale dl vitalità lanciato dal nostro Genere Preferito, così tante volte dato per bollito (quando non direttamente per morto…).

Alla vigilia del 50ennale di vita del Metal i tedeschi quindi esprimono lo stimolante paradosso di una forma anti-Metal e uno spirito che lo è pienamente. Come se, con un simbolico patricidio, lo uccidessero per dichiararne al contempo la totale appartenenza, dandogli una prospettiva di coraggiosa apertura.

Ma soprattutto “Legacy of the dark lands” pare domandare a colleghi e a noi pubblico, con coraggio e senza vergogna…cos’è stato, cos’è e soprattutto cosa può essere il Metal a 50 anni dalla sua nascita?

A cura di Morningrise